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ISRAELE-PALESTINESI

I negoziati si allungano, e a Gaza continuano gli attacchi

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Aggiornati ancora i colloqui per un accordo sul cessate il fuoco a Gaza, mentre l'esercito israeliano continua a bombardare e uccidere. E le provocazioni crescono anche in Cisgiordania dove i coloni terrorizzano la popolazione palestinese.

Esteri 19_08_2024

Se a Doha è stata inviata dal primo ministro Netanyahu una delegazione "ad alto livello", per incontrare i mediatori di Stati Uniti, Egitto e Qatar, nel tentativo di trovare un accordo, a Gaza si continua a morire. L’aviazione non cessa di sganciare le bombe, mentre i carrarmati distruggono con i loro cannoni tutto quello che incontrano. Ben quarantamila persone sono state uccise dall’esercito israeliano, e quasi centomila sono rimaste ferite, dall'ottobre scorso. Ordigni lanciati in modo indiscriminato, ma giustificati dall’Idf (Israel Defense Forces), perché puntati su obiettivi che nascondevano la presenza di cellule terroristiche.

È il caso di Deir el-Balah. Sedici persone sono state ammazzate, tra cui nove bambini, tutte appartenenti alla famiglia di al-Ejlah, evacuate da az-Zawayda, verso una zona considerata più sicura dalle forze israeliane. Un'intera famiglia uccisa, ma non è la sola, che è stata cancellata dall'anagrafe. È chiaro che questi morti gettano un'ombra inquietante sui colloqui che dovrebbero riprendere questa settimana.

Al-Mawasi, Gaza City, Nuseirat, Rafah, Deir al-Balah e Khan Younis sono città e villaggi ormai rasi completamente al suolo. Ciò che è rimasto è un deserto di macerie. I sopravvissuti vagano da un posto all'altro in cerca di un rifugio, con ogni mezzo, auto, carretti guidati da asini dove vengono stipate le poche masserizie rimaste. Gli inutili appelli ad un cessate il fuoco non vengono tenuti in considerazione da parte del primo ministro israeliano e da tutti i suoi ministri. «Chiedo ancora una volta che si cessi il fuoco su tutti i fronti, che si liberino gli ostaggi e si aiuti la popolazione stremata. Incoraggio tutti a compiere ogni sforzo perché il conflitto non si allarghi e a percorrere le vie del negoziato, affinché questa tragedia finisca presto! Non dimentichiamo: la guerra è una sconfitta»: con queste parole papa Francesco ha invitato le parti in causa, per l’ennesima volta, a deporre le armi. Dopo oltre dieci mesi di ostilità, questi richiami sembrano inviti logori, provenienti da quella parte debole dell’opinione pubblica che per i belligeranti sta sempre dalla parte sbagliata, poiché la vera risposta sono le armi e l’annientamento del nemico, con il risultato che alla fine non resterà che un odio più diffuso e un’inimicizia reciproca.   

In questi giorni era stata riposta, nell’incontro di Doha, una certa speranza, ovvero che si potesse raggiungere un pur minimo accordo; ma ogni aspettativa è stata rinviata al prossimo colloquio, previsto al Cairo per la fine di questa settimana. Al termine del faccia a faccia nella capitale qatariota, in una nota congiunta firmata dai mediatori, si afferma: «Non c'è più tempo da perdere e nessuna delle parti può accettare scuse per ulteriori rinvii. È tempo di rilasciare gli ostaggi e i detenuti, di iniziare il cessate il fuoco e di attuare questo accordo».

Ma la tregua sembra una chimera. Troppe volte è stato detto che l'accordo era vicino, salvo essere smentiti quasi subito, dalle incursioni e dagli attacchi dell'esercito israeliano. Il presidente Joe Biden invierà, per la nona volta in Medio Oriente, il segretario di Stato, Antony Blinken che oggi incontrerà i vertici israeliani. «Ci sarà sempre chi rema contro - ha dichiarato recentemente il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini - gli ostacoli non mancano, ma credo che siano maturate le condizioni perché si possa finalmente concludere questa fase della guerra e quindi di conseguenza anche allontanare un’escalation, un allargarsi del conflitto con l’intervento diretto dell’Iran e l’estendersi della guerra anche in Libano».

