Il massacro di Bucha e la voglia di guerra
Se si volesse davvero la verità bisognerebbe istituire immediatamente una commissione internazionale indipendente per appurare le responsabilità del massacro di Bucha. Ma sembra troppo forte la voglia di usare questo episodio per inasprire la guerra e coinvolgere maggiormente l'Europa.
Ogni giorno che passa i rumori di guerra si fanno sempre più forti, governi e principali media sono un tutt’uno nel reclamare la testa del presidente russo Vladimir Putin, e guai a chi osa anche solo porsi e porre qualche domanda. Finisce immediatamente nel girone dei traditori, dei filo-russi, dei negazionisti, come era già accaduto durante la pandemia per chi non si è vaccinato o era critico del Green pass.
Dunque, ora il nemico è la Russia e Putin in particolare. Ieri l’Italia, insieme ad altri Paesi europei, ha espulso 30 diplomatici russi, per una non meglio precisata minaccia alla sicurezza nazionale; oggi l’Unione Europea varerà nuove sanzioni contro la Russia; e soprattutto aumenta di giorno in giorno il coinvolgimento militare dei paesi occidentali a sostegno di Kiev: ieri anche il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha ribadito che la NATO aumenterà il sostegno militare.
A fare da colonna sonora a questa corsa alle armi è il massacro di Bucha, la cittadina vicina alla capitale Kiev dove – dopo il ritiro dei soldati russi - sono stati rinvenuti i corpi di centinaia di civili torturati e uccisi. Il massacro di Bucha è subito diventato il principale capo d’accusa contro Putin, definito ancora una volta «criminale di guerra» dal presidente statunitense Joe Biden. E ciò rende neanche pensabile opporre qualche resistenza a questa preoccupante escalation.
Eppure, come abbiamo scritto ieri e come diversi inviati di guerra sostengono, su quanto avvenuto a Bucha ci sarebbero molte cose da chiarire (vedi qui).
Ovviamente, solo a fare una domanda si è sommersi da accuse o insulti di ogni tipo, e basterebbe questo a far crescere i sospetti. Non perché non si ritenga i militari russi capaci di atrocità del genere, ci mancherebbe: la storia, anche recente, fornisce molti esempi. Ma di atrocità si sono macchiati anche gli ucraini, purtroppo la guerra è questo. Soprattutto sappiamo anche benissimo il ruolo che gioca la propaganda in questa guerra, così come in tutte le guerre. E quante volte si sono creati ad hoc dei fatti per demonizzare il nemico e giustificare la guerra. Anche in questo mese abbiamo visto in azione una forte propaganda, sull’uno e sull’altro fronte. Quindi nulla ci deve stupire. Non è perciò un problema di cultura del dubbio o di complottismo o di simpatie per Putin: è una questione di prudenza davanti a fatti la cui spiegazione è quantomeno lacunosa.
Per questo sarebbe cosa di buon senso istituire una commissione indipendente internazionale chiamata ad appurare in tempi rapidi quanto veramente accaduto a Bucha. E dovrebbe essere soprattutto nell’interesse dell’Europa fare luce sull’accaduto viste le conseguenze che questo episodio avrà sul prosieguo della guerra. Non sembra però che ci sia nessuno seriamente intenzionato a percorrere questa strada, sembra che la voglia di combattere questa guerra sia così forte da non potersi permettere alcuna esitazione: il massacro di Bucha arriva a proposito per giustificare coinvolgimenti sempre maggiori silenziando qualsiasi opposizione.
Piuttosto, quanto avvenuto a Bucha, qualsiasi sia la spiegazione, ci dovrebbe far aprire gli occhi sul fatto che la guerra è sempre atrocità, è sempre morte, è sempre distruzione: non solo distruzione degli edifici e delle strutture, è distruzione dei cuori, è moltiplicazione dell’odio e del risentimento che si protrae per generazioni e che è causa molto spesso di altre guerre. Solo chi l’ha letta sui giornali o sui libri può pensare che la guerra porti a una risoluzione dei problemi. E a non calcolare invece le conseguenze catastrofiche di un allungamento dei tempi e di un allargamento delle parti coinvolte.
Per questo ci si deve adoperare perché si arrivi prima possibile a un cessate il fuoco e a un accordo. Riconoscere la differenza tra aggressore e aggredito, e riconoscere il diritto alla difesa di chi è aggredito non è in contrasto con la ricerca di una soluzione negoziata. Dipende dall’obiettivo vero che ci si prefigge: in questo caso, se arrivare in fretta a una pace più possibile giusta, o cogliere l’occasione per dare una lezione a Putin e indebolire la Russia.
Sembra abbastanza chiaro che Stati Uniti e Nato puntino a questo secondo obiettivo; del resto che si voglia un cambiamento di leader a Mosca ormai è stato detto esplicitamente. Ma le implicazioni di questa scelta sono gravi: perché a pagarla è innanzitutto il popolo ucraino (compresa la parte russofona), che conta già migliaia di morti e 4 milioni di profughi e sul cui territorio si sta combattendo; e poi tocca all’Europa: nell’immediato la si paga economicamente ma sappiamo come le guerre vanno facilmente fuori controllo e ci si potrebbe trovare coinvolti in un vero e proprio conflitto in cui anche l’arma atomica non sarebbe più tabù. Purtroppo, a quanto si vede, la corsa verso il baratro è iniziata.