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L'IO E LA CRISI DELLA MODERNITA'/19

Il desiderio e il cuore dell'uomo antidoti all'ideologia

La storia del pensiero e della cultura è una ricerca inesausta di senso rappresentata da un libro sul leggio, sfogliato dal vento. Le pagine si fermano come se fosse stato svelato il Mistero, poi il vento riprende a rigirare le pagine, in eterno, alla ricerca della verità ancora non pienamente raggiunta.

Cultura 05_02_2017

Si è aperta un’età nuova che forse (lo sapremo tra alcuni decenni) passerà alla storia con il nome di postmodernità. Altri nomi sono stati proposti come «l’età dell’accesso facile ai servizi» o «l’epoca della globalizzazione». Le ideologie imperversano proprio quando si vive una crisi antropologica, quando sono venute meno le certezze e le convinzioni che portano l’uomo a costruire nel e per il tempo. Da dove è possibile ripartire in un’epoca di cambiamento radicale che può essere paragonato a quello che aveva contraddistinto la fine dell’impero romano o che aveva aperto la nascita della modernità? 

Recita il salmo biblico 8: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi e il figlio dell'uomo, perché te ne curi?». Più di duemila anni dopo nel canto «Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima» si chiede ancora Leopardi: «Natura umana, or come,/ Se frale in tutto e vile,/ Se polve ed ombra sei, tant'alto senti?/ Se in parte anco gentile,/ Come i più degni tuoi moti e pensieri/ Son così di leggeri/ Da sì basse cagioni e desti e spenti?». Il Recanatese nota come la povera e fragile mente umana possa elevarsi a concetti elevatissimi e alla brama dell’infinito e, nel contempo, pur se capace di desideri così profondi, sa abbassarsi alla terra e accontentarsi del nulla.

Sempre, comunque, anche di fronte alla morte e alla percezione della labilità dell’esistenza, rimane in noi una domanda, ben espressa da quell’Ungaretti (1888-1970) che, durante l’esperienza della trincea nella prima Guerra mondiale, ancor non crede (si convertirà solo una decina d’anni più tardi): «Chiuso fra cose mortali// (Anche il cielo stellato finirà)// Perché bramo Dio?». L’uomo non si può accontentare soltanto di soddisfare il bisogno fisico, altrimenti sarebbe come la bestia. L’uomo ha una «grande aspirazione», come recita il titolo di una bellissima poesia di Pascoli (1855-1912) che scrive: «Un desiderio che non ha parole/ v'urge, tra i ceppi della terra nera/ e la raggiante libertà del sole./ Voi vi torcete come chi dispera,/ alberi schiavi!». L’uomo è come un albero, ben radicato alla terra, ma che vorrebbe avere le ali per volare e si protende, così, verso il cielo. Questa brama di conoscere e quest’aspirazione al cielo non possono rimanere senza risposta. 

La storia del pensiero e della cultura è questa ricerca inesausta di senso, che può essere rappresentata, come afferma Pascoli in un’altra poesia, da un libro sul leggio di un terrazzo, sfogliato dal vento. Le pagine ad un certo punto si fermano come se fosse stato svelato il Mistero, poi ad un certo punto il vento riprende a rigirare le pagine, in eterno, alla ricerca della verità ancora non pienamente raggiunta. Breve, troppo breve è il viaggio dell’uomo, di quella che il filosofo Blaise Pascal chiama «canna pensante». Il viaggio ricopre lo spazio di una giornata (come recita il titolo di una delle ultime novelle di Pirandello). Quando ci risvegliamo dal torpore e dal sonno in cui viviamo, ci ritroviamo già vecchi e sul punto di morire. Che fare allora quando cresce in noi la consapevolezza che siamo tutti destinati alla corruzione, che abbiamo tutti in noi il germe della morte come l’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, che cerca di fermare la vita per riflettere? Urge innanzi tutto una serietà nel nostro impegno nella vita e con le nostre domande che non possono essere assopite. Il nostro cuore non può essere attutito e dimenticato a meno che non sia sottoposto ad un’azione violenta. La realtà c’è, o la censuri o la abbracci. L’unico modo pienamente umano è quello di stare di fronte ad essa con tutta l’altezza del nostro desiderio. Proprio il desiderio ci distingue dalle bestie. 

