I giornali liberal continuano la guerra contro il Natale
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Il Natale aumenta le emissioni, quindi mai fare regali. Il Natale è alienante, quindi meglio festeggiarlo da soli. Anzi, non festeggiarlo proprio, tanto non c'è alcun evento da festeggiare. Così la stampa liberal più influente, anche questo Natale.
Passato il Capodanno, si contano i morti, i feriti. E gli articoli pubblicati contro il Natale. La “War on Christmas” è diventata una moda della sinistra anglosassone, almeno nell’ultimo decennio e si riflette nella scaletta dei maggiori e più autorevoli quotidiani di quell’area, come il Guardian, il Washington Post e il New York Times. Non si tratta solo di quotidiani che hanno ancora molta visibilità nei loro paesi, anche se soffrono dell’emorragia di lettori. Sono anche giornali che fanno “agenda setting”, quelli da cui prendono ispirazione anche le altre redazioni, un po’ in tutto il mondo occidentale. Per cui certe tendenze promosse nelle loro pagine, si riflettono inevitabilmente anche nelle scelte dei colleghi europei e americani e, a cascata, finiscono col condizionare l’opinione pubblica (specie quella già laica e progressista, ma anche parte di quella cattolica “adulta”).
Quindi il Guardian decide di inquadrare il Natale nella lotta al cambiamento climatico. E conclude che festeggiare la nascita di Gesù facendosi i regali o cenando assieme ai parenti, fa sicuramente male all’ambiente. Come titola in primo piano il quotidiano di riferimento della sinistra britannica, almeno nel Regno Unito nel giorno di Natale le emissioni pro-capite di CO2 aumentano di 23 volte. Lapidario il giudizio sin dalle prime parole: «Questo carnevale dei consumi ha un costo». In termini di emissioni: «Le emissioni generate da ogni adulto per tutti i viaggi, i regali, l'energia, le decorazioni, il cibo, le bevande e i rifiuti associati al culmine del carnevale annuale del consumismo ammontano a 513 kg di CO2 equivalente (CO2e), secondo l'analisi. Le emissioni medie giornaliere di un adulto del Regno Unito sono di circa 22 kg di CO2e». Dunque circa 23 volte quel che si emette in un giorno qualsiasi nel resto dell’anno. Il Natale “scalda” e per questo l’ambiente scientifico lo maledice, nel nome della sostenibilità. Il Guardian sottolinea che «I regali sono i maggiori contributori del totale, pari al 93% delle emissioni». La conclusione: guai a fare regali a Natale, lo dicono anche i “cattolici contro il cambiamento climatico” intervistati, per i quali il vero spirito del Natale è la povertà, non l’acquisto di doni.
Se c’è un Grinch verde (di ecologismo) sulle pagine del quotidiano britannico, non è una novità. Anche dieci anni fa aveva fatto discutere l’editoriale a firma di David Bry, pubblicato sempre alla vigilia del Natale nel 2014. Titolo che già dice tutto: È tempo di fare una vera guerra al Natale. La premessa è agghiacciante per chiunque abbia almeno un barlume di fede: «Il Natale - e ogni altra festività - segna semplicemente una data sul calendario, un punto arbitrario nel tempo, soprattutto se si prendono in considerazione le fluttuazioni della rotazione terrestre e del ciclo lunare. Il 25 dicembre è un giorno che, secondo la nostra società, dovrebbe essere allegro e gioioso, ricco di tradizione e nostalgia. È il giorno delle calze e dei biscotti, dei maglioni e dello zabaione, degli elfi, dei viaggi nel tempo e delle renne con il naso rosso e luminoso. Ho ho ho! Dovremmo essere felici. Ci è stato detto di essere felici. È la stagione dell'allegria, non è vero? Ma la realtà delle vacanze raramente è all'altezza delle nostre aspettative. Lo è mai? È possibile? No, non è possibile». Quindi il Natale, oltre ad accelerare il cambiamento climatico, genera anche frustrazione psicologica. Ed è solo una data qualsiasi nel calendario, quindi perché non abolirlo?
Il Washington Post quest’anno prende la sfida sul serio e fornisce, nella sua pagina delle opinioni del 24 dicembre un manuale su come sopravvivere allo stress del Natale, a firma di Sydney Page. La tesi? Meglio festeggiarlo da soli, lontano dal parentado, per “dedicare un po’ di tempo al proprio benessere personale”. Nel lungo articolo Amano la loro famiglia, ma vogliono semplicemente trascorrere il Natale da soli, la Page intervista gente qualunque così come psicologi ed altri esperti del settore per giungere alla conclusione: «Gli studi hanno dimostrato che praticare la solitudine ha diversi vantaggi psicologici, tra cui quello di ispirare la creatività e di favorire la calma». La Page intervista tre persone che hanno fatto la scelta della festa solitaria, «celebrando e godendo della loro solitudine vacanziera».
Questo approccio al Natale, visto quasi come una giornata difficile in cui sopravvivere, parte da un presupposto di assoluta distanza dal cristianesimo. Ed è un atteggiamento, non solo dato per scontato, ma perseguito scientemente dalla testata di Washington. Sei anni fa, nella Vigilia del 2018, pubblicava l’editoriale: Per favore, non auguratemi Buon Natale (è maleducato e alienante pretendere che io segua la tua religione). Un editoriale tipico della “Guerra al Natale” scritto nel nome di una malintesa tolleranza nei confronti degli atei e dei fedeli di altre religioni. Quindi: il Natale fa male al clima, genera alienazione e frustrazione, è meglio non fare regali, è meglio festeggiarlo da soli ed è meglio non fare nemmeno gli auguri in quel giorno. Però al New York Times non basta. Il quotidiano newyorkese, tuttora considerato (nonostante il crollo delle vendite) come il “più influente al mondo”, vuole mettere direttamente in dubbio che “le cose siano andate come i cristiani ce le raccontano”.
Il New York Times, in questa Vigilia di Natale, ha scelto di mettere in discussione la Verginità della Madonna. Come? Intervistando Elaine Pagels, docente di Storia delle religioni alla Princeton University, che non trova niente di meglio che rispolverare e dare nuova “dignità” storica alla teoria secondo cui Gesù sarebbe nato da una violenza carnale ad opera di un soldato romano chiamato “Pantera”. Nella sua lunga intervista, la Pagels afferma e nega, dichiara il suo rispetto e la sua attrazione per il cristianesimo, ma poi di fatto ne mette in dubbio le stesse fondamenta. Alla fine, il lettore ne esce più confuso di prima. Ed è esattamente questo lo scopo del nuovo ateismo: mai negare, ma confondere. E nel frattempo: non celebrare. Perché è inutile celebrare qualcosa che forse non c’è o non è degna di essere festeggiata.