"Il desiderio di Dio"
Alla vigilia della chiusura dell'Anno della Fede, Papa Francesco ha ricordato ai dirigenti sportivi, agli operatori sanitari e ai catecumeni l'esigenza di una fede fondata sul «desiderio di Dio», un desiderio che fa ardere il nostro cuore.
Alla vigilia della conclusione dell'Anno della fede, nel corso del quale - una per una - tutte le categorie della Chiesa sono convenute a Roma, sabato 23 novembre in separati incontri Papa Francesco ha rivolto la sua parola ai dirigenti sportivi dei Comitati Olimpici, agli operatori sanitari e ai catecumeni, cioè agli adulti che si apprestano a ricevere il Battesimo. A tutti ha ricordato l'esigenza di una fede fondata sul «desiderio di Dio», un desiderio che fa ardere il nostro cuore. Se la fede non è così, se diventa «abitudinaria», è una fede che non cambia la vita e a poco a poco si spegne. Ma perché il fuoco della fede arda in noi è necessario che sia continuamente alimentato dall'ascolto della Parola di Dio e dell'insegnamento della Chiesa, dall'apostolato e dalla pratica della carità. A questo dovrebbe essere servito l'Anno della fede: a farci comprendere che una fede non alimentata - e che non ci spinge a portare il Signore anche agli altri - è una fede fragile, che a poco a poco muore.
È significativo che nella stessa data sia stata resa pubblica la breve lettera del Papa «Ineunte quadrigentesimo et quinquagesimo anniversario» per il 450° anniversario della conclusione del Concilio di Trento. Tale lettera contiene un prezioso riferimento al discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 alla Curia Romana, e all'ermeneutica della riforma nella continuità proposta da Papa Ratzinger in quell'occasione. È un criterio per interpretare il Concilio Vaticano II che Francesco fa suo affermando che «non si applica meno al Concilio di Trento che al Concilio Vaticano II». Un'affermazione da mettere in relazione anche alla lettera privata a mons. Agostino Marchetto, di cui il Papa aveva autorizzato e anzi caldeggiato la diffusione, dove Francesco definiva il vescovo italiano - forse il maggiore sostenitore della tesi della «riforma nella continuità» - come il migliore interprete del Vaticano II.
Ai dirigenti sportivi il Pontefice ha ricordato che esiste ormai un vasto Magistero dove la Chiesa si è occupata dello sport e del suo indubbio rilievo nella società contemporanea. Ma non mancano le preoccupazioni. «Quando lo sport viene considerato unicamente secondo parametri economici o di conseguimento della vittoria ad ogni costo, si corre il rischio di ridurre gli atleti a mera mercanzia da cui trarre profitto. Gli stessi atleti entrano in un meccanismo che li travolge, perdono il vero senso della loro attività, quella gioia di giocare che li ha attratti da ragazzi e che li ha spinti a tanti veri sacrifici e a diventare campioni. Lo sport è armonia, ma se prevale la ricerca smodata del denaro e del successo questa armonia si rompe».
Anche agli operatori sanitari il Papa ha riproposto considerazioni che gli sono familiari, ripetendo che «le persone anziane sono sempre state protagoniste nella Chiesa, e lo sono tuttora. E oggi più che mai la Chiesa deve dare esempio a tutta la società del fatto che esse, malgrado gli inevitabili "acciacchi", a volte anche seri, sono sempre importanti, anzi, indispensabili». Oggi purtroppo non è più ovvio che «la vita umana conserva sempre il suo valore agli occhi di Dio, al di là di ogni visione discriminante» e anche quando c'è negli anziani malati «un deterioramento delle capacità cognitive». Anche queste vite hanno un valore, e spesso la Chiesa resta sola a difenderle.
Per queste vite la Chiesa chiede «aiuti e di servizi adeguati, volti al rispetto della dignità, dell’identità, dei bisogni della persona assistita, ma anche di coloro che la assistono, familiari e operatori professionali». Ma questo è possibile «solo in un contesto di fiducia e nell’ambito di una relazione vicendevolmente rispettosa. Così vissuta, quella della cura diventa un’esperienza molto ricca sia professionalmente sia umanamente; in caso contrario, essa diventa molto più simile alla semplice e fredda "tutela fisica"».
Gli operatori sanitari devono tenersi «lontani dalle chiusure e dai silenzi, quella tortura dei silenzi! Il silenzio tante volte si trasforma in una tortura. Queste chiusure e silenzi che troppo spesso circondano le persone in ambito assistenziale». E anche nei malati più gravi non viene mai meno «l’importanza dell’aspetto religioso e spirituale. Anzi, questa è una dimensione che rimane vitale anche quando le capacità cognitive sono ridotte o perdute. Si tratta di attuare un particolare approccio pastorale per accompagnare la vita religiosa delle persone anziane con gravi patologie degenerative, con forme e contenuti diversificati, perché comunque la loro mente e il loro cuore non interrompono il dialogo e la relazione con Dio».
Ai catecumeni, infine, il Papa ha presentato il segreto di una fede viva: il desiderio di Dio. Francesco ha citato il Salmo 42: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?». E ha commentato: «Quanto è importante mantenere vivo questo desiderio, questo anelito ad incontrare il Signore e fare esperienza di Lui, del suo amore, della sua misericordia! Se viene a mancare la sete del Dio vivente, la fede rischia di diventare abitudinaria, rischia di spegnersi, come un fuoco che non viene ravvivato».
Ravvivare la fede, ha spiegato il Papa, è un processo che comprende tre momenti. Primo: l'ascolto. Far prevalere la voce della Parola di Dio e della Chiesa «nel tumulto di tante voci che risuonano intorno a noi e dentro di noi», dando priorità alla «voce che indica Gesù come l’unico che può dare senso pieno alla vostra vita».
Secondo: l'incontro. Le persone che davvero incontrano Gesù «avvertono subito qualcosa di nuovo nel loro cuore: l’esigenza di trasmettere la loro gioia anche agli altri, affinché anch’essi lo possano incontrare». Anzitutto, «Dio appare sempre come colui che prende l’iniziativa dell’incontro con l’uomo: è Lui che cerca l’uomo, e di solito lo cerca proprio mentre l’uomo fa l’esperienza amara e tragica di tradire Dio e di fuggire da Lui». Poi, «quando avviene l’incontro, non è mai un incontro frettoloso, perché Dio desidera rimanere a lungo con noi per sostenerci, per consolarci, per donarci la sua gioia». Quindi, avendo compreso che cosa significa incontrare Dio, sorge in noi il desiderio di condividere questo incontro con gli altri.
È il terzo tempo: «camminare». «La fede è un cammino con Gesù… e che dura tutta la vita. Alla fine ci sarà. Certo, in alcuni momenti di questo cammino ci sentiamo stanchi e confusi. La fede però ci dà la certezza della presenza costante di Gesù in ogni situazione, anche la più dolorosa o difficile da capire». Mentre camminiamo per portare Gesù agli altri, lo portiamo a noi stessi. È il contrario di quella «fede abitudinaria», che non condividiamo con nessuno e che a poco a poco muore.