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IL CIBO DELLA BIBBIA / 1

Il pane, simbolo di vita

Cominciamo oggi un lungo viaggio nell'alimentazione ai tempi della Bibbia, perché il cibo in generale e i pasti in particolare svolgono un ruolo importante nella storia umana e quindi nella storia biblica. Iniziamo dal pane, cibo per eccellenza: è menzionato ben 361 volte nella Bibbia, e Gesù stesso si auto-identifica con il pane.
- LA RICETTA: PANE FARCITO AL FORMAGGIO

Cultura 13_12_2020 English Español
I tre angeli

Va', mangia con gioia il tuo pane,
bevi il tuo vino con cuore lieto,
perché Dio ha già gradito le tue opere.
(Ecclesiaste 9:7)

(Nell'immagine in alto: I tre angeli, dettaglio di ”L’ospitalità di Abramo”, mosaico del V secolo, Basilica di San Vitale, Ravenna).

Con questo articolo cominciamo oggi un lungo viaggio, pieno di scoperte e di riflessioni interessanti. Leggeremo, attraverso i versetti, la storia dell’alimentazione ai tempi biblici. E faremo anche un’incursione nelle abitudini dei popoli che hanno preceduto l’epoca di Gesù.
Perché il cibo in generale e i pasti in particolare svolgono un ruolo importante nella storia umana e quindi nella storia biblica. Del frutto colto da Adamo ed Eva (di cui la Bibbia non ha mai affermato che fosse una mela) al pasto eucaristico, la manna nel deserto e il banchetto di nozze di Cana: intorno a un pasto si giocano molti momenti decisivi.

Diverse volte vediamo Gesù condividere il pasto con persone molto diverse: con la famiglia di Lazzaro, con un fariseo, con i pubblicani o con Zaccheo e perfino con i peccatori. Quest’ultima categoria di commensali sarà al centro di tanti attriti tra Gesù e i preti del suo popolo (Marco 2:13-17, Matteo 11:18-19).

Il nostro periplo inizierà con l’alimento di base: il pane, che è menzionato 361 volte nella Bibbia.
Si noti che il racconto della moltiplicazione dei pani (e dei pesci) e del gigantesco pasto che ne deriva è il testo più frequente dei quattro Vangeli, poiché troviamo non meno di sei narrazioni: due in Matteo, due in Marco, una in Luca e una in Giovanni.

Cibo semplice e modesto, il pane era un alimento base della dieta, conosciuto da molto tempo in Medio Oriente. Il pane ha accompagnato l’uomo fin dalla notte dei tempi, è simbolo di vita a tutte le latitudini, in tutti i secoli, e in tutte le lingue. In ebraico "mangiare il suo pane" significava "prendere parte ad un pasto".

Era quindi necessario trattare il pane con rispetto: anche se il pane indurito veniva talvolta usato come piatto, era vietato ad esempio mettere sopra il pane carne cruda o una brocca o appoggiarvi accanto un piatto caldo. Era ancora più vietato buttarlo via: le briciole “della grandezza di un'oliva” andavano raccolte e mangiate. Il pane non si tagliava: si spezzava. Pensiamo alle parole della Messa: “Gesù prese il pane e, dopo aver pronunciato la benedizione, lo spezzò” (Matteo 26:26).

Gesù è spesso simbolo del pane e Lui stesso si auto-identifica con il pane:
“Questo è il pane che è disceso dal cielo; non come quello che i padri mangiarono e morirono; chi mangia di questo pane vivrà in eterno”. (Giovanni, 6:58). / “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me” (Luca 22:19).

Inoltre, non dimentichiamo che Gesù è nato a Betlemme, città di Davide, che etimologicamente in ebraico significa "casa del pane" (בֵּיִת לֶחֶם‎, Beit Leḥem). Viene fasciato e posto "in una mangiatoia", specifica San Luca (2:7). Un dettaglio molto importante: il bambino Gesù è colui che si definirà "il pane della vita" (Giovanni 6:35).

