Il declino dei sacerdoti gay, una buona notizia dagli Usa
Una ricerca fondata sui dati raccolti dall’Austin Institute rileva che i sacerdoti americani che si qualificano come omosessuali sono in netto calo rispetto a vent’anni fa. Cresce inoltre la consapevolezza tra i nuovi ordinati della peccaminosità degli atti omosex. Una buona notizia sia per la dottrina cattolica sia per il legame tra omosessualità nel clero e abusi.
Nelle stesse ore in cui dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei è giunta l’ennesima conferma del calo delle vocazioni (con un grave meno 28% di seminaristi diocesani dal 2009 al 2019), negli Stati Uniti è stata pubblicata un’indagine che riguarda sempre il sacerdozio e che registra sempre un calo, ma decisamente meno sconfortante: quello dei preti omosessuali. A certificarlo è una ricerca di una trentina di pagine intitolata Is Homosexuality in the Priesthood Diminishing?, realizzata dal sociologo texano Mark Regnerus insieme agli studiosi Stephen Cranney e Brad Vermurlen. I tre hanno sostanzialmente replicato, a distanza di quasi 20 anni, un’indagine svolta nel 2002 dal Los Angeles Times allo scopo di creare un set di dati che potesse aiutare gli analisti a capire cosa è cambiato o meno, negli ultimi due decenni, nel mondo del sacerdozio.
Ebbene, a partire dai dati dell’Austin Institute raccolti a fine 2020 e inizio 2021, su un totale di circa un migliaio di sacerdoti sondati tutelando il loro anonimato, le novità emerse sono varie. La principale, come si diceva, riguarda però l’orientamento omosessuale tra i sacerdoti, che risulta in declino man mano che le vocazioni diventano recenti; infatti, per le ordinazioni ante 2000, i sacerdoti che si sono qualificati come omosessuali oscillano dall’11 al 15%, mentre dopo il 2000 queste percentuali precipitano, fermandosi al 2, massimo 3%.
Parallelamente, son cresciute le ordinazioni di sacerdoti che si dichiarano eterosessuali al punto che Regnerus e colleghi stimano che entro il 2041, visto il trend, la quota di sacerdoti cattolici che si dichiareranno come interamente o prevalentemente eterosessuali dovrebbe ammontare a oltre il 92%, mentre coloro che si autoidentificano come interamente o prevalentemente omosessuali arriveranno al 7%, valore simile - e non più superiore, come ha iniziato a essere negli anni Sessanta e Settanta - a quello delle popolazione generale.
In questa stagione di trasformazione che investe il clero americano, anche le posizioni chiare e forti sul celibato («non è un problema per me e non vacillo nel mio voto») risultano più popolari oggi rispetto ad anni fa, facendo rilevare un rafforzamento dell’ortodossia che pare proprio rispecchiare la riduzione della quota di sacerdoti che si dichiarano non eterosessuali. Insieme al cambio degli orientamenti, cambiano dunque anche le visioni della morale oltre che, evidentemente, della stessa sessualità. Infatti, benché la cultura dominante remi nel verso opposto, in questi anni il clero americano sta diventando molto più conservatore in tema di omosessualità: tra gli ordinati prima del 1981, il 34% ha risposto «sempre» alla domanda sul comportamento omosessuale come peccaminoso e un ulteriore 33% ha risposto «spesso», mentre tra i giovanissimi, quelli ordinati dopo il 2010, il comportamento omosessuale è ritenuto peccaminoso nell’89% dei casi.
Tutto ciò fa concludere a Regnerus che «le opinioni dei preti più giovani sul sesso sono più conservatrici» e che «il tipo di uomo che completa il seminario con l’intenzione di essere ordinato è più conservatore in materia di sessualità, come su altro, rispetto a chi lo faceva 20, 30 o 40 anni fa». Ora, come mai questo cambiamento così profondo nelle visioni valoriali dei giovani sacerdoti? Le ipotesi sociologiche plausibili, e che non si escludono a vicenda, sono almeno un paio. In breve, è verosimile sia che i giovani progressisti considerino il sacerdozio sempre meno attraente sia che, finalmente, un maggior controllo nei seminari stia facendo una giusta selezione su chi sia davvero portato per questo percorso.
In ogni caso, è difficile non considerare il calo della quota di sacerdoti con tendenze omosessuali come una buona notizia, anche pensando ai più giovani e ad una più seria lotta contro gli abusi del clero. «L’aumento o la diminuzione degli abusi nel loro insieme» - ha in proposito notato un altro sociologo, Donald Sullins, in un lavoro intitolato Is Catholic Clergy Sex Abuse Related to Homosexual Priests? - «è fortemente associato all’aumento o diminuzione dei preti con tendenze omosessuali».
Se ciò è vero, significa che, dopo tanti scandali, i pastori statunitensi sono ora saldamente incamminati sulla via di una positiva rigenerazione sia morale sia dottrinale. Chissà, allora, che l’esempio americano non faccia scuola anche in Europa e in altre parti del mondo, ponendo fine a quei venti liberal e progressisti che, in casa cattolica, alla prova dei fatti fanno solo una cosa: danni.