Il Papa, dopo Putin, invita gli ucraini alla mitezza
Il giorno dopo l'incontro con Putin, Francesco ha ricevuto in Vaticano i membri del Sinodo permanente della Chiesa greco-cattolica. L'intento è chiaro: il dialogo ecumenico del Vaticano con la Chiesa di Mosca deve andare avanti, la Chiesa ucraina non dovrebbe inserirsi nello scisma della Chiesa ortodossa autocefala da quella di Mosca
Il giorno dopo l'incontro con Putin, durante il quale la questione ucraina è stata uno dei temi di discussione, Francesco ha ricevuto in Vaticano i membri del Sinodo permanente della Chiesa greco-cattolica. Una circostanza temporale probabilmente non casuale: l'udienza era stata annunciata ad inizio maggio e motivata dall'urgenza di sviluppare una riflessione sulla situazione del Paese dell'Europa orientale allo scopo di "promuovere la pace, d’intesa, per quanto è possibile, con la Chiesa cattolica di rito latino e con le altre Chiese e comunità cristiane" di fronte ad "un conflitto aggravato da falsificazioni propagandistiche e da manipolazioni di vario tipo, anche dal tentativo di coinvolgere l’aspetto religioso". La riunione, iniziata ieri e che finirà oggi, si svolge alla presenza dei Superiori dei Dicasteri competenti della Curia Romana, un segno dell'attenzione riservata dalle autorità vaticane al 'dossier' ucraino.
Nel discorso rivolto ai presenti, tra cui l'arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč, monsignor Svjatoslav Shevchuk, il papa ha avuto parole di profondo e sincero affetto nei confronti della comunità greco-cattolica, rievocando la sua esperienza personale con padre Stefano Chmil, salesiano ucraino poi consacrato di nascosto vescovo a Roma, che a Buenos Aires gli insegnò a servire la Divina Liturgia. Bergoglio ha raccontato che ogni giorno, prima di addormentarsi e dopo essersi svegliato, volge uno sguardo all'icona della Madonna che il religioso gli donò prima di lasciare l'Argentina. Egli ha confidato, inoltre, di essersi emozionato sfogliando il libro fotografico "Perseguitati per la verità" sulla vita dei fedeli greco-cattolici negli anni della clandestinità. Li ha indicati ai contemporanei come un esempio da seguire per il loro "coraggio cristiano (...) di non opporsi al malvagio, di amare i nemici e pregare per i persecutori", perchè in questo modo "essi, nel campo violento della storia, hanno piantato la croce di Cristo". L'invito del papa ai membri del Sinodo permanente della Chiesa greco-cattolica è apparso diretto a scongiurare la tentazione di un coinvolgimento nelle dinamiche politiche del Paese orientale, concentrandosi, invece, sulla vita spirituale, indicata come "prima occupazione" a cui "nessun’altra va anteposta". Un monito a non esporsi, a non lasciarsi trascinare dall'escalation di tensioni provocata dalla crisi della Crimea del 2014: "nella notte del conflitto che attraversate, come nel Getsemani - ha detto il pontefice - il Signore chiede ai suoi di «vegliare e pregare»; non di difendersi, né tanto meno di attaccare". Con questo richiamo, Francesco sembra invocare "mitezza" anche nell'utilizzo delle parole da parte di una Chiesa che, per bocca dei suoi rappresentanti, non ha esitato a parlare finora di "aggressione militare russa" per quanto accaduto nella penisola contesa.
