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Il mistero dell'Incarnazione secondo Benedetto XVI

Nell'udienza del 9 gennaio 2013 il Santo Padre, Benedetto XVI, ha proseguito la sue catechesi sull'Anno della fede meditando sul significato della parola «Incarnazione», «parola centrale per la fede cristiana». La riflessione.

Articoli tematici 10_01_2013
Papa Benedetto XVI

Nell'udienza del 9 gennaio 2013 Benedetto XVI ha proseguito le sue catechesi sull'Anno della fede meditando sul significato della parola «Incarnazione», «parola centrale per la fede cristiana» la cui comprensione, in un clima d'ignoranza religiosa, non può più essere data per scontata, e il cui significato autentico oggi sfugge anche a molti che pure si dicono cristiani.
«Incarnazione», ci ricorda il Papa, «deriva dal latino “incarnatio”. Sant'Ignazio di Antiochia - fine del primo secolo [ca. 35-107] - e, soprattutto, sant’Ireneo .[130-202] hanno usato questo termine riflettendo sul Prologo del Vangelo di san Giovanni, in particolare sull’espressione: “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14)».

La domanda che questi Padri della Chiesa si ponevano era che cosa significa esattamente «carne». Arrivarono a rispondere che, nel linguaggio del Vangelo, «la parola “carne”, secondo l'uso ebraico, indica l’uomo nella sua integralità, tutto l'uomo, ma proprio sotto l’aspetto della sua caducità e temporalità, della sua povertà e contingenza. Questo per dirci che la salvezza portata dal Dio fattosi carne in Gesù di Nazaret tocca l’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi». E, come scrive sant'Ireneo, trasforma l'uomo definitivamente: «Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio».

L'Incarnazione, commenta il Pontefice, «è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell’evento che essa esprime». Certo, la ricordiamo a Natale: ma «a volte si è più attenti agli aspetti esteriori, ai “colori” della festa, che al cuore della grande novità cristiana», la sconvolgente buona novella di un Dio diventato pienamente uomo. Il Papa cita la costituzione «Gaudium et spes» del Concilio Ecumenico Vaticano II: «Il Figlio di Dio … ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’ uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo».

Un secondo spunto di meditazione proposto da Benedetto XVI riguarda i regali che ci siamo scambiati a Natale. Esagerazioni a parte, si tratta di un gesto originariamente cristiano, che ha a che fare con la memoria dell'Incarnazione. L'idea del dono è costantemente presente nella Messa, al momento dell'Offertorio, e «richiama alla nostra coscienza l’originario dono del Natale: in quella notte santa Dio, facendosi carne, ha voluto farsi dono per gli uomini».
Dunque nei nostri regali di Natale «non è importante che un regalo sia costoso o meno; chi non riesce a donare un po’ di se stesso, dona sempre troppo poco; anzi, a volte si cerca proprio di sostituire il cuore e l’impegno di donazione di sé con il denaro, con cose materiali». Se capiamo il significato della parola «Incarnazione», capiamo anche che «Dio non ha fatto così: non ha donato qualcosa, ma ha donato se stesso nel suo Figlio Unigenito. Troviamo qui il modello del nostro donare».

Terzo spunto di meditazione: il realismo di Dio. In verità, «il fatto dell’ Incarnazione, di Dio che si fa uomo come noi, ci mostra l’inaudito realismo dell’amore divino». Dio non si limita ad ammonirci, non si limita alle parole: «si immerge nella nostra storia e assume su di sé la fatica e il peso della vita umana» in tutta la sua concretezza, in tempi e luoghi determinati. Riflettendo sull'Incarnazione, anche noi dobbiamo quindi «interrogarci sul realismo della nostra fede, che non deve essere limitata alla sfera del sentimento, delle emozioni, ma deve entrare nel concreto della nostra esistenza, deve toccare cioè la nostra vita di ogni giorno e orientarla anche in modo pratico».

Come ha già fatto altre volte, il Pontefice cita il «Catechismo di san Pio X», che egli stesso ha studiato da ragazzo, il quale alla domanda: «Per vivere secondo Dio, che cosa dobbiamo fare?», dà questa risposta: «Per vivere secondo Dio dobbiamo credere le verità rivelate da Lui e osservare i suoi comandamenti con l'aiuto della sua grazia, che si ottiene mediante i sacramenti e l'orazione».

Quarta riflessione: l'Incarnazione è inseparabile dalla Creazione del mondo. Nel Vangelo di Giovanni leggiamo che il Logos era fin dal principio presso Dio, e che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo e nulla di ciò che esiste è stato fatto senza di Lui (cfr Gv 1,1-3). Oltre a ricordare che «l'Antico e il Nuovo Testamento vanno sempre letti insieme e a partire dal Nuovo si dischiude il senso più profondo anche dell’Antico» - un principio esegetico fondamentale, ma oggi spesso dimenticato - san Giovanni qui vuole indicarci che il Verbo, il Logos, è quello stesso Dio che si è incarnato. «Il Dio eterno e infinito si è immerso nella finitezza umana, nella sua creatura, per ricondurre l’uomo e l’ intera creazione a Lui».

Così, finalmente, afferma il «Catechismo della Chiesa Cattolica», si è potuto comprendere il significato profondo della creazione: «La prima creazione trova il suo senso e il suo vertice nella nuova creazione in Cristo, il cui splendore supera quello della prima».
E il Pontefice cita ancora la «Gaudium et spes»: «in realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo... Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l’uomo all’uomo e gli svela la sua altissima vocazione». Questa è «la grande e meravigliosa ricchezza del Mistero dell'Incarnazione».