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NUOVO STUDIO

Il Cdc: individualismo e divorzio sono fonte di morte

Un rapporto dell’organismo Usa che monitora la diffusione delle malattie sottolinea che la separazione dei genitori subita nell’infanzia è associata a una vasta gamma di patologie e costi sociali. Ma non si vede il problema alla base: l’educazione progressista. Mentre, come confermano varie ricerche mediche, la Messa e la preghiera riducono rischi quali la depressione, l’uso di droghe e il suicidio.

Famiglia 15_11_2019

Che ci vogliano le parole di Robert Redfield, direttore del Cdc (Centers for Disease and Control Prevention), l’organismo della sanità pubblica statunitense che monitora la diffusione di malattie, per affermare un’evidenza è quantomeno inquietante. Ma perlomeno il tabù subisce un altro colpetto. «Ora sappiamo che le Esperienze Ostili dell’Infanzia (Ace) hanno un impatto enorme sulla salute futura degli individui», tanto da essere addirittura la causa di cinque su dieci decessi negli Stati Uniti.

Redfield si riferisce ad eventi come la separazione dei genitori, il divorzio, l’abuso di sostanze, l’essere testimoni di violenze o di episodi di razzismo, analizzati dal Cdc in una ricerca pubblicata sul Journal of the American Medical Association (Jama) e intitolata Identifying and Preventing Adverse Childhood Experiences. Svolta sui dati di 25 Stati americani, riporta anche che ben una persona su sei ha sperimentato quattro o più tipi di esperienze ostili durante l’infanzia, spiegando che esse sono la causa di stress estremi e ripetuti, capaci di causare danni fisici ed emotivi sia immediati che a lungo termine, incluse le malattie mentali come la depressione, l’alcolismo e altre dipendenze: «Gli Ace - si legge - sono associati a un aumento del rischio di incorrere in numerosi esiti negativi, tra cui una vasta gamma di malattie croniche e principali cause di morbilità e mortalità, come il cancro, il diabete, le malattie cardiache, il suicidio e le overdose di farmaci».

Insieme ai danni fisici si è registrato anche un calo sul rendimento scolastico e un tasso maggiore di disoccupazione. Inoltre, «si stima che i potenziali costi sociali degli Ace siano di centinaia di miliardi di dollari ogni anno, con una percentuale significativa di tali costi a carico del sistema sanitario».

Il rapporto dipinge le case americane come luoghi dove spesso si abusa di droga o dove si soffre per separazioni e suicidi o tentati suicidi, dando un’immagine preoccupante dello stato di salute della famiglia che, anziché essere il luogo dove la persona fiorisce, diventa quello della sua distruzione. Contando che un americano su sei ha sperimentato più eventi traumatici, si capisce perché se questi non avvenissero la depressione sarebbe addirittura ridotta del 44% (21 milioni di casi) e anche altre malattie sarebbero drasticamente in calo.

Ma come si sia giunti fino a qui il Cdc non pare esserselo chiesto, affermando solo che  «la prevenzione di esperienze traumatiche nell’infanzia e l’avvio di interventi chiave quando si verificano ridurranno le conseguenze a lungo termine sulla salute e gioveranno al benessere fisico ed emotivo degli individui fino all’età adulta».

L’incapacità di segnalare le cause è però ancor più preoccupante se si pensa a un altro rapporto pubblicato lo scorso ottobre sempre dal Cdc e in cui si riportano i morti per suicidio dal 2007 al 2017 con un dato impressionante: i bambini/giovani (dai 10 ai 24 anni) che si sono tolti la vita sono aumentati del 56%, portando il suicidio ad essere la seconda causa di morte in quella fascia. Come già aveva riportato la Nuova Bussola, oltre alla presenza di Ace nell’esistenza di chi si toglie la vita, gli esperti segnalano come problematica la dipendenza da smartphone che riempie la solitudine degli adolescenti di una compagnia sempre più letale.

Ci sarebbe però da chiedersi come possa lamentarsi l’organismo della Salute americano, quando le scuole si riempiono di tecnologia e di un’educazione progressista priva di limiti e di barriere, mentre il governo da anni promuove il divorzio e la libertà degli adulti di fare ciò che pare e piace, approvando l’aborto, le unioni fra persone dello stesso sesso, le adozioni da parte di tali coppie, l’eutanasia o la marijuana legale con ricoveri di adolescenti e bambini che vengono a contatto con quella comprata dai genitori?

