L'OPERA
Il Don Giovanni del cattolico Mozart
Il genio salisburghese voleva sottolineare come eros e individualismo, veri miti contemporanei, sono una spirale letale per la vita di noi post-moderni.
Attualità
07_12_2011
Milano, 7 dicembre 2011. Questa sera si apre la nuova stagione scaligera e il neo direttore Daniel Barenboim è andato sul sicuro: dirigerà il Don Giovanni di Mozart.
Praga, 29 ottobre 1787. In cartellone c’è una nuova opera di quel Wolfgang Amadeus così bravo e così alla moda. Addirittura è stata commissionata dallo stesso imperatore Giuseppe II e con libretto scritto dal valente Da Ponte. Meglio non si potrebbe chiedere. Si tratta del Don Giovanni. Il pubblico, che conosce assai bene la trama dato che è un classico canovaccio del teatro di tutta Europa, già si lecca i baffi. Ci sarà da divertirsi, si sa, Mozart è autore brillante, pieno di trovate spassose. La gente affolla la prima, pronta a godersi lo spettacolo che si preannuncia allegro e leggero: il divin Amadeus non delude mai. Ecco entra Mozart salutato da un triplice evviva. Inizia l’ouverture – scritta la notte prima - e il gelo scende in platea e nei palchi: un accordo in forte di tutta l’orchestra tenuto lungo sul re minore, tonalità cupa, tesa e drammatica (la stessa tonalità del suo Requiem) che poi svanisce lasciando suonare solo gli strumenti dal registro più grave: fagotti, viole, violoncelli e contrabbassi. “Ma non doveva essere un’opera buffa?” sicuramente avrà pensato qualcuno. Ma questo qualcuno forse aveva letto il cartellone distrattamente: “Don Giovanni. Il dissoluto punito. Dramma giocoso in due atti”.
La tragedia sta tutta in quell’ossimoro: “dramma giocoso”. Perché la vicenda di Don Giovanni che gioca con la vita degli altri e i sentimenti delle donne non può che finire in dramma. Siamo a Siviglia e Don Giovanni, raffinato aristocratico, dopo aver cercato con l’inganno di ottenere i favori di Donna Anna, si batte a duello con il padre di lei – il Commendatore – accorso per difendere la virtù della figlia, ma ha la peggio e muore. Don Giovanni, camuffato, e il servo Leporello fuggono. Don Ottavio, fidanzato di Donna Anna, giura di vendicare l’uccisione del padre. Intanto Don Giovanni è già in cerca di nuove avventure amorose e punta gli occhi su Donna Elvira, una sua vecchia fiamma, la quale, grazie anche a Leporello che elenca le innumerevoli conquiste del padrone, ormai è definitivamente persuasa del fatto che Don Giovanni è un impenitente donnaiolo che mai cambierà. Nel frattempo quest’ultimo, nuovamente sotto mentite spoglie, sta già insidiando un’altra preda: Zerlina, fresca sposina di Masetto. Questa sta per cedere alle sue lusinghe quando accorre Donna Elvira che la strappa dalle braccia del seduttore. Sopraggiungono Donna Anna e Don Ottavio che in un primo tempo non riconoscono Don Giovanni, ma quando questi si allontana per tentare di sedurre nuovamente Zarlina, non hanno più dubbi: è lui il malfattore da punire. La coppia insieme a Donna Elvira si recano presso la villa di Don Giovanni dove egli ha organizzato una gran festa in maschera e lo sorprendono mentre cerca di far violenza a Zerlina. Lui abbozza qualche scusa accusando il suo servo Leporello. Scampato dalle mani dei suoi giustizieri, Don Giovanni travestito da Leporello ancora una volta è intento a prendersi gioco di un’altra donna, la domestica di Donna Elvira. Sopraggiunge Masetto e i due vengono alle mani: il giovane contadino cade a terra ferito.
Nella parte finale del secondo atto Don Giovanni e Leporello si trovano in un cimitero e la statua del Commendatore si anima e lo ammonisce così: "Di rider finirai pria dell'aurora". Don Giovanni per nulla intimorito lo invita a cena. Il convitato di pietra accetta e quando entra nella dimora di Don Giovanni lo esorta con insistenza a pentirsi, ma il libertino più e più volte rifiuta ogni ravvedimento fino a quando le fiamme degli inferi lo avvolgono e lo trascinano negli abissi. Il personaggio di Don Giovanni, seppur abbia modi brillanti e affascini, incarna il peccatore incallito che con pervicacia e piena consapevolezza cerca il proprio utile a danno degli altri. Scrive il musicologo Paolo Gallarati: “Don Giovanni uccide il padre di Donna Anna e rovina la sua prossima unione con Don Ottavio; per la seconda volta tradisce Elvira, beffandola crudelmente; mette a repentaglio la vita di Leporello, fa violenza a Zerlina, sottrae a Masetto la sposa nel giorno delle nozze; scherza con l’aldilà, sbeffeggiando la statua di un morto e invitandola a cena”.
