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IMRAN KHAN IN CRISI

Il Pakistan invischiato nella nuova guerra fredda

Il parlamento del Pakistan potrebbe defenestrare ben presto il primo ministro Imran Khan. L’ex campione di cricket, eletto a pieni voti nelle elezioni del 2018, nel pieno dell’ondata “populista”, ora è privo dell’appoggio dell’esercito che lo aveva aiutato a vincere. Accusa gli Usa di cospirazione e viene sostenuto ancora da Mosca e Pechino.

Esteri 08_04_2022
Imran Khan

Il parlamento del Pakistan potrebbe defenestrare ben presto il primo ministro Imran Khan. L’ex campione di cricket, eletto a pieni voti nelle elezioni del 2018, nel pieno dell’ondata “populista”, ora è privo dell’appoggio dell’esercito che lo aveva aiutato a vincere.

La crisi fra le massime istituzioni del Paese si sta risolvendo con una sconfitta del premier e il Parlamento si prepara al voto di fiducia che potrebbe porre fine al suo governo. È pronto a succedergli Shehbaz Sharif, un cognome molto noto in Pakistan: è il fratello di Nawaz Sharif, ex premier ora in esilio a Londra. Il Pakistan, di importanza centrale per comprendere la guerra in Afghanistan e la sua drammatica conclusione, ora pare essere finito al centro della nuova guerra fredda. Infatti, Khan accusa gli Stati Uniti di cospirare contro di lui, mentre Russia e Cina lo appoggiano apertamente.

Imran Khan, molto popolare nel Paese finché l’economia andava relativamente bene, ha perso rapidamente consensi a causa dell’inflazione. Ora i prezzi sono aumentati del 17%. Il governo ha seguito le sue politiche populiste, introducendo sussidi sul carburante e l’elettricità, oltre ad approvare un’amnistia fiscale. Il Fondo Monetario Internazionale, dopo queste misure, ha deciso di sospendere l’erogazione dei prestiti e di interrompere i negoziati con Khan. Il suo governo, dunque, è l’ultima vittima (in ordine di tempo) della crisi globale seguita alla pandemia e alle politiche per contrastarla.

Khan, per galvanizzare la sua base, ha però rivestito la crisi di valori religiosi, patriottici e anti-occidentali. Ha detto che la sua lotta contro i partiti di opposizione è una guerra “fra il bene e il male”. Ha accusato i suoi critici e oppositori di cospirare contro di lui contro il Pakistan, dietro l’influenza degli Stati Uniti. Ha perso consensi proprio nell’esercito del Pakistan che, fra i vari corpi armati e poteri forti del Paese, è quello più occidentalista e vede in Imran Khan un uomo troppo vicino alla Cina e ultimamente anche alla Russia. La rottura si sarebbe consumata quando il premier ha rifiutato di approvare la nomina di un nuovo direttore dell’Isi, il potente servizio segreto che è considerato il vero artefice della vittoria dei Talebani in Afghanistan. L’esercito, anche se ufficialmente non si occupa di politica, ha comunque influenza sul Parlamento. E il crollo di consensi del governo ha accelerato la crisi.

Di fronte alla prospettiva di un voto di fiducia, Imran Khan ha deciso di giocare ancora la carta patriottica. Ha dichiarato che l’opposizione è collusa con gli Stati Uniti e dunque non è ammissibile che dei partiti anti-patriottici possano sedere e votare in Parlamento, di qui la decisione di sciogliere l’aula e chiedere il voto anticipato. L’appiglio costituzionale era comunque molto fragile: Khan si appellava ad un articolo della Costituzione che richiede fedeltà al Pakistan da parte di tutti i partiti. Ma, come era prevedibile, la Corte Costituzionale non ha individuato gli estremi di un tradimento e ha dichiarato incostituzionale la decisione del premier di sciogliere il Parlamento. Ora Shehbaz Sharif punta a formare un governo provvisorio, annullare la riforma elettorale che era stata introdotta da Khan e andare a elezioni appena possibile.

La retorica del premier sulla cospirazione americana non è passata inosservata. Mentre Washington (così come l’opposizione locale) nega ogni coinvolgimenti, Mosca e Pechino puntano anch’essi il dito sulla “cospirazione”. Per Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, quello che sta avvenendo in Pakistan è “un altro tentativo sfacciato di ingerenza statunitense negli affari interni di uno Stato indipendente, per i loro interessi egoistici”. E Pechino, per bocca di Wang Yi, il ministro degli Esteri, “Non possiamo permettere un ritorno ad una mentalità da guerra fredda”. Certo, da che pulpiti…

Volente o nolente, dunque, il Pakistan, una potenza nucleare, è entrato a pieno titolo nella nuova guerra fredda. Da che parte, non si sa ancora. Dipende da come si concluderà questo importante scontro istituzionale.