Il cognome della madre, l'ignoranza di un dibattito sulla famiglia
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Dario Franceschini (Pd), già ministro della Cultura, propone di dare ai figli il cognome della madre, come "risarcimento". Ma il cognome della donna è sempre quello di suo padre. E anche nei sistemi matrilineari è il maschio che eredita.

Dario Franceschini, senatore del PD, una laurea in giurisprudenza e, tra i suoi incarichi, anche quello di ministro della Cultura assunto due volte, presenterà un disegno di legge per chiedere che ai figli debba essere dato il cognome della madre. Insieme ad altre proposte che sono state presentate da diversi gruppi parlamentari, il suo Ddl sarà analizzato e discusso dalla Commissione Giustizia del Senato presieduta dal senatore Giulia Bongiorno. Franceschini ha spiegato che la sua iniziativa va intesa come un risarcimento alle donne: «dopo secoli in cui i figli hanno preso il cognome del padre – ha detto – stabiliamo che prenderanno il solo cognome della madre. È una cosa semplice e anche un risarcimento per una ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali e sociali delle disuguaglianze di genere».
Tante sono già state le reazioni all’annuncio, alcune positive, altre dubbiose o negative. La capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, Luana Zanella, ha definito la proposta “interessante e condivisibile”. «Sicuramente guarda molto in là», ha aggiunto. «Finalmente - ha commentato il senatore PD Anna Rossomando – una voce maschile ha riscontrato che per secoli c’è stata una sorta di invisibilità delle donne». Anche il deputato Laura Boldrini approva: «Franceschini ha suggerito una via – dice – Come ogni tentativo di restituire alle donne la parità per troppo tempo negata, anche in ambito genitoriale e nell’attribuzione del cognome, è benvenuta». Secondo il senatore Valeria Valente quella di adottare il cognome della madre è addirittura «una battaglia di civiltà». Il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, invece, considera la proposta «una provocazione finalizzata soprattutto a una ribalta mediatica». Il senatore Matteo Salvini, leader della Lega, taglia corto dicendo: «ma certo, cancelliamoli dalla faccia della Terra questi papà, così risolviamo tutti i problemi». Per Federico Mollicone, FdI, si tratta di «una provocazione irricevibile. Credo sia semplicemente un ribaltare il problema che Franceschini stesso denuncia. Nella visione sua si passerebbe dal patriarcato al matriarcato».
L’osservazione più ovvia, a qualcuno già venuta in mente, è che imponendo di dare ai figli il cognome della madre, è vero che si “cancellano” i papà, ma solo nel senso dei mariti, dei padri biologici. Il cognome della madre infatti è quello di suo padre. Quindi i cognomi restano paterni, a meno che una donna ricusi il proprio cognome e se ne inventi uno. Quello allora sarebbe il “suo” cognome che trasferirebbe ai figli. È una cosa che già adesso si può fare presentando istanza al Prefetto, ma per ora solo adducendo determinate motivazioni, ad esempio che si tratti di un cognome ridicolo o vergognoso o per motivi religiosi.
Uno che si è reso subito conto che i cognomi sono comunque paterni è l’ex senatore Simone Pillon che, rivolgendosi a Franceschini, su Facebook ha scritto: «caro Franceschini, due domande:1. Hai capito che il cognome materno è quello del papà della mamma? 2. I figli di due (pseudo) papà che fanno? Affittano il cognome dell’ostetrica?»
Chi invece, come Mollicone, pensa che con la proposta di Franceschini si passa dal patriarcato al matriarcato fa evidentemente confusione tra linee di discendenza e strutture di potere.
Le linee di discendenza definiscono i rapporti di parentela. I sistemi di parentela possono essere bilaterali, o cognatizi, come il nostro. Vuol dire che sono parenti sia gli ascendenti paterni che quelli materni. In termini pratici, a prescindere dal cognome, ogni generazione eredita beni, titoli e ogni genere di risorse trasmissibili sia dalla madre che dal padre. Nelle società arcaiche invece il sistema di parentela è solitamente unilineare. Vuol dire che si considerano parenti gli ascendenti di una sola linea: o quella del padre, e il sistema si dice patrilineare, o quella della madre, e il sistema si dice matrilineare.
Ma che i rapporti di parentela siano stabiliti in linea femminile non comporta affatto che nella società il potere sia detenuto dalle donne. In entrambi i casi la struttura di potere è patriarcale, ed ecco perché. Nei sistemi patrilineari appartenenza, beni, status, titoli e diritti si tramandano da una generazione all’altra, di padre in figlio maschio; in quelli matrilineari passano dal maggiore dei fratelli di una donna ai figli maschi di quest’ultima, quindi da uno zio materno ai suoi nipoti. In entrambi i casi, questo è il fatto rilevante, a trasmettere e a ricevere sono gli uomini, tutto passa da una generazione di maschi a un’altra. Anche nel caso della discendenza matrilineare, le femmine sono soltanto il tramite della discendenza e dell’eredità dei beni di famiglia. Inoltre non soltanto non ereditano in quanto figlie, ma neanche in quanto mogli, sorelle e madri.
Questo spiega la supremazia sociale dei maschi dai quali dipende l’esistenza di ogni comunità familiare perché, se nell’ultima generazione mancassero i maschi, quella precedente non saprebbe a chi trasmettere le proprietà e gli status di famiglia che andrebbero dispersi, così come i suoi componenti.
Chi in questi giorni commenta la proposta di Franceschini deve sapere che, di chiunque sia il cognome che ci viene attribuito – del padre o del nonno materno – il nostro sistema di parentela cognatizio ha permesso la progressiva riduzione della supremazia dei maschi dal momento che si considerano parenti gli ascendenti maschili e femminili e che si eredita da entrambi i genitori. Un ulteriore progresso si è avuto quando è stato riconosciuto il diritto di ereditare anche alle figlie.