Il Biffi parroco viene alla luce con cose nuove e antiche
E’ un Giacomo Biffi parroco milanese quello che serpeggia tra le pagine di Cose nuove e cose antiche, il libro edito da Cantagalli uscito in questi giorni in libreria. Si tratta di una raccolta di scritti che risalgono agli anni dal 1960 al 1975, quando don Giacomo era un prete di Legnano e poi di Milano. Qui riportiamo alcuni brani.
E’ un Giacomo Biffi parroco milanese quello che serpeggia tra le pagine di Cose nuove e cose antiche, il libro edito da Cantagalli uscito in questi giorni in libreria. Si tratta di una raccolta di scritti che risalgono agli anni dal 1960 al 1975, quando don Giacomo è stato impegnato nelle parrocchie di dei Santi Martiri Anauniani di Legnano (’60-’69) e di Sant’Andrea a Milano (’69-’75).
Per chi ha conosciuto l’italiano cardinale, specialmente nel suo lungo impegno pastorale in qualità di arcivescovo di Bologna, potrà assaporare il profumo dell’arguzia e dell’ironia di Biffi, insieme alla sua proverbiale schiettezza. Don Giacomo, come poi sarà il cardinale Biffi, offre ai suoi parrocchiani occasioni di riflettere e liberare mente e cuore dai lacci e lacciuoli del tempo che corre, e così le riflessioni del giovane parroco, pur essendo contestualizzate ai turbolenti anni dell’immediato post concilio, hanno qualcosa da dire anche oggi.
I curatori, Samuele Pinna, prete ambrosiano, e Davide Riserbato, filosofo e teologo, hanno ben organizzato il materiale, utilizzando anche stralci del libro che Biffi pubblicò ripercorrendo la sua vita (Memorie e digressioni di un italiano cardinale). Ne viene fuori il procedere pastorale di un sacerdote, e poi vescovo, e poi cardinale, che non ha mai perso di vista come la pastorale debba essere traguardata dalla salvezza eterna delle anime e fondata nelle parole di Gesù vissute nella Chiesa. Sono molti i passaggi del libro che meriterebbero di essere citati, tutti meritano di essere letti. Nel dubbio lasciamo direttamente al giovane don Giacomo la parola, riportando alcuni assaggi molti gustosi.
Bambini
«Entrare in una casa dove ci sono dei bambini è una festa. Ti guardano stupiti e sognanti, strizzando gli occhi allo spruzzo d’acqua benedetta. Si vede subito che sono i re della famiglia. Talvolta sono intenti ai loro giochi o alla televisione, e continuano imperterriti, senza che la mammina o la nonnina senta la necessità di far assumere una posizione più rispettosa nei confronti del sacerdote che sta pregando anche per loro: si vede che educare è troppo faticoso e tanti ormai ci hanno rinunciato».
Le domande ultime
«C’è un fatto oscuro e innegabile nella condizione odierna dell’uomo: tutto congiura per impedirci di fare le domande fondamentali. Siamo sollecitati a interrogarci sugli argomenti più diversi: inquinamento atmosferico, stabilità politica, violenza o non violenza, moralità pubblica, strutture repressive ecc. Di tutto questo si può discutere, si discute. Il vero dittatore della nostra epoca – la demagogia – di questo ci autorizza a parlare. Del senso della nostra vita, se ci sia di là dell’enigma della morte una speranza, se si possa dare risposta ai problemi eterni circa la nostra origine e il nostro destino, di questo non si può parlare. Proibito. Sono questioni “borghesi”, “alienanti”: e sono le uniche che ci importano davvero, che ci importano sempre. Ma il “dittatore” non vuole che se ne tratti: possiamo parlare di tutto ciò che c’è nella nostra vita – politica, lotte sindacali, cinema, teatro, sport, problema degli alloggi ecc. – e questo va bene. Ma non possiamo parlare della nostra vita stessa e del suo significato: e questo non va bene. Questo è tirannico, questo è oppressivo, questa è l’unica vera “alienazione” dell’uomo».
Morale sessuale
«Un uomo che condivida in materia di comportamento sessuale la “permissività” che caratterizza il nostro tempo, a proposito ad esempio della liceità dei rapporti prematrimoniali o a proposito di unioni che si ritengono già sponsali per il puro concorso delle due volontà interessate, senza alcuna ratifica da parte della società religiosa e civile, non è uno che abbia un cristianesimo “illuminato”; è soltanto uno che ha smarrito la visione di fede. Un uomo che ritenga legittimo o perlomeno scusabile l’attentato alla vita, a qualunque grado del suo sviluppo, ed entri in “dialogo” con i sostenitori dell’aborto, non è un credente che voglia mantenersi “aggiornato”, è soltanto uno che sta perdendo di vista i princìpi della Rivelazione di Dio. Un uomo che ritenga compatibile – o addirittura connesso – col cristianesimo l’esercizio della violenza e si faccia promotore di prepotenze, di ferimenti, di attentati – o anche solo abbia paura a condannarle, da qualunque parte provengano – non è uno che vive il Vangelo secondo le esigenze di oggi; è uno che non sa più leggere il Vangelo. La smania di “dialogare” ha portato troppi di questi tempi – laici e non laici – a un ammodernamento, che è solo travisamento del pensiero di Cristo. Qui non si tratta di “morale nuova”: si tratta di immoralità vecchia».
La coscienza
«La coscienza è anche una realtà fortunata: è una delle poche cose – assieme alle ferie e alle vacanze scolastiche – che non si trovano mai contestate. Si trova contestato un po’ tutto: le abitudini di un tempo, la morale tradizionale, l’autorità, la famiglia, ecc. Ma nessuno mai dichiara di voler andare contro coscienza. Anzi: il cristiano impegnato che non prende posizione contro l’aborto, perché così difende meglio (chissà perché) la causa del Vietnam; la ragazza che recita comunitariamente i salmi e si ritiene dispensata (chissà da chi) dal sesto comandamento nei rapporti col suo ragazzo; il commerciante che non teme di imbrogliare i propri clienti e di frodare spudoratamente il fisco, tutti proclamano a gran voce di seguire la propria coscienza. Ormai anche i migliori rapinatori hanno tutti una coscienza pronta ad approvarli. Non parliamo poi di quelli che lanciano bombe o di quelli che picchiano sulle piazze con la convinzione che il modo più efficace per far entrare le idee nelle teste sia quello di farvi dei buchi: tutta gente che dorme il sonno del giusto, in pieno accordo con la propria coscienza. Dove si vede che prima ancora che seguita la coscienza deve essere illuminata: ed è proprio questo che non ci si cura di fare. Dobbiamo finirla un po’ tutti di sbandierare il nostro ossequio alla coscienza per impegnarci invece a confrontare ogni giorno la nostra coscienza con la verità.
Guai a noi, se seguiamo tranquilli una coscienza che, per colpa nostra, ci insegna l’errore. Nel capitolo 25 dell’evangelo di Matteo il Signore Gesù dichiara che manderà nel fuoco eterno coloro che, seguendo una coscienza sbagliata, non si sono accorti di non aver obbedito alla vera legge di Dio. Prima di dire: “Io sono convinto così”, “Io sono a posto con la mia coscienza”, dobbiamo verificare se davvero la coscienza sia a posto con la legge di colui che è il Signore».