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OTTOCENTO DA RISCOPRIRE/XXXIII

Il fallimento dell’esteta superuomo

Dopo il ciclo del Giglio D’Annunzio progetta quello successivo, dedicato al melograno, che nasce dalla confluenza di Estetismo e superomismo e che si interrompe alla prima opera, il Fuoco (1900).

Cultura 29_10_2017

Dopo il ciclo del Giglio D’Annunzio progetta quello successivo, dedicato al melograno, che nasce dalla confluenza di Estetismo e superomismo e che si interrompe alla prima opera, il Fuoco (1900). La vittoria dell’uomo e Il trionfo della vita, romanzi che dovevano completare la trilogia, non vennero mai scritti. La scrittura del Fuoco avvenne negli anni dal 1896 al 1900, caratterizzati dalla storia d’amore del poeta con la Duse vissuta nella villa della Capponcina oltre che in affascinanti città italiane. Venezia e le splendide ville del Brenta diventano, così, lo scenario della storia d’amore dei due personaggi fondamentali, attraverso la quale si descrive in realtà la vera storia sentimentale dell’autore con l’attrice teatrale. L’interesse del grande pubblico per le vicende private della coppia è alla base del successo del romanzo.

Drammaturgo oltre che oratore, Stelio Effrena vuole rinnovare il genere teatrale, fondendolo con la musica e la poesia. A palazzo Ducale il protagonista conquista un’attrice, di nome Foscarina, di qualche anno più anziana di lui con il fascino della sua eloquenza. L’artista si sente investito del ruolo di guida del popolo, anche se nel suo intimo lo disprezza. Inizia in breve tempo una relazione sentimentale con Foscarina, intensa, ma, al contempo, tormentata. La donna è, infatti, presa dalla gelosia, vedendo che l’amato si sente attratto da una cantante più giovane di nome Donatella.

L’atmosfera in cui si svolge il flebile intreccio del romanzo è decadente, come nella gita sul fiume Brenta: «Straziante dolcezza di quel novembre sorridente come un infermo che ha una tregua al suo patire e sa che è l’ultima e assapora la vita che con una grazia novella gli scopre i suoi più delicati sapori nel punto di abbandonarlo». Sensuale è il linguaggio non solo nelle descrizioni dei luoghi che sono scenario della storia, ma anche nella rappresentazione dei palpiti d'amore d’incerta decifrazione. Infatti, anche nei momenti di maggior coinvolgimento emotivo un dubbio si insinua nella mente di Foscarina. «Mi ama, dunque?» si chiede la donna. E ancora, più tardi, riflette: «Che era ella dunque per lui se non un aspetto di quella “Vita dai mille e mille volti” […]?». In ultima analisi anche il personaggio dannunziano Effrena è mosso da quell’«abisso di vita» che non fa star tranquillo il Miguel Manara di Oscar Milosz, ma è convinto che sia la ricchezza delle esperienze sensoriali che possa saziare il suo desiderio. E in questa continua ricerca di ebbrezza dei sensi il protagonista fatica a cogliere il vuoto dell’animo.

Nella gita sul Brenta Effrena propone a Foscarina di accogliere in sé il coraggio e la forza: «Dimmi che non hai paura di soffrire. Credo la tua anima capace di sopportare tutto il dolore del mondo. Fa’ che io non perda la fede in questa tua forza di passione, per cui tu mi sei parsa divina più d’una volta. Dimmi che tu non hai paura di soffrire». La donna percepisce allora tutta la vacuità delle parole dell’amato: «Le parole di lui le sembravano vane, inutili suoni; egli medesimo le sembrò una debole e ansiosa creatura; Ebbe pietà di lui come di sé; Ma che valeva il coraggio?; (sic) essi erano niente, e tutto era niente».

Nella donna c’è tutta la percezione del fallimento sia della storia sentimentale che della presunzione superomistica di Effrena, anticipazione dell’esito finale del rapporto della coppia come pure del progetto artistico.

Alla fine Foscarina partirà per una lunga tournée lasciando l’amante nelle braccia della più giovane rivale. Effrena porterà la bara del grande compositore Richard Wagner, morto a Venezia. Lo stesso D’Annunzio si vantò di aver partecipato alle esequie del musicista tedesco. Ma il fatto non corrisponde alla realtà.

Effrena è di nuovo il rappresentante del superuomo dannunziano, un esteta dal gusto raffinato e superiore, che aspira a divenire guida del popolo e della Nazione, modello nel campo artistico, emblema dell’aspirazione dello scrittore ad ergersi come riferimento per la comunità. Negli stessi anni come deputato D’Annunzio tiene discorsi in Parlamento e compone opere teatrali per la Duse. Un discorso davvero pronunciato in pubblico viene riportato nel romanzo e, del resto, il protagonista si nutre di citazioni prelevate dalle opere dannunziane. La confusione tra arte e vita è ora totale. Nelle vicende erotiche di Effrena il lettore può riconoscere quelle dello scrittore. Il modello di uomo ideale proposto nel romanzo coincide, in ultima analisi, con lo scrittore stesso.

Una volta ancora, il progetto di realizzare il superuomo fallisce; la trilogia non sarà terminata, rimanendo solo al primo volume.

Echi superomistici ritornano nel romanzo Forse che sì forse che no (1910). L’aviatore Paolo Tarsis presenta nel nome un’evidente parodia di san Paolo di Tarso ed è l’unico personaggio dannunziano che riesce nell’impresa progettata (la traversata in aereo del Mar Tirreno). La vicenda della competizione si intreccia, poi, con una complicata storia sentimentale che vede al centro il protagonista Paolo, amato da due sorelle, una delle quali ha avviato precedentemente un rapporto incestuoso con il fratello. 

L’aviatore appare per molti tratti, ancora una volta, come uno specchio di D’Annunzio e si presenta più come una reviviscenza dell’homo divus rinascimentale che si deve affermare in un ambito piuttosto che un’attualizzazione del superuomo niciano. Non c’è nulla di nuovo nelle figure dannunziane che poco hanno in comune, è bene dirlo, con il superuomo teorizzato dal filosofo tedesco. Annichilimento di tutti i valori del passato, annullamento della tradizione, volontà di potenza e creazione di nuovi valori sono per Nietzsche gli aspetti salienti del superuomo, che, in maniera simile al bambino, non conosce passato e futuro, ma vive solo per il presente. Proprio al bambino, quindi, si dovrebbe rivolgere l’uomo nuovo.

Pressoché negli stessi anni in cui legge Nietzsche D’Annunzio sente anche il fascino del grande romanziere russo Dostoevskij, i cui echi si sentono nell’Innocente o in Giovanni episcopo. La produzione del russo, però, offre spunti per le trame e suggestioni per le atmosfere di alcuni romanzi piuttosto che provocare un suo profondo ripensamento sull’esistenza.