Il neo-custode della fede che contraddice la Humanae Vitae
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Nel 2006 mons. Victor M. Fernández pubblicava una critica a mons. Livio Melina: troppo inflessibile e poco caritatevole la sua posizione sulla contraccezione. Che però era quella del magistero della Chiesa.
Il nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede si è già ripetutamente lamentato di aver ricevuto accuse pretestuose contro la sua persona; in pratica, ci si sarebbe attaccati al suo libro sul bacio, per svilire la sua preparazione teologica, a sostegno della quale porta la pubblicazione di libri e articoli di alto livello.
Obiezione accolta. Ma forse sarebbe stato meglio per mons. Fernández non esporsi così tanto, perché il peggio si trova proprio nelle sue pubblicazioni accademiche. «C'è anche il caso di un'astinenza sessuale che contraddice la gerarchia cristiana dei valori coronata dalla carità. Non possiamo chiudere gli occhi, ad esempio, davanti alla difficoltà che una donna deve affrontare quando percepisce che la stabilità familiare è messa a rischio sottoponendo il marito non praticante a periodi di continenza. In questo caso, un inflessibile rifiuto di ogni uso del preservativo, farebbe prevalere il rispetto di una regola esterna sul grave obbligo di curare la comunione amorosa e la stabilità coniugale che la carità più direttamente esige». Fine citazione.
Si tratta di un articolo che Víctor Manuel Fernández, all’epoca vice-rettore della Pontificia universidad católica argentina, scrisse per Revista Teología, il quadrimestrale della facoltà di Teologia dell’università (La dimensión trinitaria de la moral, II. Profundización del aspecto ético a la luz de “Deus caritas est”, Tomo XLIII, n. 89, aprile 2006, 133-163). L’articolo era stato pensato come critica al libro La plenitud del obrar cristiano. Dinámica della acción y perspectiva teológica de la moral (2001), scritto da mons. Livio Melina, José Noriega, Juan José Pèrez Soba.
Gli autori, secondo Fernández, non avrebbero considerato il primato della carità, «sottomettendo pedissequamente la carità alle virtù morali e alla legge naturale, che sarebbero quelle che ne assicurano l'autenticità» (La dimensión trinitaria, 145). In questo modo, la carità fraterna non sarebbe più il principio ermeneutico fondamentale della morale e la vita morale stessa del cristiano perderebbe il suo «profumo evangelico». In sostanza, la sua critica sta nel fatto che la carità, secondo la prospettiva di Melina et al., non avrebbe un oggetto proprio, perché il bene viene specificato solo dalle virtù morali e dalla legge naturale.
Se ci focalizziamo sul paragrafo iniziale, che apre alla contraccezione “in certi casi”, è evidente che l’ex-rettore di fatto demolisca tutta la dottrina morale cattolica. Da quella sola affermazione, risulta già sufficientemente chiaro che l’enciclica del 1968 di Paolo VI può andare dritta al macero (e anche Veritatis Splendor). Perché Humanae Vitae non ha condannato la contraccezione ut in pluribus, ma in modo assoluto, escludendo «ogni azione che (...) si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione» (HV, 14).
Paolo VI aveva esplicitamente insegnato che la ragione per cui non era possibile giustificare in nessun modo il ricorso alla contraccezione stava nel fatto che era intrinsecamente cattiva, cioè non ordinabile al bene in nessun caso: «non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali».
L’affermazione di mons. Fernández è esattamente la contraddizione di HV, perché afferma nel particolare ciò che HV nega nell’universale. Chissà che non sia stato anche questo articolo a finire sotto la lente dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede, che aveva deciso di non permettere la promozione di Fernández a rettore dell’Università cattolica di Buenos Aires?
A questa conclusione del tutto contraria all’insegnamento della Chiesa, Fernández giunge sul filo di questo ragionamento: 1. il bene di una virtù morale può essere «correttamente interpretato in ordine alla carità fraterna e mai prescindendo da essa» (p. 143); 2. nella gerarchia delle virtù, la carità ha il primato nell’ordine pratico; 3. in alcune situazioni difficili, si può verificare una «vero rapporto concorrenziale tra carità fraterna e virtù morali» (p. 147); 4. in queste situazioni il contenuto pratico della carità fraterna deve avere il primato.
Avremo modo e tempo per mostrare la fallacia di questo ragionamento. Quello che preme mettere in mostra è che in questo modo, non solamente si rende lecito il ricorso al preservativo, quale atto che meglio tradurrebbe, nella situazione concreta, il primato della carità fraterna ‒ «obbligo di curare la comunione amorosa e la stabilità coniugale che la carità più direttamente esige» ‒, ma renderebbe persino eticamente sbagliato rifiutarsi di avvalersi della contraccezione.
E infatti è esattamente quello che Fernández sostiene: «Non va dimenticato che una decisione oggettivamente corretta, nell'ambito di una certa tappa della storia personale, potrebbe comportare un vero e proprio contraccolpo egocentrico su un percorso di crescita personale». Il «contraccolpo egocentrico» starebbe nel fatto che, in nome dell’osservanza della legge naturale, si mortificherebbe la carità fraterna. Affermazione completamente errata, che si basa sulla pretesa assurda “competizione” tra la carità e le virtù morali nella determinazione del fine prossimo di un’azione. Nondimeno, si può intravedere come per Fernández la legge morale sia del tutto estrinseca all’uomo, al punto da dover essere sacrificata, “in certi casi”, perché l’uomo divenga moralmente buono.
Con questa impostazione, l’ampio raggio delle conseguenze si fa subito evidente: perché il ricorso alla contraccezione dovrebbe essere buono solo per una coppia di cui uno non è praticante? Se il coniuge è praticante, ma non riesce a contenersi, e minaccia di far saltare il matrimonio, non si dovrebbe qui osservare il “primato della carità”, secondo l’interpretazione di Fernández? O perché mai una coppia di sposi sterile, per salvaguardare l’unione coniugale, non potrebbe avvalersi di tecniche di fecondazione artificiale? O ancora: perché, due persone che vivono more uxorio e con figli ancora da accudire, non dovrebbero poter proseguire gli atti propri degli sposi, se questo fosse fondamentale per mantenere ai bambini un padre e una madre uniti fra loro? Nella logica del nuovo Prefetto, se non lo facessero, sarebbero addirittura egoisti!
E infatti Fernández non esclude questa espansione, anzi. «Pertanto, in tutte le questioni etiche, in vari modi, si richiede che il discernimento concreto di ogni persona integri il fondamentale principio ermeneutico dell'autotrascendenza fraterna» (p. 151). Notare i corsivi presenti nel testo originale: tutte le questioni etiche, nessuna esclusa, non solo potranno, ma dovranno scalzare, in vari modi, il bene proprio delle virtù, per cedere il posto al presunto primato della carità fraterna. La realtà che ne deriva è la distorsione della carità, il mutilamento delle virtù morali e la polverizzazione degli atti intrinsecamente cattivi. La morale cattolica è finita.
È per questa ragione che abbiamo sostenuto che Fernández sarebbe stato il più grande e forse decisivo sostegno per la nuova Pontificia Accademia per la Vita, nella versione adulterata di mons. Vincenzo Paglia, e per il nuovo Istituto Teologico Giovanni Paolo II, sotto la guida di mons. Philippe Bordeyne. Ora, al Dicastero per la Dottrina della Fede non solo non ci saranno freni, ma acceleratori.
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