Il Giallo di Ferragosto - Il mistero della conchiglia scomparsa
Un vecchio collezionista di conchiglie trovato morto, un ispettore che assomiglia a Sherlock Holmes, il fedele maggiordomo e i parenti serpenti dell'anziano tra i principali indiziati. Ma la soluzione del caso come sempre è quella più impensabile, per arrivarci serviranno studio e osservazione. A patto che... Il regalo ferragostano della Nuova BQ ai lettori con un giallo inedito di Rino Cammilleri.
Appena sentì lo scampanellio alla porta, Barnabas, già maggiordomo malgrado la giovane età, si affrettò ad andare ad aprire. Spalancato il battente, per poco non gli venne un colpo.
-Ma lei è…- balbettò.
-Ispettore Shylock Homer, di Scotland Yard - lo interruppe il nuovo arrivato – E, prima che me lo dica lei: sì, lo so, assomiglio a Sherlock Holmes, anche se, in verità, è piuttosto difficile assomigliare a un personaggio inventato e solo descritto sulla carta. La mia figura complessiva, semmai, ricorda quella dell’attore William Gillette, che impersonò l’investigatore in teatro. Fu lui, tra parentesi, a ideare il tormentone «elementare, Watson!», che Arthur Conan Doyle mai si sognò di scrivere. Ora, prima che si decida a farmi entrare, mi corre l’obbligo di chiudere questa fastidiosa parte, fastidiosa perché si ripete ogni volta io sia chiamato per servizio presso un domicilio privato, anticipandole che del mio guardaroba non fanno parte berretti da cacciatore di cervi né pastrani a scacchi scozzesi. Infine, al mio fianco, come può vedere dalla divisa, non c’è il dottor John Watson ma il sergente Sean O’Malley. Adesso, cortesemente, possiamo entrare?- concluse tra il secco e il mellifluo.
Barnabas si profuse in imbarazzate scuse e, a capo chino, cedette il passo. I due poliziotti entrarono nell’imponente atrio della villa in stile vittoriano fuori Brighton nella quale era stati chiamati. Per telefono, dallo stesso Barnabas.
L’anziano capofamiglia, Victor Humperdinck, era stato trovato morto. La sera prima, dopo cena, si era ritirato tra le sue amate conchiglie, di cui era collezionista appassionato. Dopo circa un’ora era stato sentito gridare a squarciagola «Ne manca una! Ne manca una!». Poi era seguito un urlo gorgogliante e un tonfo di vetri in frantumi. Tutti erano corsi al piano di sopra, dove stava la stanza della collezione, ma la porta era risultata sbarrata dall’interno. Avevano chiamato, bussato, ma nessuna risposta era giunta. Allora, allarmati, avevano preso il battente a spallate finché non erano riusciti a forzarlo. Dentro, avevano trovato il vecchio Humperdinck riverso sul pavimento, gli occhi strabuzzati e un filo di sangue che gli colava dalla bocca. Le braccia erano avvinghiate attorno a una delle teche di vetro contenenti le conchiglie. La teca, trascinata nella caduta, era per metà in frantumi. Molte delle conchiglie che conteneva erano spezzate.
I poliziotti, dopo un’attenta ispezione della scena, riunirono i presenti in uno dei salotti e li interrogarono mentre Barnabas serviva il tè.
La famiglia che abitava nella villa al momento della morte dell’anziano Humperdinck era composta dall’attempata figlia di lui, Henrietta, e dal di lei marito, Evermore Lampert, capitano di marina in pensione. Poi c’era la loro figlia, Emily, col suo fidanzato, Stephen Oakley, di buona nascita ma ancora in attesa di occupazione. Seguiva il fratello di Emily, Baldwin, che la divisa di guardiamarina indicava intenzionato a seguire le orme del padre. Infine, il cugino Lancelot, che una precisa domanda rivelò essere cugino di Henrietta, quantunque molto più giovane.
L’ispettore Homer, dopo avere abilmente anticipato le domande sulla sua straordinaria somiglianza (compresa la constatazione che le sue iniziali coincidevano con quelle del famoso investigatore di carta), cominciò lui con un serrato giro di domande. Fu molto abile, a dire il vero, e non mise mai a disagio quelli che via via interrogava. Anzi, a un certo punto sembrò che ognuno non vedesse l’ora di rivelare tutto quel che sapeva.