Don Giovanni è un simulatore – quante volte si è camuffato per trarre in inganno gli altri – un fedifrago, un falso, un egoista, un subdolo ingannatore, un doppiogiochista menzognero, pieno di orgoglio e libido, tutto intento a soddisfare le sue più basse voglie. Eppure Mozart non lo dipinge come un malvagio a tutto tondo, né come un vacuo e volgare malfattore. Don Giovanni è sagace, prudente, furbo, pieno di estro e vitalità (pensiamo alla celebre “Aria dello champagne” e agli infiniti ritmi di danza di cui è ricca la partitura), sottile nei ragionamenti, anche divertente, insomma pieno di nuances accattivanti, come lo è il male, che non crea repulsa ma attrae. Queste mille sfaccettature sono unite dal filo nero dell’indifferenza: il gran seduttore è indifferente al dolore che provoca, ma è indifferente altresì anche ai rovesci della fortuna che lo investono. Paradossalmente Don Giovanni è il seduttore mancato: in tutta l’opera non riuscirà mai nel suo intento di possedere carnalmente una fanciulla qualsiasi. Eppure ciò non lo tange, quasi che l’habitus al male abbia indurito il suo cuore rendendolo insensibile alle sue stesse sconfitte. Il tratto peggiore di Don Giovanni però è la sua ostinazione nel compiere il male, è il rifiuto deciso di non pentirsi. Più volte Leporello e Elvira tentano di farlo ravvedere, ma lui se ne infischia. Nelle ultime battute l’anima del Commendatore prima lo prega poi gli comanda di cambiar vita: “Pentiti. Cangia vita. E’ l’ultimo momento”. E per tutta risposta: “No, no, ch’io non mi pento”. Così l’invito sarà ripetuto per altre tre volte ma senza risultato alcuno finchè le porte dell’inferno si spalancano sotto i piedi di Don Giovanni.
L’esito infausto della scelta di Don Giovanni che non vuole pentirsi corrisponde perfettamente a ciò che insegna la dottrina cattolica dell’inferno: solo chi consapevolmente è in stato di peccato mortale volontariamente perderà la propria vita. I peccati contro lo Spirito Santo che insistentemente ci chiede di convertici non potranno essere perdonati. Nonostante dunque gli ammonimenti degli amici e conoscenti e poi di Dio stesso – il Commendatore che viene dall’aldilà – Don Giovanni si ostina a non cambiar vita e non può che meritarsi una punizione eterna. E non vuole cambiar vita non perché ami ideologicamente il male di per sé (così come accadeva per il personaggio di Molière) ma perché egli è “tutto istinto e niente ragione”. Una lettura troppo cattolica del Don Giovanni? Per nulla. Mozart era cattolico, si recava a messa tutte le domeniche e spesso nei giorni feriali. Moltissime sono le sue composizioni di carattere sacro.
Cattolico seppur ad un certo punto della sua vita scelse di diventare massone ma per mero opportunismo e non per adesione convinta agli ideali in grembiulino. Una volta scrisse: “Ho sempre avuto davanti agli occhi Dio. Gli amici che non sono religiosi non possono essere miei amici”. E in un’altra lettera: “Prima di Dio c’è solo mio padre”. E sì il padre, figura centrale nella vita di Wolfgang. Il padre Leopold era l’opposto di Mozart: serio e dedito al lavoro, mai un colpo di testa. Spesso tra i due si accendevano litigi furibondi. Qualcuno – come il regista Milos Forman fece intuire nel suo Amadeus – ha ipotizzato che il personaggio del Commendatore rappresenti la figura del padre che, morto appena cinque mesi prima, ritornava in vita ammonendo il figlio a cambiar vita. Ma al di là di questi supposti riferimenti biografici, l’opera di Mozart è attualissima perché insegna senza mezzi termini che eros e individualismo, veri miti contemporanei, sono una spirale letale per la vita di noi cosiddetti post-moderni.
Don Giovanni vive per i piaceri materiali, la sua esistenza anzi è possibile proprio perché gode del sesso, dei cibi, del vino. Vince su tutto e tutti e di ognuno si fa beffa, sembra invincibile. Ma quando soccombe? Quando sarà costretto ad uscire da questi ampi circoli viziosi, cioè quando sulla sua strada troverà un fantasma, il Commendatore. Allora il suo mondo, che è solo materiale ma paradossalmente anche solo apparenza, viene vinto dal mondo spirituale. Così annota Kierkegaard nel suo saggio Don Giovanni: “Uno spirito, un fantasma, sono riproduzione. […] Don Giovanni può tutto, può resistere a tutto fuorchè alla riproduzione della vita, proprio perché egli è vita immediatamente sensuale, la cui negazione è spirito”.