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CRISI POLITICA

Il governo Draghi se ne va. Anzi torna. Inizia il mercato

Da qui a mercoledì sarà un tira e molla. Il voto di ieri in Senato dimostra che il governo Draghi può fare a meno del M5S. Ma Draghi vuole averli all'opposizione, rafforzando così la Lega nell'esecutivo? A premere per il voto è soprattutto la Meloni. Salvini è tentato. Letta e Berlusconi vogliono restare. Nei prossimi giorni sarà mercato (delle vacche).

Politica 15_07_2022
Il dibattito in Senato sul Decreto Aiuti

Da qui a mercoledì sarà un tira e molla. Le tensioni tra i partiti della maggioranza esploderanno ma dietro le quinte si cercherà di ricomporre la maggioranza che da ieri sembra defunta. Le dimissioni di Mario Draghi, respinte dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sono arrivate dopo che il Governo aveva ampiamente superato la prova dell’aula di Palazzo Madama, ricevendo la fiducia dell’assemblea sul decreto aiuti con 172 sì e 39 no. C’era però un dato politico: i 61 senatori del Movimento Cinque Stelle, 15 dei quali in missione e quindi impossibilitati a partecipare, sono usciti dall’aula e quindi di fatto hanno dichiarato guerra all’esecutivo. Draghi potrebbe fare a meno di loro anche nel prossimo futuro, ma non vuole lasciare al suo rivale Giuseppe Conte il monopolio dell’opposizione e dunque non accetta di proseguire il cammino del suo esecutivo senza il Movimento Cinque Stelle.

Mercoledì il Presidente del Consiglio dovrà andare alle Camere per verificare se ci sia ancora una maggioranza. Una sceneggiata, visto che sicuramente avrà i voti per proseguire l’esperienza di governo. Il problema è che, come detto, non vuole, perché teme di farsi cuocere a fuoco lento dai grillini che, all’opposizione, potrebbero soffiare sul vento della protesta e rendere più incerta la navigazione del suo governo. Inoltre, l’uscita dei grillini dall’esecutivo sbilancia verso destra gli equilibri e quindi consegna a Matteo Salvini un potere di ricatto ancora maggiore di quello che ha ora. E Draghi questo non lo reggerebbe.

Al lavoro, da ieri, ci sono i pontieri, che stanno provando a ricucire lo strappo tra Conte e Draghi. Anzitutto Enrico Letta, che vede come fumo negli occhi la prospettiva di un ritorno anticipato alle urne, perché questo vorrebbe dire addio al campo largo con il Movimento Cinque Stelle. Come farebbero i dem a giustificare agli occhi del proprio elettorato un’alleanza con chi ha posto fine in anticipo all’esperienza del governo Draghi? Anche Silvio Berlusconi frena perché teme che Giorgia Meloni stravinca eventuali elezioni anticipate e non abbia neppure bisogno dei suoi voti per governare. Matteo Salvini, invece, potrebbe utilizzare il voto per rilanciarsi in una campagna elettorale con toni barricaderi.

Ma ci sono centinaia di parlamentari che sono disposti a tutto, pur di non andare a casa, con la quasi certezza di non tornare alla Camera o al Senato. Quindi, assisteremo nelle prossime ore al classico “mercato delle vacche”, con i seguaci di Luigi Di Maio a caccia di transfughi grillini per tentare di rendere irrilevante l’opposizione dei contiani. Si parla di venti senatori grillini pronti a passare con il ministro degli Esteri, il che svuoterebbe di significato le prese di posizione dell’avvocato del popolo. Altre voci, però, danno il Movimento Cinque Stelle compatto attorno all’ex premier, che avrebbe ritrovato l’idillio con Beppe Grillo e quindi si sentirebbe al sicuro.

Se la campagna acquisti dei filo-draghiani non sortisse effetto da qui a mercoledì, Draghi potrebbe confermare le sue dimissioni e a quel punto le urne sarebbero inevitabili, con un traghettatore istituzionale come Giuliano Amato. Se invece Conte, dopo la prova di forza offerta ai suoi, volesse sparigliare le carte, potrebbe accettare concessioni da Draghi sul programma (certezze su salario minimo, reddito di cittadinanza e poltrone) e mantenere in vita l’attuale maggioranza fino alla fine della legislatura, ma con un peso politico maggiore.

Due domande, però, sono cruciali per provare a scrutare nella sfera di cristallo il futuro della politica italiana. Siamo proprio sicuri che Draghi voglia rimanere a Palazzo Chigi e non abbia già un piano B? Inoltre, c’è da essere certi che le dichiarazioni ufficiali corrispondono alle trame effettive e che le sorti della legislatura non si stiano in realtà decidendo fuori dai confini italiani? È fantascienza immaginare che dietro l’opposizione a Draghi non si stia saldando un fronte internazionale filo-russo o filo-cinese contrario all’egemonia degli Usa sull’Italia e sull’Europa?

La prossima settimana, dopo il passaggio di Draghi alle Camere, lo capiremo.