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REALTÀ DEL XX SECOLO

Il genocidio armeno, non più solo una canzone

Con il voto a dicembre 2019 del Congresso statunitense, sono ora 32 i Paesi che riconoscono formalmente il genocidio armeno ad opera dell’Impero ottomano. Sono una trentina le opere musicali dedicate a questo sterminio, tra cui Ils sont tombés (“Sono caduti”), una delle canzoni politicamente più impegnate di Charles Aznavour.

Cultura 02_01_2020

La pagina più dolorosa e triste della storia armena fu scritta nel 1915, quando circa un milione e mezzo di armeni residenti in Anatolia furono massacrati dai «giovani turchi». «Il genocidio armeno, [che] all’inizio del [XX] secolo ha costituito un prologo agli orrori che sarebbero seguiti» (cfr. Comunicato congiunto di Papa Giovanni Paolo II e del Catholicos Karekin II, LOsservatore Romano, 11 novembre 2000, p. 7), con l’approvazione unanime dello scorso 12 dicembre anche da parte del Senato, è stato riconosciuto dal Congresso degli Stati Uniti d’America.

A quello sterminio è dedicata una trentina di musiche, come, per citare un noto esempio, il terzo movimento, processionale, della II Sinfonia, scritta nel 1946 dal compositore sovietico di origine armena Aram Khachaturian (ben noto in Occidente per la Danza delle spade), dove, al lento passo del timpano, alla maniera di Mahler, si sente una marcia funebre con una melodia popolare armena, che canta il profondo dolore collettivo prima del più intimo Dies iræ gregoriano.

Il processo per l’eliminazione totale degli armeni dall’Impero ottomano, che con il recente voto statunitense è riconosciuto formalmente da 32 Paesi, non è quindi più solo una canzone di Aznavour. Il cantante, attore e compositore francese di origine armena Charles Aznavour, nome d’arte di Shahnour Varinag Aznavourian (1924-2018), è uno dei più famosi figli della diaspora armena. Alla fine della sua autobiografia si legge: «Quando mi chiedono se mi sento più armeno o più francese, c’è una sola risposta possibile: cento per cento francese e cento per cento armeno. Sono come il caffellatte: una volta mischiati gli ingredienti, non si può più separarli» (C. Aznavour, I giorni prima, Rizzoli Ed., Milano 2004, pp. 320-321).

Nel 1975, per il sessantesimo anniversario del genocidio, insieme al compositore Georges Garvarentz, Aznavour si ispirò a quanto accadde «nel 1915, - usiamo le parole dello scrittore statunitense di origine armena William Saroyan - l’anno del dolore fisico e della disgregazione spirituale per la gente del mio paese, e per tutta la gente del mondo (Che ve ne sembra dellAmerica?, A. Mondatori 1950, p. 336), per scrivere una commovente canzone, il primo pezzo pop al riguardo: Ils sont tombés, divenuta poi in inglese They Fell, «Sono caduti».

Negli anni Settanta del secolo scorso, in cui cominciavano a risvegliarsi memorie dormienti «della triste faccenda del 1915» (W. Saroyan), Aznavour era un «istrione» ormai riconosciuto e stimato. Perciò questo armeno nato e cresciuto in Francia volle porsi al servizio di una causa politica armena, ma avvalendosi di uno stile musicale non armeno. «Le sue dichiarazioni pubbliche, talvolta contraddittorie, talvolta confondevano i suoi compatrioti o i francesi di origine armena - riferisce Laurent Leylekian, analista politico armeno - ma la sua canzone sul genocidio Ils sont tombés ha lasciato un segno profondo negli Armeni» (vedi La Croix, 1 ottobre 2018).

A un primo sguardo, questa canzone può sembrare un lamento; emerge però anche la protesta quando canta: «Nessuno alzò la voce in un mondo euforico / mentre un popolo ristagnava nel proprio sangue. / L’Europa scopriva il jazz con la sua musica, / i lamenti delle trombe coprivano le grida dei fanciulli. / Sono caduti pudichi, senza rumore, / a migliaia, a milioni, senza che nessuno si movesse, / diventando per un istante, minuscoli fiori rossi / ricoperti da un vento di sabbia e di oblio».

La protesta contro ogni negazionismo, quello del mondo e perfino quello armeno, in quel riferimento a un’esistenza ricoperta «da un vento di sabbia e di oblio», si attenua riconoscendo la benevolenza di chi ha accolto i sopravvissuti al genocidio e il coraggio dei «figli di Armenia»: «Sono caduti credendo con ingenuità / che l’infanzia dei propri figli sarebbe potuta continuare, / che un giorno avrebbero calcato terre di speranza / in paesi aperti di uomini dalle mani tese. / Io sono di questo popolo che dorme senza sepoltura / che sceglie di morire senza abdicare la propria fede, / che non ha mai abbassato la testa sotto l’ingiuria, / che sopravvive nonostante tutto e non si lamenta».

Dopo l’uscita di questa canzone, che mostra la confusione provata da tutti gli armeni, Aznavour diviene un portavoce dell’Armenia molto attivo: nel 1988 fonda un’associazione di beneficenza dopo il terremoto che provocò in quella terra 25.000 vittime e nel 1989 registra insieme ad altri 90 cantanti e attori francesi la canzone Pour toi Arménie per raccogliere fondi; dal 1993 assume diversi incarichi diplomatici in rappresentanza dell’Armenia; nel 2008 diventa cittadino armeno; nel 2009 è ambasciatore armeno in Svizzera.

Ils sont tombés, una delle canzoni più politicamente impegnate di Aznavour, fa luce senz’altro su quello che «generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001), che Benedetto XV per primo condannò, scrivendo il 10 settembre 1915 una lettera al Sultano di Turchia, Maometto V, nella quale si lamentava amaramente della condizione degli armeni «sottomessi a delle sofferenze indicibili».