Come ha scritto su First Things Aaron Kheriaty, professore di psichiatria e direttore del Medical Ethics Program presso la Irvine’s School of Medicine dell’Università della California, la vera causa del «tessuto sociale sfilacciato» è il relativismo etico per cui «rischiamo di perdere un’identità solida, un orientamento chiaro e narrazioni coerenti che danno senso alla nostra vita individuale e condivisa». In sintesi, in «un mondo spogliato di verità universalmente vincolanti, la sensazione che stiamo perdendo solide basi (pensiamo appunto al divorzio per cui i figli perdono fiducia già nel luogo in cui dovrebbero acquisire sicurezza, ndr) porta a un’angoscia fluttuante. Questa è una condizione che non può essere tollerata a lungo».

Partendo dalla sua esperienza clinica, Kheriaty ha quindi spiegato che la soluzione non sta nella prevenzione indicata dal Cdc, che consisterebbe nell’informare la gioventù di un problema che conosce già troppo bene, moltiplicando gli psicologi e offrendo numeri telefonici di pronto aiuto.

Lo psichiatra chiarisce invece che «un consistente corpus di ricerche mediche suggeriscono che la preghiera, la fede religiosa, la partecipazione ad una comunità religiosa e a pratiche come coltivare la gratitudine, il perdono e altre virtù possono ridurre il rischio di depressione, ridurre il rischio di suicidio, ridurre l’abuso di droghe […]. Per citare solo uno dei risultati di una crescente ricerca medica su questo argomento, Tyler VanderWeele della TH Chan School of Public Health di Harvard ha recentemente pubblicato uno studio sul suicidio e la vita religiosa tra le donne (89.000, ndr) negli Stati Uniti [...] scoprendo che alcuni gruppi rimangono protetti dall’ondata crescente di disperazione e autolesionismo. Tra il 1996 e il 2010, coloro che hanno partecipato a qualsiasi funzione religiosa una o più volte alla settimana avevano una probabilità di suicidarsi di cinque volte minore. Coloro che si identificavano come cattoliche o protestanti avevano un tasso di suicidi di circa la metà di quello delle donne statunitensi in generale. Delle 6.999 donne cattoliche che hanno affermato di aver partecipato alla Messa più di una volta alla settimana, nessuna si è suicidata. La pratica religiosa si è rivelata più importante della semplice affiliazione: coloro che si sono auto definite cattoliche ma che non hanno partecipato alla Messa avevano tassi di suicidio paragonabili a quelli di altre donne che non erano praticanti».

Come a dire che un rapporto serio e coltivato con Dio (che include la sequela di una legge e di verità certe) e la sua comunità ecclesiale è fonte di una vita buona. La ragione di questo dato secondo il professore dipende dal fatto che «la fede religiosa può infondere un senso di significato e scopo», aiutando «le persone non solo a sopravvivere a periodi di intensa angoscia, ma anche a trovare un significato nella sofferenza. Come una volta mi disse un mio paziente: “Se non fosse stato per la mia relazione con Gesù, mi sarei ucciso molto tempo fa”». Bisogna poi tenere conto che tutti gli eventi traumatici elencati dal Cdc se si trasformano in disperazione portano al suicidio. Chiedendosi «quali sono gli elementi tossici della cultura contemporanea che hanno portato così tanti a sprofondare nella depressione», Kheriaty fa notare che «in un’epoca meritocratica, siamo apprezzati per la nostra utilità… Questo accade a livello personale quando la libertà è vista come fare ciò che vuoi, rendendo la vita un semplice mezzo per ottenere piacere».

Inoltre, se «la legge è maestra», quella «americana insegna sempre più l’indifferenza alla vita quando si scontra con il rispetto dell’autonomia radicale. La California e il Colorado hanno recentemente aderito ad altri quattro Stati nel consentire ai medici di aiutare i pazienti malati terminali a togliersi la vita… Oltre all’impatto dei casi pubblicizzati, abbiamo prove che il comportamento suicidario tende a diffondersi da persona a persona attraverso i social network».

Questo individualismo è però menzognero perché «nessun uomo è un’isola. Vivere come se fossimo entità che si auto-creano, si auto-determinano, è pericoloso per noi stessi e per gli altri», tanto che «la solidarietà e l’affetto reciproco scompaiono dai nostri spazi pubblici, mentre l’orizzonte si oscura e la solitudine cresce». Basti pensare, continua lo psichiatra, che «qualche anno fa un trentenne si è tolto la vita saltando giù dal Golden Gate Bridge (come più di millecinquecento persone hanno fatto da quando è stato costruito il ponte). Dopo la sua morte, il suo psichiatra andò con il medico legale nell’appartamento dell’uomo, dove trovarono il suo diario. L’ultima voce, scritta poche ore prima della sua morte, diceva: “Vado a piedi al ponte. Se una persona mi sorride lungo la strada, non salterò”».

La speranza sono quindi «le piccole luci emanate dalle comunità coese - radicate nella fede e motivate dalla carità», che «brilleranno più intensamente. Le connessioni tra un individuo solo e un altro diventeranno tanto più preziose in una società che è in grado di valutare gli individui solamente per la loro utilità».