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IL BELLO DELLA LITURGIA

Il Battistero di Padova, un’impresa da Paradiso

L’impianto decorativo del Battistero del Duomo di Padova «ha il respiro di una cantica dantesca» (Vittorio Sgarbi). La sua esecuzione fu affidata a Giusto de’ Menabuoi, che nella cupola dipinse il Paradiso. Al centro Cristo Pantocratore, il cui manto azzurro lo collega alla Vergine orante, tramite tra Lui e l’umanità e Regina di tutti i Santi.

Cultura 31_10_2020

Giusto de’ Menabuoi, Paradiso, Padova - Battistero di S. Giovanni Battista

“Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli”
(Sal 24, 3-4)


“Un’impresa che ha il respiro di una cantica dantesca”. Così il noto critico Vittorio Sgarbi definisce l’impianto decorativo del Battistero del Duomo di Padova, varcata la soglia del quale, effettivamente, sembra di trovarsi in Paradiso. Un’impresa avviata negli anni Settanta del XIV secolo, quando Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il Vecchio da Carrara, elesse il suddetto monumento a mausoleo familiare, convocando un noto pittore, il fiorentino Giusto de’ Menabuoi, affinché vi mettesse in scena la Storia della Salvezza.

Giusto, che ebbe il merito di diffondere nel Nord Italia la lezione giottesca, lasciando a Padova, e soprattutto in questo cantiere, le più alte testimonianze della sua arte, satura di colore e di immagini in tutto lo spazio a disposizione, fondendo insieme pittura e architettura.  Ha molto da raccontare perché, se il Paradiso è la destinazione finale, tutto ebbe inizio con la Creazione dell’uomo da parte di Dio. E da qui anche Giusto comincia, invitandoci a intraprendere un cammino, esattamente come Dante nella sua Commedia.

Il programma iconografico, pensato e condiviso, molto probabilmente, con un teologo vicino alla committenza, prevede sul tamburo della cupola la successione di episodi tratti dall’Antico Testamento, più precisamente dal Libro della Genesi, mentre, sulle pareti, la figura di Giovanni Battista avvia il racconto della vita terrena di Gesù che si conclude con la Pentecoste nella calotta absidale. La volontà del pittore, che presta molta attenzione alla resa spaziale delle diverse scene, è quella di attualizzare il dramma sacro rendendovi partecipi anche personaggi noti alla corte carrarese trecentesca, che ritrae in mezzo ai protagonisti delle vicende neotestamentarie. Così facendo, intende immergere il fedele spettatore nella rappresentazione pittorica, coinvolgendolo emotivamente in prima persona.

Le visioni apocalittiche di san Giovanni, dettagliatamente descritte sulle pareti della piccola abside, introducono a una dimensione trascendente che trova perfetto compimento nella cupola centrale e nel Paradiso che sovrasta e abbraccia tutto lo spazio sacro. I quattro Evangelisti nei pennacchi ne sono le colonne portanti: Matteo, Marco, Luca e Giovanni occupano un posto di rilievo nel “luogo santo”, perché sono loro che, seguendo Gesù, ne hanno parlato, per primi, al mondo.

E attraverso la loro testimonianza Cristo ha raggiunto coloro che, adesso, affollano il “monte del Signore”. Schierati su tre file concentriche, i Santi costruiscono una ieratica corona, distinti cromaticamente dalle loro vesti luminose, come se una luce pulsasse al loro interno, mentre ovunque domina l’oro delle singole aureole, che accresce la sacralità della scena.

Al centro, circondato da cherubini, un imponente Pantocratore tiene tra le mani il libro dell’Alleanza, sul quale le lettere Alfa e Omega lo identificano quale Signore del tempo e del cosmo. L’azzurro celestiale del Suo manto lo collega indissolubilmente alla Vergine orante, in perfetto asse simmetrico col Figlio. È Lei che guida la “moltitudine immensa” dei puri di cuore, assisi al cospetto del Signore; è Lei il tramite tra Cristo e l’umanità. È Lei la Regina dei Santi tra i quali, nella fascia più esterna, il pittore ha volutamente rappresentato quelli particolarmente venerati a Padova: perché la loro invocazione divenisse, allora e oggi, una familiare consuetudine.