Il Kenya chiude due campi profughi che ospitano centinaia di migliaia di rifugiati
La chiusura annunciata, entro quattro mesi, riguarda in gran parte dei rifugiati somali. Il Kenya dà 14 giorni di tempo all’Unhcr per predisporre un piano di rimpatrio e riallocazione
Il 24 marzo il Kenya ha ordinato la chiusura dei due campi profughi di Kakuma e Dadaab che insieme ospitano oltre 414.000 persone, in gran parte provenienti dalla Somalia. Kakuma, composto da due insediamenti, si trova nel nord ovest, è stato fondato nel 1992 per ospitare i rifugiati dal Sudan, ai quali si sono subito aggiunti rifugiati etiopi, somali e, in piccoli numeri, provenienti dal Burundi e dalla Repubblica democratica del Congo. Dal 2014 è sovrappopolato e attualmente ospita poco più di 196.000 persone. Dadaab, nel centro nord, è un insieme di tre campi, creati nel 1991 allo scoppio della guerra civile somala e che nel 2011hanno visto un nuovo consistente afflusso di rifugiati somali in fuga dalla carestia scoppiata nel sud della Somalia. Attualmente Dadaab ospita quasi 219.000 rifugiati quasi tutti somali. Il ministro dell’interno Fred Matiang’i ha dato 14 giorni di tempo all’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), che contribuisce alla gestione dei due campi, per presentare un piano per il rimpatrio di tutti i rifugiati entro quattro mesi. Già nel 2016 il Kenya aveva annunciato di voler chiudere Dadaab e Kakuma, ma, ha precisato il ministro dell’interno, “questa volta non c’è spazio per ulteriori trattative e negoziati”. Come allora, la motivazione per la chiusura, in particolare nel caso di Dadaab, sono problemi di sicurezza nazionale. Secondo le autorità kenyane c’è la prova che alcuni attacchi terroristici messi a segno in Kenya dal gruppo jihadista somalo al Shabaab sono stati organizzati nei campi profughi. Per le autorità kenyane una parte dei rifugiati dovrebbero tornare nei rispettivi paesi. Altri andrebbero trasferiti in altri stati disposti a ospitarli. L’Unhcr ha raccomandato che sia garantita protezione alle persone che ne hanno bisogno e si è detto disposto al dialogo: “la decisione avrebbe un impatto sulla protezione dei rifugiati in Kenya, tanto più nel contesto della presente pandemia di COVID-19”. La Somalia ancora non ha commentato l’annuncio.