Il Covid in Svezia, una lezione di umiltà
Come mai la Svezia non fa più notizia? Vi ricordate la nazione che era considerata la “maglia nera” d’Europa in fatto di Covid? Il Paese con più morti e più contagi, come titolavano i giornali nel maggio del 2020? Ebbene, la Svezia non fa più notizia perché, di morti per il nuovo coronavirus, non ne ha praticamente più. E non ha mai fatto lockdown
Come mai la Svezia non fa più notizia? Vi ricordate la nazione che era considerata la “maglia nera” d’Europa in fatto di Covid? Il Paese con più morti e più contagi, come titolavano i giornali nel maggio del 2020? Ebbene, la Svezia non fa più notizia perché, di morti per il nuovo coronavirus, non ne ha praticamente più dall’inizio di quest’estate. Il Paese quasi essere quasi del tutto immune alla variante Delta che pure terrorizza tutto il resto del mondo.
In rapporto alla sua popolazione, il Paese scandinavo registra quotidianamente da 0,01 a 0,14 morti di Covid per milione di abitanti, dall’inizio del mese. Si tratta di uno dei tassi di mortalità più bassi di tutto il vecchio continente. Fatta eccezione per il mese di gennaio 2021, quando ebbe un picco, fino a oltre 13 morti per milione di abitanti, dopo il febbraio la Svezia ha assistito ad una drastica riduzione dell’epidemia, sia in termini di contagi che di decessi. E la tendenza non si è mai invertita. Una nuova fiammata in aprile (1,36 morti per milione di abitanti) è stata un’eccezione e comunque imparagonabile a quel che era successo nell’inverno precedente. Perché, invece, la Svezia dovrebbe fare notizia? Perché non ha mai applicato una vera e propria politica di lockdown.
L’unico strumento statistico a nostra disposizione per misurare la rigidità delle misure anti-Covid è lo Stringency index elaborato dall’Università di Oxford. Se paragoniamo la Svezia a Italia, Spagna, Francia e Regno Unito (tre casi di politiche di lockdown rigidi), noi vediamo che dall’inizio della pandemia ad oggi la Svezia è rimasta quasi sempre la nazione con l’indice di repressione più basso. Quasi sempre, perché solo in determinati momenti le autorità svedesi sono state mediamente più “chiusuriste” rispetto ai colleghi europei. Nel periodo che va da giugno a ottobre 2020, la Svezia ha uno Stringency index più alto rispetto a quello dell’Italia e della Francia (quando stavamo vivendo nell’illusione che la pandemia fosse finita). Poi ancora, a intermittenza, in alcuni giorni di fine febbraio e inizio marzo 2021. Ma dal marzo ad oggi Stoccolma ha concesso sempre più aperture. Ma in generale, agli svedesi non è mai stato ordinato di restare in casa. Non è mai stato ordinato loro di smettere di lavorare in presenza. Non sono state imposte neppure le mascherine all’aperto. Agli obblighi e alle minacce di sanzione si è preferito dare consigli.
L’esempio della Svezia continua a suscitare l’ira funesta di quanti difendono il modello italiano, se non altro per dimostrare a se stessi che i sacrifici fatti fin qui non sono stati vani. Vedere che qualcuno che non ha mai fatto lockdown stia meglio di noi, in effetti… Uno dei mezzi retorici più adottati per sminuire i successi del Paese scandinavo è paragonare i suoi risultati a quelli dei suoi vicini scandinavi, Finlandia e Norvegia. Ma anche questa comparazione non ha alcun senso, poiché in Svezia la densità abitativa di città come Stoccolma e Malmo è molto superiore rispetto a quella di Helsinki e soprattutto di Oslo. I dati della Svezia dovrebbero essere comparati a quelli di tutti gli altri Paesi europei, non ha senso limitare la comparazione a due soli Paesi vicini.
Non regge neppure la tesi secondo cui gli svedesi morirebbero meno degli italiani perché sono più vaccinati. Non è vero: al 23 agosto 2021, in Svezia si è vaccinato il 66,9% della popolazione (il 51,13% completamente vaccinato), in Italia abbiamo quote simili, ma leggermente superiori, con il 68,6% di popolazione vaccinata (il 58,3% completamente vaccinata). Eppure i dati sulla mortalità da Covid, a sette mesi dall’inizio della campagna vaccinale, parlano da soli: in Italia abbiamo una media settimanale di 5,28 decessi ogni milione di abitanti, in Svezia di 0,99.
Nei confronti della variante Delta, l’architetto della politica sanitaria svedese, l’infettivologo Anders Tegnell, è molto meno catastrofista di tanti suoi colleghi. Mentre le autorità mediche statunitense affermavano che la nuova mutazione del coronavirus fosse contagiosa quanto la varicella, lui pacatamente replicava, all’inizio del mese: “È difficile dire quanto sia contagiosa la variante Delta. Per la varicella, siamo stati in grado di seguire la malattia per diversi anni. L’infettività della variante Delta, invece, sembra essere molto irregolare: in alcuni casi, una persona infetta un centinaio di persone, altre volte non infetta nessuno”. Con lo stesso atteggiamento di dubbio, Tegnell non suggerì il tentativo di eradicare il virus tramite lockdown, illusione in cui sono caduti tutti i governi europei. Ha ammesso sin da subito che il virus sarebbe circolato comunque e che semmai avremmo dovuto imparare a coesisterci. “Questa è una malattia che resterà con noi a lungo, anche se dovessimo scoprire un vaccino – diceva nell’ottobre 2020 – non ce ne libereremo così facilmente”. L’unico modo per coesistere con una malattia che resterà con noi a lungo è proteggere i fragili e lasciare liberi gli altri, così da ridurre morti e ospedalizzazioni, senza per questo distruggere la società.
Questo atteggiamento delle autorità svedesi non è un “esperimento” cinico, come è stato descritto dai media europei, ma è un atto di umiltà. Ed è proprio l’umiltà che, al contrario, manca nei nostri veri o presunti esperti, pronti a suggerire ai nostri governi formule magiche che regolarmente mancano i loro obiettivi, ma lasciano uno strascico di miseria, umana e materiale, che ci porteremo dietro per sempre.