I vescovi del Venezuela denunciano il totalitarismo
Secondo mese di insurrezione in Venezuela, il presidente Maduro si difende sul New York Times. Ma la Conferenza Episcopale del Venezuela, indirettamente, gli risponde: il presidente vuole imporre un regime totalitario.
Venezuela, secondo mese di rivolta e barricate contro il presidente Nicolas Maduro, il bilancio provvisorio è di 39 morti, 550 feriti, 2157 persone agli arresti. Questo è il bilancio della tragedia sudamericana a cui niente sembra porre fine, né l’appello di Papa Francesco, né gli inviti al dialogo della comunità internazionale.
Il presidente Maduro, erede del populista Hugo Chavez, ha comprato una pagina del New York Times (un mese dopo la sua rottura delle relazioni con gli Stati Uniti) per accusare i media di fare disinformazione e di strumentalizzare il dramma del suo Paese. I venezuelani, a suo dire, sono «orgogliosi della nostra democrazia». Maduro, inoltre, cita i dati delle Nazioni Unite, secondo i quali Caracas ha ridotto in modo consistente le diseguaglianze: «Abbiamo ridotto enormemente la povertà, dal 49% del 1998 al 25,4% del 2012 secondo i dati della Banca mondiale». Maduro prosegue elencando i successi del paese, dal sistema sanitario universale ai programmi educativi statali in tutto il paese e secondo lui i rivoluzionari sono solo pochi ricchi borghesi che si sentirebbero privati dei loro privilegi.
Una fotografia così edulcorata del Venezuela è stata smentita, proprio ieri, non solo da un rapporto shock di Amnesty International, che rivela il livello della violenza di Stato raggiunto in questi due mesi, ma anche dalla Conferenza Episcopale del Venezuela. Che, al secondo mese di insurrezione e repressione, ha deciso di abbandonare toni diplomatici e di parlare fuori dai denti della realtà venezuelana, con una dichiarazione scritta e pubblica intitolata “Responsabili della pace e del destino democratico del Venezuela”. «La causa fondamentale della crisi è la pretesa del partito ufficiale e delle autorità della Repubblica di attuare il “Piano per la Patria” – scrivono i vescovi - che nasconde la promozione di un sistema di governo totalitario», È questo progetto che «rimette in discussione la caratteristica democratica» del Paese sudamericano nonché «le libertà civili, in particolare quella d'informazione». Pur essendo ancora formalmente democratico, dopo quasi sedici anni di governi populisti, prima con Chavez e nell’ultimo anno con Maduro, tutte le principali aziende, i sindacati, le forze armate, le organizzazioni della società civile e i media sono infatti controllate dal partito Socialista di governo, senza alcuna credibile alternativa.
Nonostante le politiche sociali vantate nel redazionale di Maduro, i vescovi denunciano: «la mancanza di politiche pubbliche adeguate per far fronte all'insicurezza giuridica e cittadina; gli attacchi alla produzione nazionale che hanno portato all'obbligo di importare ogni tipo di prodotto; la brutale repressione della dissidenza politica; il tentativo di “pacificare” o sottomettere attraverso la minaccia, la violenza verbale e la repressione fisica». Dopo aver denunciato la grave situazione dei rifornimenti alimentari, la mancanza di cibo, il carovita, le speculazioni con i generi di prima necessità, i vescovi rilevano: «Il governo sbaglia se pensa di risolvere la crisi con la forza. La repressione non è il cammino (...) L'uscita della crisi è chiara: dialogo sincero del governo con tutti i settori del paese, con un'agenda concordata e in parità di condizioni» Inoltre, si precisa: «occorrono gesti concreti, valutabili nel tempo, come segnali di una necessaria rettifica» delle condotte che si sono visti sino ad oggi.
In questo documento, una critica è riservata anche agli insorti e agli episodi più estremi di insurrezione, come la costruzione di barricate per bloccare la polizia (e anche il normale traffico cittadino) e la distruzione di veicoli e proprietà. Tuttavia l’attenzione è rivolta soprattutto alle autorità, a cui chiedono lo scioglimento delle milizie paramilitari irregolari, i cosiddetti “collettivi”, armati e addestrati, responsabili della maggior parte delle vittime civili.
La dichiarazione della Conferenza Episcopale giunge il giorno dopo l’annuncio, dato dal governo venezuelano, di una possibile mediazione della Santa Sede. Il ministro degli Esteri di Caracas, Elias Jaua, aveva espressamente chiesto la presenza, in qualità di mediatore, di monsignor Pietro Parolin, attuale segretario di Stato del Vaticano, nonché ex Nunzio Apostolico in Venezuela. In un’intervista televisiva, Jaua ha ricordato che il presidente Nicolas Maduro si è già detto disponibile a permettere la presenza di un “testimone di buona fede” in conversazioni con l’opposizione. Questo mediatore, ha sottolineato, potrebbe essere Parolin, che è stato nunzio a Caracas, o il nunzio attuale, monsignor Aldo Giordano, o il gruppo di ministri degli Esteri della “troika” dell’Unasur (Brasile, Colombia, Ecuador) o «chiunque altro che sia proposto dall’opposizione, sempre che risulti una figura che assicuri migliori condizioni di dialogo». Lo stesso Maduro aveva subito colto l’occasione di una possibile mediazione per rivolgere un appello ai manifestanti per sgomberare tutte le barricate, «affinché il Segretario di Stato (mons. Parolin, ndr) non perda tempo».
La Santa Sede, già il 1 aprile, per bocca di padre Federico Lombardi (Sala Stampa vaticana), aveva fatto sapere di essere disponibile a una mediazione, ma prima «C’è bisogno di esplorare meglio la prospettiva e le basi attraverso le quali la Santa Sede possa essere utile a una riconciliazione in Venezuela»