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l'altra resistenza/5

Il lato oscuro della Resistenza

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Le vendette che portarono ai massacri successivi alla Liberazione. Il desiderio di vendetta dei partigiani nei confronti del nemico vinto, ma i “nemici” erano anche donne e ragazzi in un parossismo di furia sanguinaria, priva di discernimento che non aveva nulla a che fare con la giustizia.

Cultura 25_04_2025

Il desiderio di pace che era stato proprio di Pietro Ferreira e di tanti altri partigiani cristiani non fu esaudito. Prima di descrivere brevemente le vendette che portarono ai massacri successivi alla Liberazione è necessario premettere che, nel corso della guerra civile, Guardia Nazionale Repubblicana, Brigate Nere, Decima MAS e altri reparti repubblicani commisero crimini atroci contro la popolazione ma, soprattutto contro i partigiani. Nell’ambito di una guerra civile spietata le fucilazioni dei prigionieri erano la norma, da una parte e dall’altra, ma quel che impressiona è il sadismo delle torture inflitte dai fascisti per pura crudeltà, senza nemmeno il fine di estorcere informazioni. I tedeschi (non solo le SS, anche reparti regolari della Wehrmacht) assassinarono quasi 16.000 persone di cui quasi 12.000 civili. I fascisti uccisero 3.144 persone di cui 898 civili ma italiani e tedeschi uccisero 4700 persone di cui 3.000 civili. (Dati ricavati da ricerche su https://www.straginazifasciste.it

È quindi comprensibile, anche se non giustificabile, il desiderio di vendetta dei partigiani nei confronti del nemico vinto laddove, però, i “nemici” erano anche donne e ragazzi in un parossismo di furia sanguinaria, priva di discernimento che non aveva nulla a che fare con la giustizia. Sul numero delle vittime si scatenò, da subito, la solita bagarre all’italiana ma, attualmente, ci si attesta sui 10mila – 15mila morti. La qual cosa non è da ritenersi riduttiva: innanzitutto perché si tratta di un numero molto alto, se confrontato a quelli sopra riportati delle vittime del nazifascismo, per di più ottenuto solo nel settentrione del paese e in poco più di quattro mesi, da aprile a luglio 1945 anziché in venti.

Una di queste stragi, quella di Schio, compiuta nella notte tra il 6 e il 7 luglio, causò l’uccisione di 54 prigionieri fascisti o presunti tali. Tra i responsabili venne indicato anche Germano Baron ma ciò appare inverosimile perché, quella notte stessa, Baron ebbe un incidente in motocicletta e morì il giorno dopo. La motivazione della medaglia d’oro al valor militare recita che Baron «morì in servizio nell’adempimento del suo dovere» e ciò offre l’opportunità di elencare sia motivazioni di medaglie d’oro che non hanno rapporto con la realtà dei fatti sia altre morti misteriose della Resistenza.   

Il tenente dei bersaglieri Antonio Cambriglia, per esempio, era stato paracadutato per prendere contatto coi partigiani. «Accettato combattimento con pochi patrioti contro preponderanti forze nazifasciste – così recita la motivazione – conscio della propria sorte … chiudeva la sua eroica vita ecc». Per lo storico Antonio Bianchi, nel suo “La Spezia e Lunigiana: società e politica dal 1861 al 1945” Cambriglia fu ucciso durante una rapina il 2 novembre del 1944. Bianchi appare sicuramente ben informato e credibile: e allora perché questa motivazione?

Altri misteri circondano quanto accadde tra Monte Sole e Grizzana prima, durante e dopo la strage di Marzabotto del settembre 1944. Nel primo giorno di rastrellamento morì Mario “Lupo” Musolesi, comandante della brigata “Stella “Rossa”. Nella motivazione si legge che Musolesi «attaccato infine da schiaccianti forze di SS tedesche, si difendeva disperatamente e cadeva da eroe alla testa dei suoi uomini». In realtà “Lupo”, il vicecomandante Gianni Rossi e un terzo partigiano avevano abbandonato il combattimento per andare a cercare aiuto come riferì lo stesso Rossi.

