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VITA DIGITALE

Il Covid e noi di una certa età alle prese con Amazon

Ordine governativo: resta in casa e stai connesso. Tutto bene finché le macchine funzionano. Nel mio caso per un ordine su Amazon sono diventato matto. E dovrò aspettare una settimana. 

Attualità 20_04_2020

Chiusi in casa, tra i mille problemi imprevisti che sorgono, c’è anche questo: l’auto ferma; non si scaricherà la batteria? Pericoloso, perché in caso di urgenza grave può non partire. Telefono all’amico che se ne intende. Risposta: muovila per qualche chilometro almeno una volta alla settimana. Obiezione: e come giustifico l’uscita con i vigili? Risposta 2: dì che vai in farmacia o al supermercato. Già, me ce li ho entrambi a due passi, insufficienti per ricaricare la batteria. Allora, dice, comprati un caricabatterie su Amazon, ditta che, leggo sui media, sta avendo un boom spettacolare.

Sì - confermo - ma forse tra i ragazzini, e io non ne ho a disposizione. Cosa voglio dire? Mi spiego. Provo io sul computer a cercare il prodotto. Trovato. Rapida occhiata alla pagina che è un intrico di indicazioni, box, didascalie e quant’altro. Finalmente mi districo e clicco su quello che sembra il punto giusto. Sì, lo è. Si apre altra pagina, compilo debitamente, ma mi fermo quando mi chiede se ho un account. E che diavolo è un account? Io ho una certa età e i capelli grigi, a scuola mi hanno fatto studiare il francese e il latino, con tanto di classici obbligatori.

Ma l’informatica parla inglese e già questo è un discrimine per gli anziani. Con sforzi di comprendonio riesco a capire che accidenti vuole da me Amazon, ma poi spunta un quadro rosso che mi avvisa che la password non è corretta. E perché? Boh. Sudando le sette camicie riesco a divincolarmi e a ripetere la parola di passo (sembra di stare nel Grande Oriente), selezionando quel che devo selezionare e cliccando dove devo cliccare. Come Dio vuole imbrocco una password di suo gradimento e mi  avvisa che sulla posta elettronica mi  è arrivato un numero di codice che devo inserire. La faccio breve: questa operazione devo ripeterla tre volte per altrettanti codici prima di svincolarmi dai tentacoli dell’intelligenza (si fa per dire) artificiale, che è in realtà più stupida di un beota.

Fatto? Macché. Di colpo va via la connessione internet. E mò? Telefono ad altro amico che ci capisce di queste cose. Prova a spegnere e riaccendere, dice. Bene, fatto. No, dovevi  aspettare qualche minuto. Sì? Intanto è già una mezza mattinata che combatto con la macchina infernale. Rifaccio tutto. Bene, ma non funziona lo stesso. Allora prova a spegnere e riaccendere l’adsl. Faccio anche questa, ma ci mette un quarto d’ora prima di riconfigurarsi. E io volevo solo un caricabatterie da venti euro, uno, maledetto e subito. Carta di credito, e ricomincia il calvario. Il numero è sbagliato, rifare. Ma la carta mia è piena di numeri, qual è quello giusto? Vabbè, li provo tutti e ricomincio ogni volta da capo la procedura.

Finalmente, e dico finalmente, il trionfo: l’ordine è stato recepito, consegna tra una settimana. Una settimana? Ho buttato ore per un acquisto del piffero e la velocità di consegna è questa? Il bello è che mi ha pure chiesto se sono disposto a ricevere di sabato e di domenica. E ho detto sì. Mah. A volte penso che il coronavirus fa bene a portarsi via tutti i vecchi, non c’è posto per loro nel mondo delle app, degli i-phone e dei tablet. La cui logica forse non a caso è accessibile solo ai ragazzini o ai nerd (che sono giovani pure loro).

Ordine governativo: resta in casa e stai connesso. Tutto bene finché le macchine funzionano, perché se si scassano siamo nudi e inermi. Senza macchine, o senza saperle usare, l’uomo di Neanderthal è più attrezzato di noi per sopravvivere. Uno può dirmi: ma perché non vai dal meccanico, ché è permesso? Semplice, perché l’unico meccanico da cui potrei andare tiene bottega nella zona a più alto tasso di morti di coronavirus. E poi le anzidette password. Ognuno ne vuole una diversa, di almeno tot caratteri, con almeno uno speciale dentro e pure qualche numero e una maiuscola. Così, te le segni su una taccuino a parte e prega Dio di non perderlo sennò sono guai. Anche i pin dei bancomat, stesso inferno. Ma che vita è? L’applicazione non risponde.