Il difficile ritorno dei cristiani a Mosul
Tornano a Mosul e nella piana di Ninive i cristiani, quattro anni dopo essere stati costretti a fuggire per sottrarsi allo Stato Islamico
A un anno dalla sconfitta militare dell’Isis, lo Stato Islamico, i profughi cristiani tornati a Mosul e nella piana di Ninive vivono ancora in un clima di incertezza. L’opera di ricostruzione prosegue, ma con lentezza ed è invece necessario accelerare i lavori, specie nella piana dove moltissime abitazioni sono state distrutte. Il problema più preoccupante è la mancanza di lavoro, fattore chiave per la rinascita dei territori per tre anni occupati dall’Isis e per il rientro di centinaia di migliaia di profughi, soprattutto quelli fuggiti all’estero. La Chiesa caldea è vicina a chi ha perso tutto, rinnovando – assicura don Paolo Thabit Mekko in una intervista ad AsiaNews – la propria missione volta a “proteggere, promuovere e integrare” le famiglie che man mano tornano a casa. “La situazione a Mosul – spiega – è di relativa stabilità e vi è libertà di movimento. Questo vale per entrambi i settori, orientale e occidentale, dove sorge la città vecchia ed è maggiormente compito”. Nei giorni scorsi è stato festeggiato l’arrivo di almeno cento famiglie cristiane nel settore orientale meno danneggiato dove nelle prossime settimane dovrebbe riaprire la chiesa caldea di san Paolo. “Dalle aule delle scuole alle fabbriche alle piccole imprese, la rinascita della metropoli del nord passa attraverso il rilancio della scuola, del lavoro e dell’apertura di spazi commerciali impensabili all’epoca del “califfato”. Fra questi anche un ‘caffè letterario’ dedicato all’incontro e alla lettura”. Don Mekko ha anche incontrato alcune famiglie di dignitari musulmani e ha festeggiato con loro la fine del Ramadan, il mese islamico del digiuno: “con loro abbiamo parlato della rinascita di Mosul che non può prescindere dalla presenza dei cristiani, come chiesto espressamente dai leader islamici moderati”.