Il metodo FanPage è scorretto ma in FdI occorre fare pulizia
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Dossieraggio e infiltrazioni dietro il reportage sulla “Gioventù meloniana”. Il che non esonera la Meloni dal fare i conti con l'estremismo e le espressioni inaccettabili udite nei filmati.
Giornalismo d’inchiesta o dossieraggio politico? Ruota attorno a questo interrogativo il giudizio sull’ultimo reportage di Fanpage dedicato ai giovani di Fratelli d’Italia. Sono già andate in onda due puntate sulla “Gioventù meloniana”, realizzate da un giornalista di quella testata che si è infiltrato negli ambienti di estrema destra per registrare e documentare quanto accade nelle loro riunioni. Ciò che emerge è certamente inquietante: insulti antisemiti, razzisti, saluti romani, esaltazione del nazismo, apologia di fascismo da parte di militanti che collaborano o hanno comunque rapporti stretti con i vertici del partito del premier. C’è chi parla di “ebrei che campano di rendita sull'Olocausto”, militanti che inneggiano a “zio Benito”, altri che fanno battute al veleno contro Ilaria Salis (“Deve marcire in galera”).
Tuttavia, occorre farsi alcune domande sulla liceità della condotta di quei giornalisti per verificare se essa risponda o meno ai canoni della deontologia professionale. Da cronisti ci si può infiltrare con l’inganno in riunioni private, riservate agli appartenenti a un determinato movimento o partito, per poi divulgare al grande pubblico ciò che si dice in quei consessi? In generale va detto che la Corte europea dei diritti dell’uomo e anche la stessa Corte Costituzionale in più circostanze hanno dato il via libera a iniziative di giornalismo d’inchiesta finalizzate a divulgare verità di interesse pubblico riguardanti personaggi pubblici o soggetti che ricoprono a vario titolo ruoli pubblici.
Il codice deontologico dei giornalisti in materia di privacy, emanato nel 1998, all’art.2 obbliga chiunque eserciti la funzione informativa a dichiarare la sua identità e le finalità della raccolta dati, a meno che non sia in pericolo di vita o possa esercitare solo in quel modo la funzione informativa. Il diritto all’informazione prevale dunque sulla privacy se esiste un palese interesse pubblico alla notizia o se da quei materiali emerge la prova di un reato. Inoltre in quell’articolo si raccomanda al giornalista di evitare raggiri e pressioni indebite.
Dieci anni fa il Garante della privacy aveva proposto all’Ordine nazionale dei giornalisti di rivedere il testo di quel codice per restringere i confini di liceità dell’utilizzo dei mezzi fraudolenti, proprio al fine di tutelare più efficacemente la privacy delle persone coinvolte nelle riprese con telecamere nascoste. Tuttavia, una bozza di nuovo codice deontologico fu bocciata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, che temeva compressioni della libertà dei giornalisti di fare inchieste, e così tutto è rimasto uguale a 26 anni fa.
In effetti la formulazione originaria e mai modificata dell’art.2 lascia ampia discrezionalità al giornalista e sembra autorizzarlo a prendersi sempre con le cattive quello che non riesce a prendersi con le buone. Così facendo, però, diventa più complesso punire sul piano disciplinare gli abusi di giornalisti disinvolti come quelli di Fanpage che ormai hanno inaugurato un vero e proprio metodo “squadristico” di dossieraggio, fondato sul sistematico ricorso a strumenti di estorsione delle informazioni in ambienti individuati sulla base di un preciso disegno politico e ideologico. Prima, cioè, si stabiliscono a tavolino i nemici da colpire, poi si fa di tutto per trovare il pretesto per colpirli, introducendosi con il trucco nei loro ambienti.
Al contrario il giornalismo d’inchiesta è sincero e imparziale accostamento a realtà da esplorare, senza pregiudizi né precomprensioni, quindi non ha nulla a che fare con lo spionaggio fatto da Fanpage verso obiettivi predeterminati.
Detto questo, però, con onestà intellettuale bisogna commentare anche quello che è emerso dai filmati girati da quella testata giornalistica, cioè particolari agghiaccianti che sarebbe sbagliato derubricare a isolate intemperanze di qualche facinoroso. Esiste un alfabeto ideologico di matrice fascista assai chiaro e palese e appare quantomeno imbarazzante che tutto ciò riguardi la forza politica che ha sfiorato il 30% di consensi alle ultime europee e traina l’intero centrodestra di governo. I leader meloniani hanno subito definito «inaccettabili le frasi che si sentono nei filmati» e si sono dissociati apertamente da quegli eccessi verbali, contenenti «un linguaggio incompatibile con i valori di riferimento del nostro movimento politico». Giorgia Meloni è stata netta: «Dico a quei ragazzi che Fratelli d’Italia non potrà mai essere la loro casa, perché da noi non c’è spazio per l’odio antisemita, razzista e di qualsiasi altra natura».
A onor del vero, però, già altre inchieste giornalistiche in passato avevano evidenziato il marcio che ancora si annida negli ambienti di destra dai quali proviene Giorgia Meloni e che appaiono ancora contrassegnati da un becero estremismo, del tutto incompatibile con i comportamenti richiesti al partito di maggioranza relativa che governa un Paese democratico e che esprime il presidente del consiglio.
Tutto questo riporta al deficit di cultura di governo di una parte della classe dirigente di Fratelli d’Italia, che si è trovata catapultata nei posti di potere un anno e mezzo fa e non è riuscita nel frattempo a fare i conti con il suo passato, rimanendone in qualche modo ostaggio. Il “cerchio magico meloniano”, che ricorda tanto quello di Renzi di dieci anni fa, comprende solo famigliari e fedelissimi e risulta impermeabile ad apporti esterni di matrice culturale diversa. Il rischio alla lunga è quello dell’implosione.
In definitiva, lo stile di Fanpage si conferma un limpido esempio di cattiva informazione, ma Meloni sbaglierebbe se sottovalutasse la sostanza del problema, cioè i sentimenti ostinatamente nostalgici di una parte dei militanti di Fratelli d’Italia.
Giorgia Meloni e quegli imbarazzi per le gaffe dei suoi fedelissimi
Giorgia Meloni risponde per tre ore alle domande dei giornalisti. Imbarazzo per una classe dirigente non all'altezza (vedi caso Pozzolo), l'ombra del familismo. Ma molto decisionismo.