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IL TEMA

I social e l’evangelizzazione, alcuni criteri

I social network non sono strumenti neutri. Sono stati sviluppati pensando al target giovanile postmoderno e ai contenuti che “vendono”. Usare i social per l’evangelizzazione è come usare uno strumento per un fine diverso da quello per cui è stato creato: non è impossibile, ma è difficile e anche pericoloso. Per usarli bene, il cattolico deve essere attrezzato su più livelli.

Editoriali 09_03_2022

Partiamo da un piccolo (o grande, a seconda delle prospettive) caso social: don Alberto Ravagnani, brianzolo, classe 1993, coadiutore presso la parrocchia di San Michele Arcangelo di Busto Arsizio, provincia di Varese. Durante il primo lockdown apre un proprio canale YouTube e propri profili su Instagram e Tik Tok per rimanere vicino ai suoi ragazzi. L’esperimento social non si conclude con il lockdown ma prosegue, tanto che oggi don Rava, così è chiamato dai media, vanta ad esempio più di 138 mila follower su Instagram ed è altrettanto seguito su Facebook e Twitter. Il prodotto vende e così sono arrivate ospitate nelle principali reti televisive, interviste sui giornali e anche un libro per Rizzoli.

Ma non vogliamo parlare qui del giovane e talentuoso don Alberto (sicuramente innamorato di Cristo, ma un poco scricchiolante nella formazione). Ne abbiamo accennato solo per tentare di tratteggiare un tema assai complesso: i social e l’evangelizzazione.

La rete ha in sé due macrosistemi. Possiamo definire il primo come un macrosistema passivo: l’utente usa le potenzialità della rete come se fosse un mega supermercato per trovare informazioni, dati, per acquistare, per conoscere gente, per trovare lavoro, etc.

Il secondo macrosistema, che potremmo definire attivo, è quello che a noi qui interessa: l’utente crea lui un piccolo o grande supermercato. Fuor di metafora ci riferiamo ai social network: l’utente è lui stesso attore e produttore di contenuti tramite Facebook, Instagram, blog, etc. Tra i mille aspetti che interessano il rapporto “social-evangelizzazione”, vogliamo mettere in evidenza uno che esplicitiamo in forma di domanda: i social sono strumenti neutri? La risposta è negativa.

Ogni strumento inventato dall’uomo, ma anche presente in natura, è fatto per uno scopo (altrimenti non si chiamerebbe strumento, mezzo). Pensiamo ad una sedia: è costruita in un certo modo soprattutto per un fine, ossia far sedere le persone. La sua struttura richiama subito il fine per cui è stata fatta. Ciò vuol dire che la struttura di uno strumento incorpora in sé il fine, la sua natura è modellata per quel o quei fini, la sua “genetica” è già predisposta per quegli scopi. Tanto è vero che lo strumento potrà soddisfare alcuni fini - la sedia potrà servire per sedersi, per abbellire la casa, per salirci sopra a mo’ di sgabello - ma non altri: provate voi ad andare sulla Luna con una sedia. Infatti si fa riferimento all’espressione “arma impropria” quando si utilizza un oggetto - un fermacarte, un attizzatoio, una vanga - per uccidere, ma quell’oggetto non era stato pensato per quel fine.

Torniamo ai social, riferendoci esclusivamente a quelli più noti. Questi strumenti sono stati pensati per alcuni scopi: socializzare, comunicare, informare, criticare, commentare, cercare follower, etc. Si dirà: tutti scopi, di per sé, moralmente leciti. In astratto sì, ma non nel concreto. Questi social sono stati sviluppati, nel concreto, pensando al target giovanile postmoderno e dunque sono modellati affinché la comunicazione, l’informazione, etc. incentivino il narcisismo, la diatriba, lo scontro, l’informazione superficiale perché eccessivamente sintetica, l’emotività, lo spontaneismo, l’irresponsabilità data dal possibile anonimato, la competizione, etc. Tutta “roba” che vende. Non solo, ma questi social sono stati costruiti facendo attenzione a quali contenuti sarebbero andati per la maggiore: l’eros/porno, la moda e in genere il cosiddetto lifestyle, i vip e il relativo voyeurismo sociale, il cibo, lo sport et similia. In breve i social sono costruiti al fine di soddisfare gli impulsi di base dell’uomo - i sensi hanno maggior appeal rispetto alla ragione - e veicolare alcuni precisi contenuti che, per loro natura (porno) o per il modo in cui vengono presentati (cibo e sport valgono più di fede e carità), c’entrano nulla o poco con il portato culturale cristiano. E qui veniamo al punto.