Il quadro complessivo che ne uscì era il seguente: il vecchio Humperdinck era una persona sgradevole e insopportabile; tutti i suoi gesti, i suoi atti e le sue parole sembravano dirette a un unico scopo, farsi detestare. E in effetti lo detestavano, come non tardò ad apprendere l’ispettore. L’unica cosa a cui veramente teneva erano le sue amate conchiglie, e non badava a spese per procurarsi gli esemplari che mancavano alla sua collezione. Una collezione, va detto, citatissima sui cataloghi e le riviste specializzate. Ma mai il vecchio aveva consentito di prestarla per una mostra, anche se lautamente compensata. No, erano solo sue e solo i suoi occhi dovevano goderne. Nell’ampia stanza in cui teneva le bacheche non permetteva che alcuno mettesse piede. Lui stesso, una volta alla settimana, si armava di straccio e piumino per pulire. Sempre chiusa a chiave anche quando lui era dentro, prendeva luce da due finestre provviste di fitte sbarre. Praticamente, solo quando era stata sfondata la porta i componenti la famiglia avevano potuto vederci dentro: alle pareti c’erano decine e decine di teche impilate l’una sull’altra ad altezza d’uomo; non bastando le pareti, l’intera stanza era percorsa da file di altre teche, come gli scaffali di una libreria pubblica.
L’ispettore non permise che il maggiordomo risistemasse l’ambiente: tutto doveva restare così com’era fino a quando non si fosse risolto il mistero di quella morte. Del resto, stava aspettando l’arrivo del medico legale, il quale avrebbe potuto chiarire almeno una parte. Sì, perché un eventuale attacco apoplettico non avrebbe ancora spiegato quel grido, unanimemente testimoniato: «Ne manca una! Ne manca una!».
Nel frattempo, riflettendo, l’ispettore si era reso conto che tutti, là dentro, avevano un motivo per desiderare la dipartita del vecchio. A parte il caratteraccio, il defunto li considerava tutti degli smidollati che campavano del suo denaro. Nessuno di loro, in effetti, navigava in soddisfacenti acque economiche, ed era il motivo per cui erano andati tutti a vivere lì dentro, alle dipendenze di Victor Humperdinck. Chi per affari sballati, chi per scarsa voglia di lavorare, chi per insufficiente pensione, tutti vivevano di quel che passava loro il vecchio, compreso l’alloggio. Gratuito. In una villa d’epoca in campagna.
L’ispettore Homer non trascurò, naturalmente, la servitù. La quale era composta da sole tre persone: la cameriera-sguattera, la cuoca-governante e il già citato maggiordomo. La prima era una scialbissima servetta di paese, cui solo l’uniforme e la crestina davano un minimo di presenza. Le bastò aprir bocca per manifestare in un attimo tutta la sua sciocchezza. L’ispettore, scambiato uno sguardo imbarazzato col sergente, passò oltre. La cuoca era un donnone di larga stazza. Interrogata, disse che non aveva sentito niente, giacché dormiva in un’altra ala della casa e, a quell’ora, di solito già ronfava da un pezzo, visto che la mattina doveva, come sempre, alzarsi presto.
L’ispettore, fidandosi del suo intuito, decise che quelle due poteva senz’altro cassarle dalla sua lista. Portò dunque la sua attenzione sul maggiordomo e, questa volta, decise di osservarlo meglio. In fondo, se nei romanzi d’appendice molto spesso il colpevole era proprio il maggiordomo una ragione doveva pur esserci. Sempre che di delitto, in questo caso, si fosse trattato.
Barnabas poteva avere sui trentacinque anni, un’età decisamente bassa per un mestiere a cui si accedeva dopo aver percorso i gradi di cameriere, valletto eccetera.
Era di media statura, con occhi azzurri, grandi favoriti rossicci e capelli scriminati nel mezzo. Rispondeva alle domande con precisione e, contrariamente al resto della servitù, sosteneva tranquillamente lo sguardo dell’ispettore.
A quel punto l’ispettore considerò conclusa quella prima fase dell’indagine e si predispose ad attendere l’arrivo del medico.
Il medico arrivò con due ore buone di ritardo e, di fronte alle rimostranze dell’ispettore, si giustificò con il superlavoro apportatogli, in quella giornata, da ben due omicidi per rapina avvenuti quasi in contemporanea in punti distanti della città. Poi, dopo aver dato il cappello al maggiordomo, seguì l’ispettore al piano di sopra. Giunto nella stanza della conchiglie, lo stupore per quel che vedeva gli fece aprire la bocca e spalancare gli occhi. Ma un gesto secco del sergente, che indicava il cadavere, lo richiamò al suo ufficio.