Un’altra medaglia d’oro della “Stella Rossa” ha una storia giudiziaria imbarazzante e il protagonista è un povero ragazzo, Gastone Rossi, fratello di Gianni. Secondo la motivazione il ragazzo «in una dura azione di fuoco, accortosi che una mitragliatrice nemica decimava i partigiani, si lanciava da solo all’assalto per distruggerla a colpi di bombe a mano, immolando così i suoi sedici anni alla Patria».—  Tutto ciò anche se il bollettino del Comando Unico Militare Emilia Romagna del 5 settembre 1944 racconta che Rossi morì in seguito a ferita riportata per un incidente di servizio e vi fu un procedimento penale a carico di Cleto Comellini per omicidio colposo dato che i due ragazzi, il 3 settembre, mentre giocavano con una pistola carica, fecero partire un colpo che uccise il povero Gastone: ma la motivazione rimane sul sito del Quirinale e su quello dell’ANPI.

La storia di Augusto Bazzino, partigiano ligure si intreccia con quella della sventurata Giuseppina Ghersi seviziata e massacrata a tredici anni dai partigiani dopo la Liberazione. Nella motivazione della MOVM si legge che Bazzino, combattendo alla testa dei suoi uomini, rimase gravemente ferito, morendo il 28 aprile. In realtà due giorni prima, lo zio di Giuseppina, Attilio Mongoli, borsanerista, stava per essere fucilato dai partigiani con altri disgraziati dagli uomini del Bazzino. Un condannato cercò di fuggire e Bazzino lo inseguì ma un partigiano tirò una raffica uccidendo il condannato e ferendo a morte il proprio comandante

Può capitare che la decorazione sia conferita a chi effettivamente l’aveva meritata ma riferendo circostanze non vere, come nel caso di Pietro Maset, valoroso capitano degli alpini e comandante della brigata “Ippolito Nievo”. “Attaccato da forze soverchianti – recita la motivazione - si batté da eroe infliggendo al nemico gravissime perdite finché colpito mortalmente in fronte, cadde fulminato”. In realtà non ci fu nessuno scontro a fuoco. Maset aveva lasciato il campo dove si trovavano a i suoi uomini e venne assassinato da un tiratore scelto appostato nei pressi.

Ancora più assurda è la motivazione di un eroico militante socialista, Paolo Fabbri. «Nel corso di una azione di collegamento ... addentratosi tra i nevosi valichi dell’Appennino, stremato di forze, perdeva la vita. 14 febbraio 1945». Le cose andarono in maniera molto diversa. Paolo Fabbri aveva passato le linee e gli era stata affidata una somma ingente da portare a Bologna. Insieme a un compagno, all’ultimo momento decise di lasciare la somma al comando partigiano socialista e si avviò nella neve accompagnato da una guida locale. Qui il terzetto fu vittima di un’imboscata. Paolo Fabbri e il suo compagno furono trovati solo dopo la fine della guerra col cranio perforato da proiettili. 

Di casi come questi ve ne furono tanti, forse troppi e non sono mai stati chiariti. I capi partigiani anarchici Savino Fornasari ed Emilio Canzi rimasero uccisi in altrettanti incidenti stradali; permane fitto il mistero del suicidio dell’autonomo Manrico «Pippo» Ducceschi subito dopo la fine della guerra; gli ufficiali Ugo Ricci e ed Edoardo Alessi non caddero sotto il fuoco fascista ma, più probabilmente, per «fuoco amico». Il caso più misterioso di tutti, un vero giallo per l’importanza della vittima fu la morte, ancora una volta per incidente stradale di Aldo Gastaldi “Bisagno”, uno dei più straordinari comandanti partigiani di tutta la guerra. Di questo sarà trattato nella prossima puntata.



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