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EUTANASIA

I radicali rivendicano il diritto a uccidersi e a uccidere

Servizio Pubblico, noto programma di Santoro, l’aveva intervistata una manciata di giorni fa. Si chiamava Dominique Velati, malata di tumore, con un’aspettativa tra uno e tre anni di vita. La 59enne di Borgomanero, da trent’anni nelle fila del Partito radicale, ha deciso grazie all’associazione Luca Coscioni di andare in Svizzera per farsi uccidere con l’eutanasia, sborsando tra l’altro anche la bella cifra di 12.700 euro. Uno sfregio alla vita proprio alla vigilia del Natale. 

di Tommaso Scandrogio

CLUB SANTA CHIARA: VIA I FONDI STATALI  A RADIO RADICALE

Vita e bioetica 23_12_2015
La pillola della dolce morte

Servizio Pubblico, noto programma di Santoro, l’aveva intervistata una manciata di giorni fa. Si chiamava Dominique Velati, malata di tumore, con un’aspettativa tra uno e tre anni di vita. La 59enne di Borgomanero (No), da trent’anni nelle fila del Partito radicale, ha deciso con l’aiuto dell’Associazione Luca Coscioni di andare in Svizzera per farsi uccidere con l’eutanasia, sborsando tra l’altro anche la bella cifra di 12.700 euro. La vita non ha prezzo, così pare anche la morte. 

La signora Velati spiegava che in Svizzera sono dei professionisti: il preparato letale che le avrebbero dato da bere sarebbe stato efficacissimo, portandola a morte sicura in men che non si dica. Il risultato è assicurato, irreversibile e facile come bere un bicchier d’acqua, che acqua non è. Poi nell’intervista ha tenuto a precisare che avrebbe fatto tutto da sola. Sarebbe stata lei in persona a bere la pozione mortifera, altrimenti poteva venire considerato omicidio del consenziente. Così invece è solo suicidio assistito. La differenza per i giudici sarà importante, per i portatori sani di buon senso no. La candidata alla “dolce morte” elvetica professava una serenità interiore così forte che «augurerebbe a tutti» l’eutanasia, sempre che – aggiungeva – si volesse optare per questa scelta. L’intervista si chiudeva con un invito al popolo italico affinché aprisse un dibattito sull’eutanasia perché «la vostra vita vi appartiene così anche la morte». Quest’ultima l’ha colta lo scorso 15 dicembre a Berna.

La notizia del decesso della signora Velati è stata data dal militante radicale Marco Cappato che, in stile radicale, si è autodenunciato per aver aiutato la sua compagna di partito a morire, al fine di dare la sveglia al Parlamento sul tema del fine vita. Inoltre, ha annunciato che i radicali pagheranno il viaggio a chi vuole morire in quel cimitero d’Oltralpe che sta diventando la Svizzera fino a quando non si farà una legge sull’eutanasia. Per finanziare l’ultimo viaggio verso la morte hanno anche fondato l’associazione “Sos eutanasia” che raccoglierà le donazioni di coloro i quali vogliono vedere morti i propri connazionali.  I radicali non sono nuovi ad iniziative come la presente e in passato hanno girato altri spot per tentare di vendere questo prodotto indigesto che è la morte. Questa volta, però, hanno scelto proprio i giorni sotto Natale per lanciare la réclame sul “diritto” a togliere il disturbo per sempre. Potrebbe essere una coincidenza, si badi bene. La signora Velati ha rivelato che ha scoperto la presenza del tumore in stadio avanzato a settembre e a dicembre, non curandosi, la malattia ovviamente si è aggravata. Ma al di là di queste possibili coincidenze, di certo è voluta la scelta di dare evidenza alla notizia non all’indomani della morte della signora, avvenuta appunto il 15 dicembre, ma in queste ore.

Una scelta sui tempi che fa riflettere. La cultura cristiana annuncia la vita celebrando la nascita di Nostro Signore, vero antidoto contro la cultura di morte incarnata dalle battaglie radicali (oltre all’eutanasia, pensiamo all’aborto e al divorzio che è l’eutanasia della famiglia). Da una parte si proclama che la Luce è venuta nel mondo per rischiararlo e su altro fronte si reclama come diritto quello di spegnersi nel buio della morte. Sintomatico poi che l’associazione che persegue lo scopo di aiutare a morire gli aspiranti suicidi si chiami “Sos eutanasia”. Sintomatico almeno per due motivi. La sigla “Sos” come è noto corrisponde nel linguaggio morse a tre punti, tre linee ed altri tre punti. Insomma è il messaggio più facile da inviare e non rappresenta l’acronimo di nessuna parola. Ciò detto però la cultura soprattutto marinara ha associato a queste tre lettere anche alcuni precisi significati. Tra questi ricordiamo l’inglese "Save Our Souls", salvate le nostre anime, e in Italia “Salvateci O Soccombiamo”. In breve, Sos rimanda a una richiesta per salvare vite, non per ucciderle. Ma ancora più sinistramente significativo è il fatto che “Sos eutanasia” faccia il macabro verso a “Sos vita”, telefono verde pro-life che risponde in primis alle chiamate di mamme in difficoltà che vorrebbero abortire. 

Quindi i radicali proprio quando la cristianità in tutto il mondo gioisce perché nasce il Salvatore che in ultimo ci libererà anche dalla morte, elogiano il darsi la morte come gesto di libertà estrema, come gesto per salvarsi dal soffrire. Da una parte viene alla luce Chi offre la propria vita perché noi possiamo scampare alla morte eterna e su altro fronte c’è chi spinge altri a morire come scelta di vita. Questa coincidenza degli opposti non è una novità nella storia cristiana. Nasce Gesù bambino e subito Erode compie una strage le cui vittime sono il simbolo per eccellenza della vita, cioè i neonati. Nulla di nuovo dicevamo e, infatti, anche l’iniziativa di Cappato & Co. e la sua scelta di fare l’apologia dell’eutanasia sotto Natale era stata prevista dai Vangeli: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta» (Gv 1, 9; 4-5).

Tommaso Scandroglio

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