Per rendere più evidente il simbolismo, quello del pane identificato con la persona di Gesù, i preparatori di ostie praticano delle incisioni nell'impasto. Le iscrizioni riproducono le lettere IHS che sono le prime tre lettere maiuscole del nome greco Iesous. Altri leggono in IHS l'acronimo del latino Iesus Hominum Salvator (Gesù salvatore degli uomini) che nella forma ha lo stesso significato. L’ostia è pane azzimo, che è soggetto di grandi discussioni bibliche e teologiche, ma non abbiamo lo spazio necessario per parlarne. Come lettura, vi consiglio l’Esodo 12:1-51, che ci offre una panoramica dell’argomento.

Nel mondo biblico, il pane non era uguale per tutti: i poveri mangiavano il pane d'orzo, i ricchi mangiavano il pane di grano, sempre macinato tra due macine, un lavoro svolto abitualmente dalle donne. I chicchi di grano venivano anche arrostiti e serviti come guarnizione per la carne: macinato un po’ grossolanamente, dava l'equivalente della polenta o del couscous. Era un metodo utilizzato già prima, nell’Egitto antico, come frequente era di consumarlo con il formaggio, sia farcito, che a parte, oppure utilizzato nell’impasto stesso del pane.

Il pane farcito di formaggio (vedere ricetta nell'articolo linkato) è un piatto consistente, con una storia molto antica. I Romani lo preparavano già più di duemila anni fa, accompagnandolo con miele e fichi freschi. Anche gli antichi Egizi lo amavano farcito di formaggio morbido e miele. Gli antichi greci ne fecero anche una variante, un semplice pane ripieno di formaggio feta.

E pur essendo un piatto antico, si presta molto bene anche ai palati moderni.
In Francia esiste il pane al Gruyère, un piatto originario della Svizzera (canton Friburgo) che si è “trasferito” in Savoia; in Italia è tipico di varie regioni (la Campania, la Toscana, l’Alto Adige, il Veneto); in Germania il pane viene farcito con formaggio e semi di cumino; nei Balcani, al formaggio viene mescolata la cipolla e il pepe nero e con questa composizione viene farcito un pane simile alla pita greca; in Alsazia il pane farcito al formaggio viene spennellato di grasso d’oca.

Le differenze, da un paese all'altro, consistono nella varietà di grasso utilizzato (burro, olio d'oliva, strutto, grasso d'anatra o burro), farina (manioca, grano) e formaggio: gruyère, parmigiano, mozzarella, ricotta, feta o suluguni in Georgia (Caucaso).

Anche in questo caso e ancora una volta, il cibo è un elemento di continuità, che lega gli esseri umani, i luoghi e le epoche. Pur caratterizzando ognuna di queste realtà (tempo, nazioni, territori), nella trasmissione della tradizione culinaria c’è un filo conduttore che gli dà un valore divino, per la sua perennità, che in qualche modo lo avvicina a Dio. Il cibo è, per gran parte delle religioni, non solo un prodotto, ma un valore: ieri come oggi, i fedeli riconoscono nel mangiare e nel bere azioni cariche di un forte significato religioso. Perfino il ”non cibo” - l’astinenza e il digiuno - sono caratteristiche che accomunano le religioni.
Al pari del consumo di cibo, anche la rinuncia ad esso ha un valore sacrale, che è spesso anche comunitario: oltre a condividere i pasti, i fedeli osservano tutti insieme un tempo di digiuno, in cui si porta attenzione al sacro e all’appartenenza a una collettività nella quotidianità.

Inoltre, bisogna essere consapevoli del fatto che il cibo è un dono che molti non hanno; sentire la fame può aiutare a essere più generosi con chi non può permettersi neppure un pasto al giorno.
E in questo periodo dell’anno, più che mai, dobbiamo agire di conseguenza: è un omaggio a Dio ed alla nostra umanità.