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letteratura

Il martirio di san Thomas Becket nei versi di Eliot

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L’uccisione dell’arcivescovo di Canterbury viene messa in scena nel capolavoro del poeta inglese, e con essa il profondo senso religioso del protagonista e dell'autore.

Cultura 29_12_2023

«Fermiamoci qui, vicino alla cattedrale./ Aspettiamo qui. Siamo trascinate da un pericolo? È un sentimento di salvezza che trascina / i nostri passi verso la cattedrale? Quale pericolo può esistere ancora / per noi povere, povere donne di Canterbury? / Quale sciagura che non ci sia già familiare?»: con queste domande di un coro di donne che sosta davanti alla cattedrale della città inglese, inizia uno dei capolavori più conosciuti della produzione letteraria del poeta inglese Thomas Stearns Eliot, Murder in the Cathedral ossia Assassinio nella cattedrale, dramma in versi rappresentato per la prima volta proprio a Canterbury nel giugno del 1935.

Il dramma narra l’uccisione dell’arcivescovo di Canterbury, san Thomas Becket, di cui oggi ricorre la memoria liturgica. Figura affascinante quella di Becket: nominato cancelliere dello Scacchiere nel 1155 da re Enrico II; alla morte dell’arcivescovo Teobaldo (nel 1162) viene nominato arcivescovo di Canterbury. Questa nomina segna profondamente la sua vita: avviene un radicale cambiamento che lo porta a seguire il costume e l’austerità dei monaci del tempo e a vivere radicalmente il Vangelo.            Si trova, poi, in contrasto con il re, difendendo l’autonomia della Chiesa contro le rivendicazioni reali presenti nelle Costituzioni di Claredon (1164). Una scelta che gli costerà l’esilio in Francia per poi rientrare – senza mutare il suo pensiero in merito alla difesa della libertà della Chiesa d’Inghilterra – nella sua amata Canterbury nel 1170. Il 29 dicembre dello stesso anno viene ucciso davanti all’altare della cattedrale rifiutando il tentativo dei monaci di barricare le porte della chiesa. Un martire che  prima di cadere ucciso pronuncerà le parole: «Sono pronto a morire per il nome di Gesù e per la difesa della Chiesa».

Ed è proprio questa barbara uccisione che viene messa in scena nel capolavoro di Eliot. C’è molta Storia (quella con la “S” maiuscola) nelle pagine di Assassinio nella cattedrale. Allo stesso tempo però viene messo in scena tutto il profondo senso religioso non solo dell’arcivescovo martire ma dello stesso Eliot. L’autore inglese nel suo Dialogue on Drammatic Poetry del 1928 aveva scritto: «Quando un’epoca possiede una pratica e una fede religiosa stabile, allora il dramma può e dovrebbe tendere verso il realismo [...] Più facili, più caotiche sono le convenzioni etiche e religiose, e più il dramma deve tendere nella direzione della liturgia». E sarà proprio una sorta di liturgia della Passione del martirio quella che Eliot metterà in scena nei versi del suo dramma. Un teatro di parola, di poesia, di antinaturalismo è ciò che vibra in Assassinio nella cattedrale: ogni verso, ogni singola parola, ogni pagina sembra uscire da un silenzio fatto di preghiera, da una meditazione, per divenire canto poetico e liturgico assieme. Pagine che entrano nella mente del lettore-spettatore con una forza inaudita: sono dardi infuocati i versi di Eliot, testimonianza di una fede viva e profonda – viscerale si potrebbe definire – dell’autore che nel personaggio dell’arcivescovo prende forma e corpo.

Fare una selezione delle scene più importanti dell’opera è impresa non facile perché ogni verso è rugiada fresca che rinsalda l’anima, lo spirito. Vi è una certa difficoltà nel distaccarsi dalle parole del poeta inglese: le pagine di Assassinio nella cattedrale rappresentano uno dei punti più alti della vasta produzione letteraria dello scrittore-poeta. Il concatenarsi di personaggi e scene, di situazioni e drammi interiori, rappresentano la forza di questo dramma che –  seppur scritto per il teatro – potrebbe leggersi come un romanzo, se non come anche un vero e proprio saggio di spiritualità.

