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TOTO QUIRINALE

I partiti che puntano al secondo Mattarella

Sergio Mattarella, a Ventotene, pronuncia un discorso politico più del solito. Che sia un modo per candidarsi? Anche ammettendo che non voglia, come dice, i partiti della maggioranza (tutti, tranne FdI) hanno forti interessi nel tenerlo al Quirinale per un secondo mandato. Anche per lasciare Draghi nella sua posizione di premier. 

Politica 31_08_2021
Sergio Mattarella a Ventotene

Non è passata inosservata agli occhi dei quirinalisti più attenti l’uscita di due giorni fa del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Ventotene. L’auspicio di un esercito europeo e le critiche al sovranismo di chi solidarizza con il popolo afgano, ma è insensibile ai valori dell’accoglienza, è stato letto da molti addetti ai lavori come una sorta di autocandidatura alla riconferma al Quirinale.

Chi ha accesso alle segrete stanze rigetta però un’interpretazione del genere e difende la sincerità delle affermazioni del Capo dello Stato, che percepisce la gravità del quadro internazionale dopo la conquista del potere dei Talebani a Kabul e vuole che l’Italia e il Vecchio Continente più in generale non vengano travolte da questa tragedia. Mattarella non avrebbe alcuna voglia di rimanere al Colle altri sette anni e si starebbe preparando a resistere a eventuali tentativi di persuasione in tal senso. Ma, per una serie di circostanze, eventuali implorazioni da parte dei partiti potrebbero non lasciarlo indifferente. Insomma, si profila un pressante corteggiamento nei suoi confronti e non è detto che non finisca come con Giorgio Napolitano, inizialmente indisponibile a una riconferma ma poi alla fine costretto a rimanere al suo posto a causa della palude parlamentare che si era creata in quegli anni.

Un dato inoppugnabile è il seguente: l’altro giorno a Ventotene, Mattarella ha usato toni inusuali e particolarmente forti, forse anche per ricompattare il fronte che sostiene il governo Draghi e che lascia fuori soltanto Fratelli d’Italia e frange antieuropeiste e sovraniste della Lega. Dunque, dietro le dichiarazioni ci sarebbe una volontà di stabilizzazione del quadro politico nazionale, prima ancora che europeo. Che un risultato del genere possa aprire la strada a una sua riconferma, però, è abbastanza automatico. Mario Draghi, unico candidato alla Presidenza della Repubblica in grado di ottenere consensi trasversali, sta bene a Palazzo Chigi e farlo dimettere fra 5 mesi sarebbe problematico e difficile da giustificare agli occhi di una Europa che sta per perdere la Merkel e, probabilmente, anche Macron.

Peraltro Draghi coltiverebbe il sogno di presiedere la Commissione europea a partire dal 2024, per cui nel frattempo vorrebbe gestire al meglio da Palazzo Chigi la partita del Recovery, accelerando e gestendo in prima persona il flusso delle risorse Ue che arriveranno in Italia nei prossimi anni. Ma se Draghi appare inamovibile, diventa difficile, con la composita situazione politica che si è creata, immaginare candidati per il Quirinale in grado di ottenere un consenso bipartisan, senza provocare lacerazioni tra gli schieramenti e dentro gli schieramenti. Nessuno oggi potrebbe dire di no a una riconferma di Mattarella, tranne Giorgia Meloni. Tutti gli altri partiti che, con maggiore o minore convinzione, sostengono l’attuale esecutivo, sarebbero quasi costretti a votare il bis dell’attuale inquilino del Colle, anche per non destabilizzare il Paese e per non vanificare gli sforzi di ripartenza post-Covid.

Una conferma indiretta di tale sensazione la si ha proprio osservando il livello di confronto tra i partiti in questo primo mese di semestre bianco. Di solito, negli ultimi sei mesi di mandato di un Capo dello Stato, si scatenano le fibrillazioni politiche perché ogni partito cerca di portare acqua al suo mulino e punta a far valere al massimo i suoi voti in Parlamento. Tutto questo nel mese di agosto non è successo. Le polemiche tra Lega e Pd, ad esempio quelle sulla permanenza al Viminale della Lamorgese, non raggiungono mai livelli di guardia, perché tutti sanno che l’attuale equilibrio creatosi attorno a Mario Draghi non è modificabile.

Non si voterà prima del 2023, scadenza naturale della legislatura, e quindi un’eventuale ascesa al Colle da parte del Presidente del Consiglio, oltre che essere un unicum nella storia del nostro Paese, creerebbe un vuoto difficile da colmare con un altro premier gradito all’attuale maggioranza. Sarebbe pressochè impossibile trovare un sostituto di Draghi, così come sarebbe assai arduo trovare un successore di Mattarella diverso dall’attuale premier. La sinistra non ha i numeri per eleggere un suo uomo, al centrodestra mancherebbero almeno una cinquantina di voti per poter far prevalere un suo candidato e anche figure a metà strada tra destra e sinistra come Pierferdinando Casini rischierebbero di essere impallinate dai franchi tiratori del Pd e di Lega e Forza Italia.

Dunque, meglio per tutti lasciare sia Draghi che Mattarella al loro posto, in base al celebre principio simul stabunt simul cadent. Con immensa soddisfazione degli attuali parlamentari, che hanno così la certezza di restare in sella per un altro anno e mezzo.