Il governo iraniano ingiunge ai cristiani di non unirsi alle proteste
Cresce la partecipazione dei cristiani alle manifestazioni di protesta, in corso da tre mesi, a fianco dei cittadini iraniani che chiedono libertà e rispetto dei diritti umani
Le proteste di piazza iniziate in Iran con l’uccisione della giovane curda Mahsa Amini, arrestata per aver indossato il velo islamico prescritto in modo inappropriato e deceduta in carcere, si ritiene per le violenze subite, sono entrate nel terzo mese e il governo ora minaccia le minoranze, specialmente quella cristiana, intimando loro di astenersi dal partecipare alle manifestazioni. Il crescente clima intimidatorio nei confronti dei cristiani, religiosi e laici, è la reazione al fatto che con il trascorrere delle settimane sempre più cristiani hanno deciso di aderire alle proteste. Nonostante le esortazioni dei capi delle chiese a smettere perché rischiavano un imminente arresto e avvertimenti da esponenti e parlamentari cristiani a non farsi coinvolgere, tuttavia molti hanno rifiutato di stare a guardare. “Siamo sì cristiani – è la risposta dei giovani che affiancano quelli islamici – ma siamo anche iraniani e viviamo in questo paese, questa è la nostra patria e intendiamo batterci nella lotta comune per la libertà e i diritti”. In una nota diffusa di recente – riferisce l’agenzia di stampa AsiaNews – il Consiglio delle Chiese iraniane unite ha condannato la “sistematica repressione delle donne” e “le violazioni dei diritti umani” rivendicando il diritto della popolazione a “libertà, giustizia e parità per tutti”. Nel documento si legge: “come molte persone del nostro paese che hanno protestato per le strade con un coraggio senza pari dopo la morte di Mahsa, ci opponiamo all’imposizione dell’hijab al popolo iraniano che è caratterizzato da una diversità sul piano religioso, etico, culturale e ideologico”. In Iran i cristiani sono circa 25.000.