Anche lo scorso sabato si sono dati appuntamento a Tel Aviv, nella piazza denominata “degli ostaggi” i parenti e i sostenitori dei rapiti, trattenuti come prigionieri in qualche tunnel di Gaza, per chiedere ad alta voce al governo di firmare l'accordo con Hamas e riportare a casa i loro cari. «Ho sentito gli alti funzionari della sicurezza dirci che Hamas è stato smantellato, è tempo di un accordo. Hamas lo vuole, anche l'Iran e Hezbollah, col loro silenzio, lo vogliono. Se non c'è un accordo, ci sarà una guerra furiosa e in questo tipo di guerre si sa come si entra, ma non si sa come si esce», ha detto Eli Albag, padre di uno degli ostaggi. Ma le migliaia di persone presenti in piazza a Tel Aviv hanno chiesto anche le dimissioni di Netanyahu e la convocazione di nuove consultazioni elettorali.

A Gaza, dove quotidianamente si muore, è anche emergenza sanitaria. «La ricomparsa della poliomielite nella Striscia, dopo un quarto di secolo, è un altro segnale preoccupante di quanto caotica, disperata e pericolosa sia diventata la situazione. Non possiamo permettere che la polio si diffonda e minacci non solo gli abitanti di Gaza, ma tutti i bambini della regione». Catherine Russell, direttrice generale dell’Unicef, in un post pubblicato sul proprio profilo su X, ha lanciato questo grido di allarme.

Nonostante si paventi un allargamento del conflitto e che l'Iran possa entrare in guerra, all'interno dello stesso Israele non mancano provocazioni e sfide, fomentate da quella parte irriducibile della popolazione israeliana rappresentata dai coloni, che dal 7 ottobre scorso scorazzano, indisturbati, per la Cisgiordania, seminando panico e terrore. L'ultimo assalto è avvenuto nel villaggio di Jit, poco più di 2500 persone, nelle vicinanze di Nablus. È stato un vero e proprio attacco. Un centinaio di coloni, armati e quasi tutti con il volto coperto, è entrato nel villaggio, incendiando abitazioni ed automobili. Un palestinese è stato ucciso, colpito alla testa, da una raffica di mitragliatrice.

Queste incursioni, distruzioni e appropriazioni di terreni di proprietà palestinese avvengono nella piena indifferenza del governo, che si limita a qualche comunicato, nel quale annuncia che i responsabili saranno catturati, processati e condannati secondo la legge. Si tratta di gente che si sente legittimata ad agire con la copertura dei partiti messianico-nazionalisti, che sostengono il governo Netanyahu. Ormai, si può parlare di terrorismo, di violenza politica legalizzata, ma soprattutto di una forza “armata” autonoma e parallela, con una propria gerarchia e struttura. «Sono sconvolto dal violento attacco dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania. Questi attacchi devono cessare e i criminali devono essere chiamati a risponderne», ha scritto su X l'ambasciatore americano in Israele.

Ma cosa fa il governo di Netanyahu per fermare questi assalti? I richiami di Washington e dell'Unione Europea sembrano solamente di facciata. Dall'inizio della guerra tra Israele e Hamas, nella sola Cisgiordania sono stati uccisi dall'esercito israeliano e dai coloni ben 620 palestinesi e feriti oltre 5mila, come riporta l'Ufficio per gli affari umanitari dell’Onu (Ocha). Sono stati 270 gli incendi appiccati, per la maggior parte dai coloni, a case, macchine e campi coltivati.

Sono, invece, diciannove le comunità che hanno abbandonato i propri villaggi per l’impossibilità di vivere in luoghi, diventati bersaglio quotidiano di violenze di ogni tipo: lanci di pietre, furti ed uccisione di greggi, pestaggi e minacce, il tutto con l’appoggio o il mancato intervento dell'esercito israeliano. L’ondata di violenza non ha risparmiato nemmeno le comunità beduine, nonostante la Corte di Giustizia internazionale abbia decretato l'illegalità dell'occupazione israeliana nei territori palestinesi.



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