"Non il sonno, non la spada, non la fuga, ma la preghiera e il dono di sé fino alla fine sono le risposte che il Signore attende dai suoi", ha aggiunto Francesco, arrivando alla conclusione che "solo queste risposte sono cristiane, esse sole salvano dalla spirale mondana della violenza". Alla base delle preoccupazioni papali c'è probabilmente la volontà di non esasperare i toni sulla già complessa partita ucraina col pericolo di veder vanificati gli sforzi fatti fino ad oggi dalla diplomazia vaticana con Mosca. In special modo, poi, dopo lo scisma nel mondo ortodosso provocato dal riconoscimento da parte di Costantinopoli dell'autocefalia della Chiesa ucraina. Una decisione contestata dal Cremlino e dalla Chiesa ortodossa russa in quanto giudicata la naturale conseguenza di motivazioni esclusivamente politiche, dettate dalla volontà di 'sganciarsi' da Mosca. La posizione di Francesco sull'indipendenza della Chiesa ortodossa di Kiev è piaciuta non poco al Patriarcato moscovita che non ha mancato di far notare, attraverso le dichiarazioni del metropolita Hilarion di Volokolamsk, come dal Vaticano non ci sia stato alcun sostegno per quelle che sono state definite "le azioni rapaci di Costantinopoli". Un giudizio molto diverso, invece, la gerarchia della COR lo ha riservato all'atteggiamento della leadership greco-cattolica, criticata dallo stesso patriarca Kirill per un presunto "diretto impegno in attività politiche". Accuse bollate da monsignor Sviatoslav Shevchuk come "propaganda di Stato".
ll frequente scambio di 'frecciate' tra la gerarchia ecclesiastica greco-cattolica e quella ortodossa russa non fa affatto piacere a Bergoglio che sembrerebbe preferire da parte dei primi una linea meno polemica: da qui, il monito ad evitare qualsiasi esternazione sulla vicenda relativa allo scisma ucraino, con una dichiarazione inequivocabile fatta lo scorso anno durante un'udienza concessa alla delegazione del Patriarcato moscovita: "le Chiese cattoliche non devono immischiarsi negli affari interni della Chiesa ortodossa russa, soprattutto per ragioni politiche". Un concetto ribadito anche ieri ai membri del Sinodo permanente della Chiesa greco-cattolica, con un passaggio che è sembrato fare appello all'obbedienza dovuta a Roma: "L’unità nella Chiesa sarà tanto più feconda, quanto più l’intesa e la coesione tra la Santa Sede e le Chiese particolari sarà reale. Più precisamente: quanto più l’intesa e la coesione tra tutti i Vescovi con il Vescovo di Roma. Ciò certamente non deve «comportare una diminuzione nella coscienza della propria autenticità ed originalità» ma plasmarla all’interno della nostra identità cattolica, cioè universale. In quanto universale, essa è messa in pericolo e può venire logorata dall’attaccamento a particolarismi di vario tipo: particolarismi ecclesiali, particolarismi nazionalistici, particolarismi politici".
Un discorso, quello pronunciato ieri da Francesco, da leggersi in continuità con quanto da lui affermato durante l'incontro con alcuni gesuiti nella visita apostolica in Romania: rispetto e sostegno ai vescovi greco-cattolici, riconoscimento della liturgia come tratto distintivo dell'identità di questa Chiesa, ma al tempo stesso la volontà di non fare alcun passo indietro nel cammino ecumenico con gli ortodossi russi, neanche di fronte all'aggravarsi delle tensioni interne in Ucraina. La Santa Sede, sotto la guida di Bergoglio, non ha alcuna intenzione di fare da 'sponda' spirituale a cambiamenti politici in quella regione e, richiamando esplicitamente "l'intesa e la coesione con il vescovo di Roma", invita alla mitezza anche quelle Chiese locali particolarmente interessate da questi processi in corso di svolgimento. Ieri il papa ha raccomandato "mitezza e docilità" e ribadito ancora una volta di non prendere posizione su quanto sta avvenendo all'interno del mondo ortodosso dopo la proclamazione dell'autocefalia ("una serie di processi politici ed ecclesiali ben più ampi di quelli riguardanti la nostra Chiesa cattolica"). D'altra parte, il pontefice aveva spiegato nella conversazione avuta con i gesuiti in Romania di credere che "l’uniatismo oggi non è più la via", pur specificando che c'è "una cultura e una vita pastorale che va preservata e custodita". Tanti segnali che sembrano andare nella direzione di una prosecuzione inalterata del dialogo con Mosca, fugando ogni dubbio sul fatto che la crisi politico-ecclesiale ucraina possa diventare un ostacolo insormontabile su questa via.