Si inginocchiò, esaminò il corpo da ogni lato e angolazione, lo girò e rigirò, avvicinò la faccia il più possibile, lo tastò in vari punti. Alla fine si rialzò e, allargando le braccia, confessò: -Non ci capisco nulla. L’esame esterno non mi rivela niente. Non saprei dire che cosa ha ucciso quest’uomo. L’unica soluzione è portare il corpo alla Morgue ed eseguire un’autopsia completa. Solo allora sarò in grado di fare la mia diagnosi. Mi spiace-
Ripreso il cappello, se ne andò.
L’ispettore allora chiamò da parte il sergente e gli disse: -Mentre aspettiamo che, avvisati dal medico, vengano quelli della Morgue a ritirare il pacco, io ricomincerei con un altro giro. Sei d’accordo?-
Il sergente annuì, anche perché l’unica volta che aveva provato a contraddire il suo capo si era preso una sfuriata.
-Sai, O’Malley, mi intriga quel grido: «Ne manca una! Ne manca una!». E’ ovvio che si riferiva a una conchiglia. Ma quale? Sono migliaia, come hai visto. Certo, un collezionista accanito conosce i suoi pezzi uno ad uno e si accorge subito se qualcosa è sparito. Ma, mi chiedo, la cosa può provocare, che so, un attacco di cuore? No, il medico se ne sarebbe accorto. D’altra parte, data la gelosia del morto per il suo tesoro, non possiamo chiedere a nessuno quale conchiglia manca, anche se sappiamo in quale teca si trovava-
-E come lo sappiamo?- chiese stolidamente il sergente.
-Ma è elementare, O’Malley! In quella che il morto ha abbracciato e trascinato con sé!».
Il nuovo giro di domande aggiunse solo una cosa a quel che si sapeva: il vecchio soffriva di stipsi e concludeva invariabilmente la sua cena ingurgitando un pastone a base di yogurt e erbe che, a sentir lui, gli permetteva di liberarsi la mattina dopo. L’ispettore chiese se potesse avergli fatto male, ma si sentì rispondere che lo spesso intruglio veniva assunto da tempo immemorabile e, anzi, il vecchio lo trovava così efficace da non rinunciarvi mai.
Allora all’ispettore venne un’idea. Lasciò il sergente a tenere la posizione e se ne andò con l’auto di servizio.
Toccò al sergente controllare che, quando arrivarono quelli della Morgue, la scena del crimine (se crimine era) restasse quanto possibile intatta in ogni dettaglio. Sì, perché, in caso contrario, l’ispettore se lo sarebbe mangiato vivo. Si assicurò, del pari, che nessuno lasciasse la casa prima del ritorno di Homer.
L’ispettore tornò dopo molte ore, era già buio. Incurante del fatto che la cena stava per essere servita, riunì tutti nel salotto al pianterreno per una comunicazione importante.
Quando fu sicuro di avere la loro attenzione, esordì coll’informarli di avere trascorso gran parte del pomeriggio alla biblioteca pubblica. A che fare? A farsi una cultura sulle conchiglie. A furia di compulsare testi aveva scoperto che esiste una conchiglia piuttosto rara e, data la sua rarità, preziosa per i collezionisti. Si chiama –l’ispettore estrasse di tasca il suo taccuino e lo consultò- Meganoblaster locomotensis e deve il suo nome più che altro alla forma che ricorda vagamente un treno. Contribuisce alla sua rarità il fatto della sua estrema fragilità. I pescatori caraibici che camminano in acque basse non la vedono, confusa com’è con la sabbia del fondo, e la schiacciano frantumandola. E si feriscono, perché i frammenti, sebbene minuscoli, sono molto taglienti.
-Attenzione a questo punto, perché è quello che mi ha aperto la mente- sottolineò l’ispettore.
Tutti pendevano dalle sue labbra, ma tutti con espressione indecisa. Non capivano dove quello volesse andare a parare.
-Vi dico in che cosa consiste quella che ho chiamato apertura di mente, anche se forse sarebbe più corretto dire intuizione. Secondo me il vostro congiunto e parente Victor Humperdinck è stato ucciso-
Tutti fecero «ooooh!» e si guardarono l’un l’altro allibiti.
-Omicidio premeditato, per giunta- proseguì imperterrito l’ispettore –E ora vi dico come ha agito l’assassino-
Pausa a effetto.
