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PAPA

Il Diavolo agisce, ma il Signore è più forte

All'udienza generale di oggi Papa Francesco ha meditato sull'espressione «popolo di Dio» usata dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Dalla riflessione emerge il messaggio secondo cui «il Diavolo agisce», ma non dobbiamo scoraggiarci ed avere paura perchè il Signore ha già vinto.

Ecclesia 12_06_2013
Papa Francesco

All'udienza generale del 12 giugno Papa Francesco ha proseguito la sua catechesi sulla Chiesa, meditando sull'espressione «popolo di Dio» usata dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Come fa spesso, ha diviso la sua meditazione in cinque semplici domande, da cui emerge il messaggio secondo cui «il Diavolo agisce» e ostacola la Chiesa, ma non dobbiamo scoraggiarci né avere paura perché il Signore ha già vinto ed è più forte del Diavolo.

Prima domanda: «Che cosa vuol dire essere “Popolo di Dio”?».  È anzitutto importante notare, ha detto il Papa, che «Dio non appartiene in modo proprio ad alcun popolo; perché è Lui che ci chiama». Dio e noi non siamo sullo stesso piano, come potrebbero suggerire certe interpretazioni un po' buoniste dell'espressione «popolo di Dio». In secondo luogo, afferma il Pontefice, il Concilio scelse l'espressione «popolo di Dio» per invitare i cattolici a uscire, ad annunciare il Vangelo ovunque. «Gesù non dice agli Apostoli e a noi di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di élite. Gesù dice: andate e fate discepoli tutti i popoli (cfr Mt 28,19)». Dobbiamo dunque trovare le parole per dire «a chi si sente lontano da Dio e dalla Chiesa, a chi è timoroso o indifferente, a chi pensa di non poter più cambiare: il Signore chiama anche te a far parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore!».

Seconda domanda: «Come si diventa membri di questo popolo?». A rigore, non basta essere figli di genitori cristiani. «Non è attraverso la nascita fisica, ma attraverso una nuova nascita. Nel Vangelo, Gesù dice a Nicodemo che bisogna nascere dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito per entrare nel Regno di Dio (cfr
Gv 3,3-5)». Dunque si entra nel popolo di Dio «attraverso il Battesimo», ma questo è un «dono di Dio che deve essere alimentato e fatto crescere in tutta la nostra vita». Ecco dunque che il Papa ci invita a uno dei consueti esami di coscienza: «come faccio crescere la fede che ho ricevuto nel mio Battesimo? Come faccio crescere questa fede che io ho ricevuto e che il popolo di Dio possiede?».

Terza domanda: «Qual è la legge del Popolo di Dio?». Il Vangelo risponde con chiarezza: è la «legge dell'amore». Questa parola però oggi si presta a equivoci. L'amore del Vangelo «non è sterile sentimentalismo o qualcosa di vago, ma è il riconoscere Dio come unico Signore della vita e, allo stesso
tempo, l’accogliere l’altro come vero fratello». Da questo siamo molto lontani: «Dentro il popolo di Dio, quante guerre! Nei quartieri, nei posti di lavoro, quante guerre per invidia, gelosie! Anche nella stessa famiglia, quante guerre interne!». Più che parlare di grandi questioni mondiali, il Papa suggerisce di
partire dalle piccole cose. «Forse tutti abbiamo simpatie e non simpatie; forse tanti di noi sono un po' arrabbiati con qualcuno; allora diciamo al Signore: Signore io sono arrabbiato con questo o con questa; io ti prego per lui e per lei. Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell'amore. Lo facciamo? Facciamolo oggi!».

Quarta domanda: «Che missione ha questo popolo?». Quella, risponde Francesco come di consueto, di «uscire», «di portare nel mondo la speranza e la salvezza di Dio: essere segno dell’amore di Dio che chiama tutti all’amicizia con Lui; essere lievito che fa fermentare tutta la pasta, sale che dà il sapore e che
preserva dalla corruzione, essere una luce che illumina». Naturalmente questo non è facile. «Attorno a noi, basta aprire un giornale, - l'ho detto - vediamo che la presenza del male c’è, il Diavolo agisce. Ma vorrei dire a voce alta: Dio è più forte! Voi credete questo: che Dio è più forte? Ma lo diciamo insieme, lo diciamo insieme tutti: Dio è più forte! E sapete perché è più forte? Perché Lui è il Signore, l'unico Signore».
Il Papa riprende un esempio caro al suo predecessore Benedetto XVI: quando fa buio possiamo fare due cose, maledire l'oscurità o accendere una fiammella. Se in tanti accendiamo una fiammella, alla fine l'oscurità sarà vinta.  Papa Francesco insiste «che la realtà a volte buia, segnata dal male, può cambiare,
se noi per primi vi portiamo la luce del Vangelo soprattutto con la nostra vita. Se in uno stadio, pensiamo qui a Roma all’Olimpico, o a quello di San Lorenzo a Buenos Aires, in una notte buia, una persona accende una luce, si intravvede appena, ma se gli oltre settantamila spettatori accendono ciascuno la propria luce, lo stadio si illumina».

Quinta domanda: «Qual è il fine di questo popolo?».  Si tratta del «Regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio stesso e che deve essere ampliato fino al compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr Lumen gentium, 9)». Il fine è escatologico: «è la comunione piena con il Signore, la familiarità con il Signore, entrare nella sua stessa vita divina, dove vivremo la gioia del suo amore senza misura, una gioia piena». Ma in attesa del compimento escatologico, dobbiamo «annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso è smarrito, bisognoso di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino». La Chiesa «deve essere con le porte aperte, perché tutti possano entrare». Quanto a noi, non possiamo accontentarci di rimirare le porte aperte: «dobbiamo uscire da quelle porte e annunciare il Vangelo».