Posto che sia vero che i social sono stati modellati per scopi che sono innervati da uno spirito fortemente secolare se non anticristiano, ciò vuol dire che lo strumento social non è neutro, ma reca in sé già l’impronta di questi fini poco cristiani: sarà adatto per alcuni fini, non per altri. Dunque usarlo per l’evangelizzazione non diciamo che è impossibile, ma sicuramente difficile e, a volte, anche pericoloso. Difficile perché occorre usare lo strumento per uno scopo non prettamente suo. Vero è che posso usare Twitter, FB, Instagram per fare catechesi, per illustrare le iniziative della parrocchia, per rilanciare articoli interessanti (la stessa Nuova Bussola Quotidiana ha i suoi canali social), ma nella consapevolezza che lo strumento che usiamo in origine è stato pensato per altro e quindi occorre, in un certo qual modo, fargli violenza per piegarlo ai nostri e nuovi fini. Si badi bene: non è illecito farlo ed esempi riusciti vi sono. Non è nemmeno una strategia cattolica inedita quella di usare uno strumento dell’avversario per proprie finalità. Pensiamo ad esempio ai templi pagani trasformati in luoghi di culto cristiano.

Ma per riuscire nell’intento occorre essere ben attrezzati sia sotto il profilo delle virtù cardinali e teologali, sia sotto il profilo della formazione personale (altrimenti si diventa megafoni di contenuti eterodossi) sia sotto il profilo tecnico, ossia è necessario saper usare i social in modo efficace altrimenti è meglio lasciar perdere perché si rischia di fare il gioco del nemico. E qui tocchiamo il tema della pericolosità.

I più noti influencer hanno numeri da capogiro in quanto a follower non solo per i contenuti socialmente appetibili per il popolino - il nuovo bikini postato su Instagram e indossato dall’ultima e formosa fiamma del calciatore del Real registrerà più like che le foto del restauro del Duomo di Milano - ma anche perché tali influencer sono bravi ad usare i social (in realtà il più delle volte sono assistiti da veri e propri professionisti del settore). Ma non è solo una questione meramente tecnica. Si diventa bravi se pensi in un certo modo: la tecnicalità non si può scindere dalla cultura. È quest’ultima che ha prodotto quegli strumenti e quindi solo chi pensa conformemente ad essa potrà eccellere nel loro uso.

Ma il problema sta nel fatto che quel modo di pensare che ti porta ad essere bravo nell’usare i social non è un modo di pensare cristiano. Ecco perché il video postato dal Fedez di turno, sebbene i suoi contenuti siano di una banalità che sfiora la rarità, appaiono infinitamente più piacevoli ed attraenti del video di un don che cerca di essere Fedez in salsa cattolica (nessun riferimento diretto a don Alberto). Il motivo sta nel fatto che li sa usare. E li sa usare perché quello strumento e le dinamiche che lo regolano sono nate internamente ad un brodo culturale che è intimamente suo e dunque quello strumento è connaturato alla sua forma mentis, è espressione naturale del suo modo di vivere e pensare, che però non sono quelli cattolici.

Per il credente quindi il social diventa un mezzo difficile da gestire e alla fine si può innescare un effetto boomerang: il don apparirà un povero tapino che imita i grandi dei social, che li scimmiotta. Diventerà sempre la brutta copia di qualcun altro e quindi risibile. Proprio perché i social non sono strumenti neutri dato che la loro struttura è già orientata ad alcuni “valori”. E così potrà accadere - e accade spesso - che il cattolico che si confronta con il non credente lo sfida a singolar tenzone usando un’arma che conosce pochissimo rispetto al suo avversario perché è il suo avversario ad averla inventata.

Tutto questo non per dire di abbandonare la via dei social - strada imprescindibile perché lungo essa troviamo oggi i nostri fratelli - ma per sottolineare che il cattolico che li usa dovrà fare fatica doppia rispetto a chi si fa un vanto di appartenere al mondo, sia perché i suoi contenuti sono disgustosi per i palati dei nostri contemporanei sia perché il loro uso comporta una sorta di adeguamento al pensiero odierno che è antitetico a quello evangelico.