Nella prima parte troviamo uno strenuo dibattito psicologico, morale, che prende forma in san Thomas Becket: un conflitto interiore che molto somiglia a quello di Cristo nell’orto dei Getsemani.   E questo confronto con Gesù troverà il suo culmine nella scena-principe della prima parte. È la scena dei quattro tentatori che cercano di distogliere il santo vescovo dalla retta via, quella di abbandonarsi totalmente alla volontà di Dio. Il tutto somiglia molto alla scena evangelica delle tenazioni nel deserto. Nel dramma di Eliot troviamo: il primo tentatore che offre al vescovo il benessere della corte inglese mentre il secondo lo sollecita a usare il proprio potere spirituale per agire con la forza così come farebbe qualsiasi uomo di stato, a scapito però del potere della preghiera; il terzo gli proporrà l’amicizia dei baroni. Ma il dialogo con il quarto tentatore è quello più sottile, quello che riesce a donarci una riflessione per nulla scontata sul cosa voglia dire il bene e l’agire bene. Le parole del quarto tentatore sono una mirabile espressione dell’arte poetica di Eliot: «Potere temporale per fare un mondo buono,/ per conservare l’ordine, l’idea che il mondo ne ha. / Chi mette la sua fede nell’ordine del mondo/ non controllato dall’ordine di Dio, / in fiduciosa ignoranza, non ferma il disordine, / lo accelera, nutre la malattia mortale, / degrada ciò che esalta». E ancora: «Finiranno i miracoli, e i fedeli spariranno. / E gli uomini daranno il loro meglio per scordarti. / E peggio poi, quando nemmeno ti odieranno a sufficienza / per esecrarti o calunniarti, / ma peseranno ciò che ti mancava / e guarderanno solo al fatto storico. / Quando dichiareranno che non c’è mistero / in questo uomo, che ha solo fatto la sua parte nella storia». A queste parole, dopo attenta riflessione, Becket risponderà: «Adesso è chiara la mia strada, adesso è chiaro il senso: / non tornerà la tentazione in questo modo. / L’ultima tentazione è il più grande tradimento: / fare l’azione giusta per il motivo sbagliato».

Altra pagina immortale dell’opera di Eliot è la predica della mattina di natale del 1170. Siamo a pochi giorni prima del suo assassinio. Questo, uno dei passaggi più incisivi: «Ogni volta che una Messa vien detta, noi facciamo rivivere la Passione e la Morte di Nostro Signore; e, in questo giorno di Natale, noi la rinnoviamo nella celebrazione della Sua Nascita. Cosicché, nel medesimo momento, godiamo della Sua venuta per la salvezza degli uomini, e rioffriamo a Dio il Suo Corpo e il Suo Sangue in sacrificio, oblazione, e soddisfazione, per i peccati del mondo intero. [...] Noi non solo celebriamo insieme, nella festa di Natale, la Nascita di Nostro Signore e la sua Morte, ma, nel giorno seguente, celebriamo il martirio del Suo primo martire, il beato Stefano. Credete che sia, per caso, che il giorno del primo martire segua immediatamente il giorno della nascita di Cristo?».

La seconda parte ci pone di fronte al suo sacrificio. È il 29 dicembre 1170. San Thomas Becket non sfugge al martirio ma lo affronta con salda fede, con lo spirito di chi non ha nulla da temere sapendo che il suo morire per la fede, per le sue idee, produrrà rigogliosi frutti: «Io sono un prete, un cristiano, salvato dal Sangue di Cristo, pronto ad offrire il mio sangue. È questo il segno della Chiesa, sempre, il segno del sangue, sangue per sangue. Lui ha dato il Suo sangue per comprar la mia vita, darò il mio sangue, per pagar la Sua morte per me: la mia morte, per la Sua morte».



L'ORIGINE DELLE COSTITUZIONI

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