Il Ddl Zan discrimina e Emilee lo dimostra
L'utilità del Ddl Zan smentita dalla fotografa Emilee Carpenter che ha denunciato lo Stato di New York: «Come il governo non può obbligare una pasticcera lesbica a fare una torta con scritte contro il matrimonio gay, così non può costringermi a dare visibilità a valori a cui mi oppongo».
L’approvazione del ddl Zan? Rafforzerebbe le tutele per la minoranza Lgbt senza limitare la libertà proprio di nessuno, figuriamoci. Il centrosinistra, gli influencer amici e più in generale i sostenitori della norma contro l’omobistransfobia - già approvata lo scorso autunno alla Camera e ora approdata all’altro ramo del Parlamento - son sempre molto sicuri, nel rilanciare questa tesi. Che però ha un piccolo difetto: è ampiamente smentita dall’esperienza internazionale in ordine all’applicazione di norme simili, e cioè in teoria contro le discriminazioni ma, in pratica, contro la libertà di pensiero. Una vicenda molto istruttiva al riguardo arriva dall’altra parte dell’oceano.
Stiamo parlando del caso dell’americana Emilee Carpenter, che non è una terrorista dell’Isis né una seviziatrice di omosessuali bensì una giovane fotografa che ama il suo lavoro. Ma sopratutto, si tratta di una cristiana non disposta a scendere a compromessi. Per questo, martedì, assistita da Alliance Defending Freedom, ha presentato una denuncia di oltre 50 pagine contro il suo Stato, quello di New York, per un motivo semplice: poter esercitare la sua professione senza limitazioni e, soprattutto, senza obblighi. Sì, perché vigente l’attuale legislazione newyorkese contro le discriminazioni, succede che, come i pasticcieri, anche i fotografi non possono sottrarsi - se non vogliono grane legali - all’obbligo di offrire le loro prestazioni per le nozze gay.
Non a caso diversi fotografi, per questo motivo, o hanno abbandonato la loro professione oppure sono stati trascinati in tribunale. Ebbene, dato che prevenire è meglio che curare e che è meglio prendersi cura della propria bottega prima che qualcuno ti intimi di chiuderla, la Carpenter – dimostrando notevole coraggio – ha scelto di prendere il toro per le corna, facendo come si diceva causa al suo Stato. Il testo della denuncia è estremamente cristallino nel rivendicare un principio elementare e laicissimo: quello della libertà di pensiero.
«Proprio come il governo non può obbligare una pasticcera lesbica a fare una torta con scritte contro il matrimonio gay», recita infatti l’atto, «o un drammaturgo ateo a parlare positivamente di Dio, lo Stato di New York non può costringere Emilee a dare visibilità a messaggi e valori a cui si oppone». Un ragionamento che non fa una grinza. Attenzione, però, a pensare ad Emilee Carpenter come ad una ossessionata dai matrimoni gay. Non è così. Perché se da un lato è vero che è questo il tema più caldo - e che l’interessata vorrebbe risolvere vedendosi riconosciuto il diritto di scrivere anche sul suo sito che lei, a certi eventi, semplicemente non è interessata -, dall’altro la sua battaglia, come si diceva, è per una libertà più ampia.
A chiarire questo concetto, ancora una volta, è la denuncia che ha donna ha depositato: «Emilee non sarebbe disponibile neppure a fotografare matrimoni che avessero a tema la festa di Halloween o look vampireschi, perché crede che tutte le cerimonie nuziali siano eventi intrinsecamente religiosi e solenni». Ora, se non fosse cristiana e non si battesse contro la cultura dominante di matrice arcobaleno, probabilmente oggi Emilee Carpenter sarebbe già un’eroina internazionale, celebrata sui media, intervistatissima, con magari pure dei registi interessati a girare film sulla sua storia, una volta che la vicenda giudiziaria sarà terminata.
Per note ragioni di ordinaria cristianofobia, invece, le cose stanno in modo diverso. Tuttavia, per venire a noi, la vicenda di questa fotografa è istruttiva per un’altra ragione: perché dimostra a quali derive liberticide conducano le legislazioni apparentemente contrarie alle discriminazioni. Di qui un dilemma con due soli possibili scenari: o i sostenitori del ddl Zan sono all’oscuro delle conseguenze del loro provvedimento oppure – ed è, purtroppo, l’ipotesi più probabile – sanno benissimo a quali scenari esso porterà, una volta entrato in vigore. Stanno insomma cercando di imbavagliarci. Anche con un certo garbo, parlandoci di tolleranza, apertura ed inclusione. Ma questo non cambia la pessima realtà delle cose.