Il mercato della armi ridefinisce le alleanze
I casi della Turchia e della Polonia stanno creando attriti forti all'interno della Nato. Ankara, soprattutto, ha dato uno strappo decidendo di acquistare missili anti-aerei dalla Russia in pieno clima di nuova guerra fredda. E Varsavia attira le ire di Parigi preferendo elicotteri americani e italiani a quelli francesi
Da sempre l’acquisizione di armamenti è un affare più politico che tecnico-militare e le esigenze delle forze armate sono spesso subalterne a interessi politici e industriali.
Se si escludono le grandi potenze che solitamente hanno la piena autonomia nella produzione di sistemi d’arma di ogni tipo, quasi tutte le nazioni del mondo gestiscono le forniture militari in un equilibrio che cerca di bilanciare necessità militari, budget disponibile, industria nazionale e alleanze strategiche. Se in passato i Paesi del Patto di Varsavia compravano armi sovietiche sviluppando una propria industria nazionale “parallela” ma non competitiva con Mosca, in Europa Occidentale i membri della Nato acquistavano armi per lo più statunitensi facendo però crescere, durante la guerra fredda, una poderosa industria europea.
L’equilibrio tra questi due elementi è ben visibile anche oggi nel dibattito sorto intorno all’aereo statunitense F-35 che verrà acquisito da molti Paesi europei (indipendentemente dal fatto che si riveli o meno un buon velivolo) mettendo così a repentaglio la capacità dell’industria aeronautica del Vecchio Continente di restare competitiva sul mercato sviluppando nuovi modelli di cacciabombardiere.
Se il peso politico ed economico delle alleanze e degli schieramenti è preponderante in Europa e nella NATO nelle decisioni circa le armi da acquistare, nelle monarchie del Golfo intimorite dalla crescente potenza iraniana, la parola d’ordine è “doppia acquisizione” di armamenti negli USA e in Europa. Un sistema costosissimo e ridondante che vede di fatto la duplicazione dei sistemi d’arma con prodotti di differente origine, in modo da non rischiare sorprese in caso di interruzione delle relazioni (e degli approvvigionamenti) con qualche alleato occidentale durante un conflitto. Le petromonarchie del Golfo possono permettersi certi lussi e addirittura, in qualche caso, hanno comprato persino armi russe nonostante il confronto aspro con Mosca circa il conflitto siriano.
Due vicende esplose negli ultimi giorni mostrano il peso ma anche il significato politico delle forniture militari negli equilibri politici e strategici. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan continua a dare segnali di distacco dagli (ex?) alleati occidentali e della Nato e lo dimostra da alcuni anni anche con il programma militare teso ad acquisire un sistema di difesa aerea contro i missili balistici e da crociera del valore di 3 miliardi di dollari. La gara sembrava ridotta al confronto tra il concorrente americano Patriot (favorito dalle pressioni di Washington) e quello italo-francese SAMP/T (più gradito ai militari turchi) invece il vincitore è stato il cinese HQ-9 il cui contratto non ha però mai visto la luce perché non era ovviamente integrabile con la rete di difesa aerea della Nato.
La scelta di missili cinesi ebbe l’anno scorso il sapore della provocazione da parte di una Turchia sempre più riottosa nei confronti degli Stati Uniti e della Ue. Una posizione confermata e rafforzata dopo il fallito golpe con l’annuncio che Ankara acquisirà in Russia il suo “scudo antimissile”. Probabilmente si tratterà di batterie missilistiche S-300, già vendute da Mosca a Siria, Iran e a molti altri Paesi, ma è indubbio che nell’attuale clima di rinnovata guerra fredda, Erdogan non si farà certo nuovi amici a Washington. Se l’affare andrà in porto l’irritazione di Usa e Ue potrebbe avere pesanti ripercussioni. La Turchia sarà il primo Paese della Nato a disporre di un sistema di difesa aerea non integrabile con quello degli alleati: una decisione che potrebbe anticipare l’uscita di Ankara dall’Alleanza Atlantica confermando un evidente riposizionamento strategico e geopolitico che potrebbe sconvolgere definitivamente gli equilibri del Medio Oriente e del Mediterraneo Orientale.
Clima pesante in questi giorni anche tra Francia e Polonia per una commessa di 50 elicotteri Caracal (3 miliardi di euro) realizzati dai francesi di Airbus e attribuita dal precedente governo polacco di centrodestra, ma cancellata il 5 ottobre dall’attuale esecutivo nazionalista di Varsavia che ha preferito comprare elicotteri Black Hawk americani (e forse anche gli italiani AW149) prodotti in stabilimenti polacchi. La commessa aveva sollevato già polemiche perché Airbus non dispone di propri stabilimenti in Polonia a differenza dei concorrenti italiani di Finmeccanica-Leonardo e degli americani di Sikorsky, anche se i francesi si erano impegnati a realizzare in Polonia uno stabilimento per l’assemblaggio dei velivoli. Il governo polacco ha però stabilito il criterio di privilegiare concorrenti che avessero già impianti produttivi in Polonia per tutelare i posti di lavoro nazionali, anche se la querelle presenta forse anche connotazioni politiche che nulla hanno a che fare con gli aspetti militari.
La Francia è, con la Germania, tra i partner Ue più critici nei confronti del governo nazionalista polacco, accusato di violare la libertà d’espressione di non voler accogliere immigrati clandestini e di non accettarne la ripartizione in Europa in base a quote nazionali. Che la questione in ballo non siano solo gli elicotteri lo dimostrano anche le furiose reazioni francesi. Il presidente François Hollande ha cancellato la prevista visita a Varsavia e ha commentato la scelta di Varsavia d acquisire gli elicotteri Black Hawk affermando che “ci sono Paesi europei che pensano che gli Stati Uniti saranno sempre pronti a proteggerli al punto da acquistare armi solo dagli Usa e non dagli europei”. Il primo ministro, Manuel Valls, il 7 ottobre si è detto preoccupato “per le conseguenze della decisione polacca sulla concezione della difesa europea”, mentre una fonte diplomatica francese ha detto al quotidiano Le Monde che quanto accaduto “sottolinea le contraddizioni politiche del governo polacco perché questo contratto contribuiva alla costituzione di un’Europa della difesa voluta dalla stessa Polonia”.
Curioso che per Parigi essere dei veri europei significhi comprare prodotti “made in France”.