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RISOLUZIONE STORICA

Fu genocidio. Gli Usa riconoscono la tragedia armena

Genocidio. Quello perpetrato dai Giovani Turchi contro 1 milione e 400mila cristiani armeni tra 1915 e 1923 fu un genicidio. Lo sanno tutti, ma ufficialmente non tutti lo dicono per non offendere la Turchia, che continua a negarlo. E solo da una settimana il genocidio armeno è stato riconosciuto dal Congresso degli Usa.

Esteri 18_12_2019
Il memoriale del genocidio armeno, a Erevan

Genocidio. Quello perpetrato dai Giovani Turchi contro 1 milione e 400mila cristiani armeni tra 1915 e 1923, il Metz Yeghérn (“Il grande male”), fu un genicidio, lo sanno tutti. Ma che a dirlo apertamente sia il Congresso degli Stati Uniti d’America, cioè del Paese più potente del mondo e per di più alleato (almeno sulla carta) della Turchia (che da tempo preme in tutti i modi per “entrare in Occidente”), è un dato clamoroso. E così è da quando, giovedì 12 dicembre, il Senato federale americano ha votato all’unanimità una risoluzione (S. Res. 150) che impone agli Stati Uniti la commemorazione pubblica e solenne del genocidio armeno, riconoscendo al massacro operato dalla Turchia durante e dopo la Prima guerra mondiale la peculiarità del concetto di “genocidio”.

Il “genocidio”, infatti, non ha sinonimi. Designa un unicum. Affinché si tratti “genocidio” occorre che vi sia consapevolezza e premeditazione nel voler colpire, per potenzialmente eliminare del tutto, un gruppo umano identitario, dunque identificabile: per etnia (razza), cultura o religione. Occorre insomma che, in odio a una razza, a una cultura o una religione, chi commette un genocidio miri consapevolmente a cancellare completamente un gruppo umano dalla faccia della Terra e della storia, mettendo in campo tutte le soluzioni pratiche che possano conseguire lo scopo. Un genocidio non è mai “soltanto” un atto omicida di violenza gratuita per quanto grave: è l’intento cosciente di voler annientare una porzione di umanità percepita come dannosa, esecrabile, insopportabile. Il frasario con cui la repubblica giacobina francese cercò di sopprimere per intero la popolazione cattolica della Vandea tra il 1793 e il 1794, nel tentativo di estromettere dal consesso umano quel gruppo identitario in odio a quella sua identità, rende paradigmaticamente l’idea genocida: «razza maledetta». Qui “razza” si spinge infatti oltre il concetto rigido di etnia e abbraccia l’idea di un gruppo umano identificabile e identificato che va colpito: assurge ad archetipo del nemico da abbattere, il quale non è più solo un nemico come altri, ma diviene il nemico per eccellenza, la cui esistenza non è possibile accettare. Il genocidio, nel suo genere, è cioè il crimine massimo e peggiore. E gli specialisti oggi tendono a includere nel concetto di “genocidio” non solo lo sterminio sistematico di una popolazione, ma anche lo sradicamento metodico di un gruppo umano attuato persino nel corso di diversi anni.

Quello subito dagli armeni, dunque, fu vero genocidio e a esserne convinti, con tutte le conseguenze politiche e giuridiche del caso, sono i legislatori americani, di entrambi i partiti. Colpisce, infatti, come risoluzioni di questo tipo ottengano plauso bipartisan e senza eccezioni. Gli Stati Uniti sono quindi gli unici, sul piano internazionale, ad assumersi la responsabilità di gesti gravidi di significati come questi, supplendo di fatto alla latitanza delle istituzioni internazionali, prima fra tutte l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti sono del resto gli unici a puntare il dito anche contro la Cina, colpevole del genocidio culturale degli uiguri nello Xinjiang, in attesa che lo stesso titolo possa attribuirsi anche al tentativo di cancellare con la forza l’identità culturale del Tibet e quella di mille altre realtà etniche e religiose cinesi. La risoluzione sugli armeni del 12 dicembre è stata del resto voluta dai senatori Robert Menendez del Partito Democratico e Ted Cruz del Partito Repubblicano, due dei più limpidi difensori dei diritti umani nel mondo.

La risoluzione del Senato segue peraltro la decisione della Camera (H. Res. 296), che il 29 ottobre ha formalmente riconosciuto, con 405 voti contro 11, la realtà del genocidio armeno. Per tre volte la Camera aveva cercato di raggiungere questo verdetto e per tre volte si è trovata bloccata da franchi tiratori. Alla fine l’ha però spuntata, e ora che il Senato ha fatto lo stesso, nessuno potrà rimangiarsi la parola. Come mai la Camera ha dovuto impiegare così tanto? Per colpa del presidente Donald J. Trump, riluttante esattamente come tutti i suoi predecessori a inchiodare l’alleato turco alle proprie responsabilità. Per fortuna esiste il Congresso, che da sempre impedisce alla res publica statunitense di chiudersi in un cesarismo autarchico e cinico, come dal 1959 insegna uno dei maestri della scienza politica statunitense, il grande nemico della tecnocrazia e al contempo padre tanto nobile quanto remoto del neoconservatorismo americano, James Burnham (1905-1987), in sequenza cattolico, ateo, trotzkista e finalmente di nuovo cattolico, che a Oxford studiò con J.R.R. Tolkien, nel suo magistrale Congress and the American Tradition.