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FORZA ITALIA

Il berlusconismo è vicino al capolinea

Ennesima scissione in vista per Forza Italia, perché la lite fra Fitto e Berlusconi diventa seria. Eppure l'impianto del centro-destra potrebbe reggere ancora, perché il governo Renzi ha ancora bisogno del suo appoggio. Solo una sconfitta nelle prossime elezioni amministrative, invece, causerebbe il collasso e la fine del berlusconismo.

Politica 13_02_2015
Berlusconi e Fitto

La rottura del Patto del Nazareno, ammesso che sia vera e non di facciata, produce ricadute interne al centrodestra, accelerando la resa dei conti tra chi quel patto non l’ha mai digerito e chi invece l’ha difeso a spada tratta e ora teme di essere estromesso dalla scena politica. 

La fronda dei fittiani all’interno di Forza Italia è sempre più intenzionata a puntare i piedi, anche per ottenere che inizi una nuova stazione azzurra, con la sostituzione dei vertici (cerchio magico e capigruppo alla Camera e al Senato) e il cambio definitivo di linea politica.

Il leader pugliese di Forza Italia, Raffaele Fitto si gioca il tutto per tutto in questa battaglia: se la vince può anche pensare di avere un ruolo nazionale, altrimenti resterà relegato in una dimensione marginale e di comprimario in un partito che non sembra avere un grande futuro.

Il premier, quindi, per condurre in porto le riforme che gli stanno maggiormente a cuore, non dovrebbe faticare più di tanto. Già si percepiscono scricchiolii dentro Forza Italia (alcuni senatori potrebbero appoggiare il governo in singole votazioni), mentre si vanno costituendo gruppi di sostegno a Renzi, gli ormai famosi “stabilizzatori”, che dovrebbero provenire da Gal ed ex grillini. Questo significa che Palazzo Chigi non ha nulla di cui temere? Non proprio.

La vicenda della lista Falciani, la riforma delle banche popolari con le nubi che si addensano attorno ad alcuni personaggi come Serra, considerati assai vicini al premier, non consentono a Renzi di dormire sonni tranquilli. Proprio lui, per distogliere l’attenzione da queste grane, sta cercando di alzare il termometro dello scontro sulle riforme, minacciando sedute-fiume e addirittura elezioni anticipate.

Dopo l’ascesa al Quirinale del silente Mattarella, sembra tornato il sereno nel Pd. Ma i dissapori tra i renziani e gli oppositori dem sono destinati a riesplodere, sia in campo economico che sulla legge elettorale. L’ex sindaco di Firenze non vuole riaprire il capitolo Italicum per paura di dover ripassare attraverso le forche caudine del voto in Senato, dove, almeno ufficialmente, non potrebbe più contare sull’appoggio dei berluscones. Sui capilista bloccati, però, Bersani, Fassina e Civati venderanno cara la pelle e non è detto che non la spuntino. A quel punto il premier dovrebbe cercare di catturare consensi anche sul versante del centrodestra, dovendo ripresentarsi a Palazzo Madama per una nuova lettura e approvazione di quella legge. Di qui, forse, il rinvio a maggio della discussione sulla delega fiscale, con il provvedimento sulla depenalizzazione dei reati fiscali che, se scritto in un certo modo, potrebbe riguardare anche Berlusconi. Poter usare quel provvedimento come un arma di ricatto diventa essenziale per il premier, che potrebbe trovarsi nuovamente in difficoltà nella sua area politica.

Resta, però, da capire, quanto sia profonda, se c’è per davvero, la frattura tra Renzi e Berlusconi. C’è chi giura che sia tutta una sceneggiata e che in realtà i due, fuori dagli schemi tradizionali, continuino a portare avanti disegni comuni. Lo si capirà nei prossimi mesi. Certo è che ora hanno entrambi bisogno di ricompattare i rispettivi partiti e schieramenti e di presentarsi alle elezioni regionali l’un contro l’altro armati.

L’ex Cavaliere ha bisogno di preservare quel 15% scarso che gli attribuiscono i sondaggi e non può permettersi di subire altre scissioni, dopo quella di Alfano. Sarà forse vero che Fitto, da solo, non potrebbe sopravvivere allo sbarramento del 3%, ma è altrettanto innegabile che l’eventuale fuoriuscita dell’europarlamentare pugliese dalle fila di Forza Italia potrebbe provocare uno smottamento consistente di parlamentari (pare siano una quarantina). Resta, peraltro, il rebus alleanze. In Campania l’attuale governatore Stefano Caldoro, di Forza Italia, non può farcela senza i voti di Ncd e dell’Area popolare, ma per averli rischia di perdere quelli di Salvini, che esclude ogni accordo con Alfano. In Veneto situazione capovolta: il presidente uscente, il leghista Luca Zaia, attualmente in vantaggio nei sondaggi (avrebbe almeno 5 punti di vantaggio sulla sfidante del Pd, Alessandra Moretti), rischia di perdere la guida della sua regione a causa delle divisioni nel centrodestra e perfino nel suo stesso partito. Il sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, in crescente contrapposizione con il segretario Matteo Salvini, minaccia di candidarsi con una lista autonoma, che avrebbe il solo effetto di far perdere Zaia e di avvantaggiare la Moretti. Anche in quella regione del nord-est bisognerà capire se Ncd si alleerà con la Lega o correrà per conto suo, il che potrebbe far pendere la bilancia in favore della coalizione di centrosinistra.

L’errore più grande che sta commettendo il centrodestra e che potrebbe, alla lunga, rivelarsi letale, è quello di provare a mettere insieme progetti, visioni e uomini assolutamente incompatibili tra loro. Come se un’alleanza organica potesse nascere da un assemblaggio caotico o dalla sommatoria di sigle disomogenee. Più che di interessi da difendere, il centrodestra dovrebbe ricominciare a parlare di valori liberali da proporre al suo elettorato, di selezione accurata e meritocratica della sua classe dirigente. Tutto questo non accade da anni, sicuramente dal 2011, da quando l’ultimo governo a guida Berlusconi è caduto sotto i colpi della crisi economica, delle congiure di palazzo e della manifesta incapacità di molti suoi esponenti. Una disfatta alle prossime regionali coinciderebbe con il big bang. A quel punto la stagione berlusconiana giungerebbe davvero al capolinea.