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Il neo-vescovo Gazzera, missionario nel Centrafrica in crisi

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Eletto coadiutore di Bangassou il carmelitano cuneese, in prima linea nella ricostruzione in una delle aree più difficili e pericolose del continente africano.

Ecclesia 28_02_2024
IMAGOECONOMICA - CANIO ROMANIELLO

Il 23 febbraio padre Aurelio Gazzera, frate dell’ordine dei Carmelitani scalzi, originario di Cuneo, da 33 anni missionario nella Repubblica Centrafricana, è stato nominato da Papa Francesco vescovo coadiutore della diocesi di Bangassou. La diocesi conta 14 parrocchie e poco più di 82mila battezzati su 582mila abitanti. Comprende un vasto territorio, grande quasi metà dell’Italia, al confine con la Repubblica Democratica del Congo.

La nomina è un meritato riconoscimento per l’ottima attività pastorale e di promozione umana svolta con intelligenza, coraggio e tenacia da padre Aurelio in uno dei Paesi più pericolosi e difficili del continente africano, devastato, fin dalla sua indipendenza ottenuta nel 1960, da guerre civili, colpi di stato, regimi militari e da inimmaginabili livelli di corruzione. L’ultima crisi è incominciata nel 2013 quando una coalizione di gruppi armati antigovernativi chiamata Seleka ha preso il potere costringendo alla fuga all’estero il presidente François Bozize.

L’avvio nel 2014 di una transizione democratica e il ripristino delle istituzioni democratiche nel 2016 hanno comportato lo scioglimento della coalizione. I gruppi che la componevano, però, non hanno deposto le armi. Costituiti prevalentemente da combattenti musulmani, hanno continuato a uccidere, razziare e infierire nella maniera più crudele sui cristiani, che sono la maggioranza nel Paese, colpendo anche istituti e strutture religiosi. Per difendersi, privi di protezione da parte del governo, i cristiani hanno organizzato a loro volta delle milizie armate di autodifesa chiamate anti-Balaka che presto però, rivelatesi altrettanto spietate, hanno inflitto ai musulmani le stesse atrocità dei Seleka.

Da allora decine di gruppi armati si contendono il territorio nazionale e i civili ne fanno le spese. Nonostante gli interventi di mediazione internazionali, la presenza già dal 1998 di una missione Onu di peacekeeping, Minurca, i negoziati avviati e una serie di cessate il fuoco sottoscritti, e peraltro subito violati, circa il 70% del territorio nazionale continua tuttora a essere controllato da decine di gruppi armati, teatro di scontri che coinvolgono dolorosamente i civili. La capitale Bangui e il territorio circostante invece sono resi sicuri da alcune centinaia di mercenari russi Wagner ai quali in cambio il governo, dal 2016 guidato dal presidente Faustin-Archange Touadéra, concede di sfruttare le miniere d’oro, una delle ricchezze del Paese.

È in un simile contesto che padre Aurelio ha lavorato in tutti questi anni. Ma anche nei momenti più bui, nell’insicurezza totale, ha approfittato di ogni momento di tregua per costruire, e ricostruire se necessario, i segni della normalità, trovando il modo di infondere speranza e vigore nei suoi parrocchiani spesso esausti e atterriti da notizie di combattimenti sempre più vicini. A Bozoum, dal 2003 quando ne è divenuto parroco, ha creato una banca, una scuola media, un liceo ed è riuscito a far sì che ogni anno a febbraio, anche quando un gruppo armato era segnalato nelle vicinanze e quando le strade prive di manutenzione diventavano difficili da percorrere o del tutto impraticabili, si svolgesse la tradizionale fiera agropastorale, un evento unico nel Paese che attira agricoltori da città e villaggi anche lontani.

L’ultima edizione, nel febbraio del 2023, è stata funestata da un incidente. Padre Norberto Pozzi, suo confratello, insieme a cinque persone era in viaggio  quando a pochi chilometri da Bozoum la sua auto è saltata in aria su una mina. Gli altri passeggeri sono rimasti feriti in modo lieve. Padre Pozzi invece ha subito gravissime lesioni alle gambe in seguito alle quali si è reso necessario amputargli un piede. A un anno dall’attentato ancora non cammina: «ma tornerò in Centrafrica», ha dichiarato in una intervista la scorsa settimana.

In tutti questi anni Padre Aurelio ha trovato sempre il tempo di scrivere un blog in diverse lingue, molto seguito, e nel 2018 i suoi post sono stati raccolti in un libro intitolato Coraggio (Edizioni Salinzucca). Il sottotitolo è Bisogna dare battaglia perché Dio conceda la vittoria. Il coraggio a padre Aurelio, ora monsignor Aurelio, non manca e di battaglie ne ha combattute tante, anche a rischio della vita come quando nel 2019 ha cercato di fermare 17 cantieri cinesi avviati per estrarre l’oro da un fiume vicino a Bozoum che stavano provocando gravissimi danni ambientali. Era andato fino in capitale, a Bangui, riuscendo a farsi ricevere dal ministro delle miniere e a ottenere che ordinasse la sospensione delle attività estrattive. Al ritorno a Bozoum, accertato che però i cantieri continuavano a lavorare, ha sfidato i militari per documentarlo con foto e filmati, ed è stato arrestato. L’intero Paese è insorto contro cinesi e soldati, costretti a liberalo per evitare una sommossa.

Adesso lo attendono altri impegni, altre sfide, in una regione molto insicura, resa quasi inaccessibile a causa delle strade pessime anche durante la stagione secca, tanto che ci vogliono due settimane per percorrere i 750 chilometri che separano Bangassou dalla capitale. In quelle praticabili, in compenso, il rischio è di incappare in gente armata e combattenti. 

 «Ieri ripensavo che il Signore, quando chiama, dà sempre tanto – ha detto alla giornalista di Radio Vaticana che lo ha intervistato il 24 febbraio – io non avrei mai pensato di fare qualcosa del genere e mai assolutamente pensato di diventare vescovo. Faremo quello che possiamo, con l’aiuto di Dio, con la preghiera di tanta gente».