Un bimbo che ha perso il senso di gravità, ci racconta Pascoli ne «La vertigine», guarda gli uomini e li vede «immersi nell'eterno vento». Il bimbo si sorprende della condizione dell’uomo che è «pendulo», proprio  lui che si sente eretto. Così, perso il senso di gravità, cerca di aggrapparsi «a una rupe, a un albero, a uno stelo,/ a un filo d'erba, per l'orror del vano!/ a un nulla, qui, per non cadere in cielo!». La notte accentua il desiderio del bimbo di sprofondare nel cielo fino a giungere al termine ultimo, al fine e al senso di tutto, fino a incontrare Dio. Un desiderio intensissimo di trovare un ubi consistam, un fondamento, o forse un’origine e un fine. Questo desiderio di infinito, di pienezza, di senso, di capire dove stiamo andando, questo abisso di vita, di pienezza, di non accontentarsi è la vera statura dell’uomo. Si traduce in una domanda, in un’attesa di un amore pieno, quale quello che esprime la grande poetessa italiana Ada Negri (1870-1945) quando scrive nella poesia «A colui che non è venuto». La poetessa si sente nata per questo sconosciuto e ignoto amante. Lo sconforto per l’unione impossibile («Non venisti, non vieni, non t’attendo/ più. Domani morrò. La vita ha fretta») non riesce a spegnere  la fiamma e la segreta speranza che un giorno l’amore sarà totale. 

Anche nella poesia Il dono Ada Negri manifesta la stessa attesa: «Il dono eccelso che di giorno in giorno/e d’anno in anno da te attesi, o vita/ (e per esso, lo sai, mi fu dolcezza/ anche il pianto), non venne: ancor non venne./ Ad ogni alba che spunta io dico: «È oggi»:/ ad ogni giorno che tramonta io dico: «Sarà domani»». In modo analogo si chiede santa Teresa di Lisieux (1873-1897): «Perché cercare felicità sulla Terra? Confesso che il mio cuore ne ha una sete ardente, ma questo cuore vede che nessuna creatura è capace di estinguere la sua sete». E ancora scrive: «Capisco che Lui solo è immutabile, che Lui solo può colmare i miei immensi desideri. […] Tutte le mie speranze saranno compiute; sì, il Signore per noi farà meraviglie che supereranno infinitamente i nostri desideri immensi!».

Se il desiderio di pienezza è connaturato all’uomo e non si spegne di fronte all’oggetto desiderato, ma «si attiva», per usare le parole di santa Teresa del Bambin Gesù, come mai oggi sembra essere spento, attutito, addormentato? In un articolo di giornale, che sarebbe stato poi raccolto in Scritti corsari, Pasolini afferma che il centralismo odierno del potere che mira a soffocare l’umano e ogni forma di desiderio autentico: «Il Centro […] ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza». Sono stati imposti nuovi modelli. Il sistema non vuole più solo creare un «uomo che consuma», ma «pretende che non siano concepite altre ideologie che quella del consumo». La religione, afferma Pasolini, è l’unico fenomeno che può essere concorrente e opporsi all’«edonismo di massa». Ma, afferma Pasolini, «Come concorrente il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. […] Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina)». 

Come non si cede alla società che insinua falsi bisogni e che riduce la grande domanda che alberga in noi? Come non accontentarsi e non ridursi ad una borghesizzazione della vita, ad una riduzione dell’umano, ad un perbenismo benpensante che non si aspetta più nulla dalla vita? Come ci si può opporre  a questo sistema fagocitante? Come ripartire dal desiderio autentico del cuore? A queste domande cercheremo di rispondere nelle prossime settimane.