Il divorzio fra fede e scienza condiziona i giovani
Scienza e fede stanno divorziando? Parrebbe di sì, almeno negli Usa. Si ha la netta sensazione del ritorno del vecchio bipolarismo: chiunque sia più giovane, più istruito e abbia un’educazione di tipo scientifico, tende a sposare convinzioni e idee anti-religiose. Non è una bella notizia, come dimostra il Novecento, il secolo tragico.
Scienza e fede stanno divorziando? Parrebbe di sì, almeno negli Usa. Si ha la netta sensazione del ritorno del vecchio bipolarismo: chiunque sia più giovane, più istruito e abbia un’educazione di tipo scientifico, tende a sposare convinzioni e idee anti-religiose. Viceversa, i meno istruiti e i meno giovani tendono ad essere più religiosi. La fotografia è ben visibile in tutti i sondaggi del Pew Research Center. Recentemente gli americani sono stati interpellati sull’evoluzionismo (contro il creazionismo) nelle scuole, dibattito in corso che riguarda direttamente la religiosità dei cittadini. I giovani più istruiti sono convinti a gran maggioranza che l’uomo sia prodotto di evoluzione e che l’evoluzione sia un processo naturale da cui Dio è escluso. Curiosamente, la stessa fascia di età e di istruzione tende a seguire una linea più laicista anche su aborto e ricerca sulle cellule staminali embrionali, tato per citare due dibattiti ancora in corso.
Alla base di queste convinzioni, è interessante andare a rileggere uno studio, riproposto in questi giorni dal sito del Pew, proprio sulla distanza di percezione che c’è fra scienziati e grande pubblico. Si tratta di un sondaggio del 2009, dunque permette di comprendere come si siano evolute le tendenze nella generazione che ha frequentato le scuole negli ultimi 10 anni. Si rileva una distanza abissale fra le idee della comunità scientifica e quelle del grande pubblico. Praticamente su tutto, ma soprattutto su temi che riguardano la fede. Il 33% degli scienziati dichiarava di credere in Dio, contro l’83% del grande pubblico. Solo il 4% del grande pubblico si dichiara atea, contro il 41% (maggioranza relativa) degli appartenenti alla comunità scientifica. Fra i credenti, i cattolici sono il 24% degli americani, ma solo il 10% degli scienziati. Naturalmente queste percentuali si riflettevano sulla posizione riguardo all’evoluzione e all’evoluzionismo. Solo l’8% degli scienziati riteneva che Dio c’entrasse qualcosa con l’origine e l’evoluzione dell’uomo e appena il 2% degli scienziati era creazionista. Contrariamente al grande pubblico, in cui il 31% era creazionista (più del 50% fra gli evangelici) e il 61% era evoluzionista, ma fra questi ultimi, il 22% riteneva comunque che l’origine e l’evoluzione fossero guidate da un (genericamente definito) “ente supremo”. Nel grande pubblico queste percentuali variano a seconda del grado di istruzione. Fra coloro che hanno un grado di istruzione superiore al diploma delle superiori, le percentuali si avvicinavano a quelle della comunità scientifica: il 45%, maggioranza relativa, escludeva che Dio c’entrasse con origine ed evoluzione dell’uomo.
La comunità scientifica condiziona direttamente l’istruzione e indirettamente l’informazione. Ovviamente, è considerato meno credibile l’istituto o l’organo di informazione che va contro ai pareri della comunità scientifica. Così tanti scienziati atei esercitano la loro influenza, il loro parere pesa. Non per caso, a dieci anni da quel sondaggio, la popolazione di atei negli Usa è distribuita soprattutto nelle fasce d’età fra i 18 e i 29 anni (40% di tutti gli atei) e fra i 30 e i 49 anni (37%). Fra gli studenti di questo anno scolastico, il 60% non prega prima di un evento sportivo, il 73% non invita i compagni a partecipare ad una funzione religiosa, l’83% non prega prima dei pasti, il 91% non legge le Scritture all’infuori delle lezioni. In termini assoluti, gli americani che dichiarano di non appartenere ad alcuna religione (dunque atei, agnostici e indifferenti) cresce dal 17% del 2009 al 23% attuale. Ed è un trend costante: basti pensare che nel 1972 gli unaffiliated erano appena il 5%.
Il fenomeno è dunque molto chiaro: c’è una forte distanza fra la comunità scientifica prevalentemente atea e la popolazione a gran maggioranza religiosa, ma al crescere della nuova generazione, anche la popolazione diventa sempre più irreligiosa. Il primo fenomeno era descritto dal filosofo cattolico Michael Novak, in questi termini: “gli Usa sono quel paese dove le élite sono svedesi, ma il popolo è polacco”. Oggi direbbe che il popolo è sempre più svedese anch’esso, man mano che i millennials crescono. Questo cambio generazionale spiega molte cose sull’agenda politica dei Democratici sempre più radicalmente spostata a sinistra e votata dai giovani, contro programmi dei Repubblicani più appetibili per un elettorato più anziano e religioso. Questi dati riguardano gli Stati Uniti, dove le religioni sono ancora diffuse e importanti nella vita pubblica, molto più che in Europa.
Il divorzio fra fede e scienza non è mai una buona notizia. Il secolo tragico, il Novecento, è stato caratterizzato da questa separazione netta e mai l’umanità ha assistito a così tanta violenza.