-Ha sottratto la conchiglia dalla collezione che vi ho descritto, l’ha ridotta in pezzi infinitesimi e l’ha mischiata al lassativo che il defunto assumeva tutte le sere. Quando questo si è sciolto nello stomaco, i pezzettini taglienti hanno fatto il loro lavoro. Da qui il sangue risalito fino alla bocca. Una morte atroce, se mi è consentito dire. Ha solo fatto in tempo ad accorgersi della conchiglia mancante-
Tutti si voltarono verso la cuoca. Era lei che preparava l’intruglio per il vecchio. La povera donna sbiancò, ma non ebbe il tempo di parlare perché l’ispettore la prevenne: -Lei non c’entra. Come avrebbe fatto a entrare nella stanza chiusa e sottrarre la conchiglia? E, soprattutto, che motivo avrebbe avuto? No, no, perché delitto sia ci vuole un movente. Tutti qui dentro ne avete uno…-
Si alzarono di scatto e, all’unisono: -Ma come si permette…-
Shylock Homer alzò le mani: -Calmi, tranquilli, signori. Non vi ho ancora detto come ho trascorso il resto della giornata-
Si risedettero, ma restando in apprensione.
-Sono andato a fare due chiacchiere con l’impiegato della Sigemore & Parvis-
Barnabas scattò in piedi e con un salto cercò di uscire dalla stanza, ma il sergente fu più svelto di lui e lo agguantò. La stazza di O’Malley era due volte superiore a quella non particolarmente significativa del maggiordomo, il quale si ritrovò con le braccia bloccate dietro la schiena, mezzo curvo in avanti e impossibilitato a muoversi.
-Bravo, O’Malley, in questo non ti batte nessuno- sogghignò l’ispettore. Poi, rivolto al maggiordomo, fece: -Vedi, caro il mio omicida, a incuriosirmi è stata la tua giovane età. O eri un genio nel servire, da qui la tua carriera, o c’era qualcos’altro che non sapevo. Ora, delle due l’una: o continui tu o parlo io, cosa scegli?-
-Ordini a questo energumeno di smettere di torcermi le braccia e dirò tutto- esclamò quello con voce sofferente.
L’ispettore fece cenno al sergente e questo allentò la presa. Ma non la vigilanza. Barnabas chiese il permesso di sedersi e gli fu accordato, mentre il sergente andava a piazzarsi di traverso all’unica uscita dal salotto.
L’uomo parlò per tutto il tempo fissando il pavimento.
-Il mio nome lo sapete- cominciò, come rivolgendosi a tutti e a nessuno –Quel che non sapete è che Victor Humperdinck era mio nonno-
Gridolini di stupore da parte delle donne presenti, sopracciglia inarcate per l’indignazione sulla fronte degli uomini.
L’ispettore impose il silenzio con un gesto imperioso e il maggiordomo, con espressione vinta e rassegnata, proseguì.
-Sì, sono figlio di Nicholas, che suo padre cacciò di casa quando seppe che intendeva sposare mia madre-
-Quella sgualdrina! E’ per colpa sua se non ho più visto mio fratello!- saltò su Henrietta con voce stridula.
Ancora l’ispettore dovette imporre il silenzio.
-Era una cantante di teatro, non una sgualdrina- riprese Barnabas con voce atona –Mio padre non la sposò mai, è vero, perché di idee liberali, ma quando nacqui io mi riconobbe. Morì in un incidente di mare quando avevo dieci anni. Il vecchio Humperdinck rimase incuriosito del mio cognome quando andò all’agenzia per cercare personale. Capì chi ero e mi assunse come maggiordomo, forse per compensare il fatto di aver diseredato suo figlio. Io credo che mi abbia preso anche per un altro fatto: leggendo il mio curriculum scoprì che ero appassionato di conchiglie, un aspetto della mia personalità che devo aver ereditato da lui. Anche se fisicamente somiglio a mia madre, ed è questo il motivo per cui voi, imbecilli, non aveva mai sospettato niente-
Si levò un coro di proteste, ma quello, per nulla intimorito, incalzò: -Sì, voi imbecilli, che mi toccava servire a tavola quando ero io quello che, semmai, doveva essere servito. Ma ho sopportato tutto perché aspettavo che il vecchio tirasse la cuoia. Sì, l’eredità. Poi, mentre curiosavo nel suo studio, mi imbattei nel testamento. Non mi aveva neanche nominato. Così, poco a poco ideai il mio piano. Ero io quello che gli spazzolava i vestiti, ci misi diverse settimane a trovare il modo di sottrarre la chiave della collezione. Il resto lo sapete. E ora andate al diavolo. Ispettore, andiamo-