Il culto della biosicurezza genera nuove psicosi
Il “culto” della bio-sicurezza ha soppiantato il calcolo razionale per caricare la siringa immunizzante di aspettative escatologiche. Sul vaccino c'è un'adesione fideistica che ha provocato, al primo apparire di gravi effetti collaterali, un'esplosione di paura incontrollata. Al misticismo vaccinale si contrappone l'effetto devastante di una disillusione che spingerà la gente a forme ancor più accentuate di psicosi e di asocialità. Questo è il frutto avvelenato dell'irresponsabile catastrofismo diffuso a piene mani nell'ultimo anno.
- «I NOSTRI DUBBI SUI VACCINI» di Luisella Scrosati
Davvero si fatica a comprendere, a lume di logica, lo smarrimento suscitato in molti paesi europei, tra cui l'Italia, dall'emergere delle morti e dei molti sintomi reattivi gravi collegati al vaccino Astrazeneca, che hanno portato buona parte dei paesi del continente a sospenderne cautelativamente la somministrazione.
Gran parte dei farmaci recano avvertenze di possibili effetti collaterali, anche mortali, desunti dalla sperimentazione e dalle segnalazioni raccolte. Chiunque usi quei farmaci è informato dei rischi, per quanto mimini, che corre, e li assume sotto la propria responsabilità, accettandoli.
Ciò vale naturalmente anche nel caso dei vaccini, tanto da suscitare forti tensioni nel caso delle immunizzazioni prescritte come obbligatorie ai bambini, alle quali, come è noto, molti genitori si oppongono non considerando equo il rapporto tra rischi e benefici. E vale ancor più per vaccini come quelli approntati contro il Covid-19, per i quali la fase della sperimentazione è stata certamente molto più affrettata e sommaria di quanto abitualmente avviene. Chi oggi va a farsi somministrare il siero contro il virus deve firmare una liberatoria contro eventuali effetti avversi, e sa benissimo di essere, entro certi limiti, una “cavia”. Se, nonostante questo, decide di farlo egli compie una scelta libera, presumibilmente fondata sull'idea che i rischi incerti del siero siano comunque inferiori a quelli potenziali del Covid.
Dunque l'improvviso panico nel quale sono cadute tanti che con entusiasmo si erano prenotati per la vaccinazione Astrazeneca, o avevano già ricevuto la prima dose, davanti alle reazioni sospette è umanamente, emotivamente comprensibile, ma sembrerebbe inspiegabile da un punto di vista puramente razionale.
Se non che, la reazione a catena di allarmismo rispetto ai vaccini suscitata da questo particolare caso ha radici molto più profonde. Essa rappresenta una logica, speculare conseguenza proprio di quell'entusiasmo che aveva originariamente mosso settori considerevoli della popolazione verso il vaccino, e più in generale del modo in cui fino ad ora le istituzioni, la classe politica, quella scientifica, i grandi mezzi d'informazione hanno affrontato il problema dell'epidemia da Coronavirus.
Il problema fondamentale portato alla luce dalla crisi di sfiducia emersa in questi giorni, infatti, sta proprio nel dogma che la propaganda governativa e mediatica ha imposto con martellante insistenza in questi mesi: “ne usciremo solo con i vaccini”. La “narrazione” dominante ha dipinto l'epidemia come un evento apocalittico, che semina vittime indiscriminatamente e giustifica, per “mitigarlo”, qualsiasi restrizione delle libertà personali, della socialità, dell'economia, della formazione e della cultura. Alla rappresentazione terroristica del virus come piaga biblica, senza adeguate distinzioni tra le categorie di popolazione più o meno a rischio, che vede come risposta possibile ad esso soltanto l'”ibernazione” della società, ha corrisposto quella del vaccino come futuro rimedio salvifico, passaporto inevitabile per il ritorno alla normalità. L'avvento degli antidoti è stato descritto con toni religiosi, mistici (ricordiamo ancora la discesa delle prime provette per la penisola attraverso il Brennero alla fine di dicembre, seguita incredibilmente dai media con toni rapiti come se fosse una sacra processione), e si è dato per scontato che la campagna di vaccinazione dovesse essere svolta a tappeto, rivolta a tutti indistintamente, e magari in prospettiva resa obbligatoria.
Così, anche per iniziativa delle più alte cariche istituzionali e persino spirituali, la vaccinazione è stata descritta e prescritta come un dovere civico, un atto di “altruismo” verso la collettività. Tale atteggiamento ha istradato l'opinione pubblica italiana verso l'accettazione di una forma di vera e propria “medicalizzazione della vita”, come l'ha definita il filosofo Giorgio Agamben: il vaccino come condizione essenziale per il ritorno alla vita normale sì, ma di una “nuova normalità” in cui monitoraggi, controlli, restrizioni, ulteriori indefiniti richiami delle immunizzazioni si avvierebbero a costituire una situazione fisiologica. In sostanza, la contrapposizione manichea tra pandemia e “dio” vaccino induce alla fede in un futuro in cui sarà possibile realizzare l'utopia della vita a “rischio zero”, sotto l'illuminato governo di una classe politica ispirata dall'autorità della Scienza.
Proprio il “culto” della bio-sicurezza, della immunizzazione di tutti da tutto, sta alla base di un enorme investimento emotivo ed esistenziale nei vaccini da parte di ampi strati della società, che hanno completamente abbandonato il calcolo razionale fondato sul buon senso per caricare la siringa immunizzante di aspettative escatologiche. Ma, per converso, proprio quel carico enorme di aspettative e quell'adesione fideistica hanno provocato, al primo apparire di gravi effetti collaterali, un'esplosione altrettanto enorme di paura incontrollata. Per molti “fedeli” il caso Astrazeneca è stato il brusco risveglio da un sogno, la fine improvvisa di un mito. Al misticismo vaccinale rischia così di contrapporsi l'effetto devastante di una disillusione che spingerà quelle stesse folle a forme ancor più accentuate di psicosi, di asocialità, di distanziamento non soltanto fisico ma psicologico da ogni vita di relazione, da ogni investimento in un futuro “senza protezioni”.
Questo è il frutto avvelenato dell'irresponsabile catastrofismo diffuso a piene mani nell'ultimo anno, degli inutili e autoritari lockdown, del rifiuto di un approccio laico e pragmatico ad un problema sanitario sicuramente serio per limitate fasce anagrafiche della popolazione, ma facilmente circoscrivibile a risposte strettamente sanitarie, compatibili con il proseguimento della vita collettiva. In una società non psicotizzata il vaccino rappresenterebbe uno strumento utile, benvenuto, ma da usare con intelligenza solo nei casi in cui il rapporto tra rischi e benefici penda chiaramente a favore dei secondi. E la scelta di vaccinarsi sarebbe affidata soltanto alla autonoma, inappellabile valutazione di ciascun individuo sulle vie migliori per preservare la propria salute. Nella consapevolezza che il “rischio zero” esiste soltanto nelle utopie. O nelle distopie.