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ORA DI DOTTRINA / 42 - LA TRASCRIZIONE

I divieti all'uso del nome di Dio - Il testo del video

Oltre agli obblighi, il secondo comandamento prevede anche dei divieti: bestemmia, imprecazione, blasfemia. Il giuramento è ammissibile in alcuni casi - vedi San Paolo -, ma c'è la proibizione del falso giuramento e dello spergiuro.

Catechismo 23_10_2022

La scorsa lezione abbiamo iniziato il secondo comandamento - "Non nominare il nome di Dio invano" - e l’abbiamo situato dentro alla cornice più ampia della virtù di religione, mostrando come l'onorare il nome di Dio significhi onorare Dio stesso. Abbiamo visto a lungo questo importante dovere dell'uomo a cui corrisponde l’importante virtù di religione, che inclina l’uomo a riconoscere a Dio tutto l'onore, la riverenza, il rispetto e la devozione che la sua persona divina, la sua santità, la sua onnipotenza, il suo essere carità esigono. Abbiamo inoltre visto come tutto questo si trasferisca sul nome di Dio, con l’obbligo di utilizzare il nome di Dio sempre in un contesto rispettoso. Infine, abbiamo letto parti di un'omelia del cardinal Newman e gli articoli del Catechismo della Chiesa cattolica a riguardo.

Dopo aver considerato a cosa obbliga il secondo comandamento, nella lezione odierna vediamo cosa il secondo comandamento vieta.

- LA BESTEMMIA. Il secondo comandamento vieta la bestemmia del nome di Dio, che è il peccato più grave contro questo comandamento. Essa consiste nel pronunciare parole offensive contro Dio, associando il nome di Dio ad una aggettivazione che non è consona a Dio, o utilizzare il nome di Dio per compiere il male.

Il Catechismo della Chiesa cattolica, al numero 2148, insegna che "la bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste nel proferire contro Dio – interiormente o esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio".

Cosa significa la dicitura “interiormente o esteriormente”?

Bestemmiare interiormente non significa - come è accaduto a molti santi - sentire dentro di sé pensieri di bestemmia contro Dio. Questa è una dura prova; il peccato c'è solamente quando c'è il consenso. Avvertire involontariamente dentro di sé pensieri o parole di bestemmia è una prova concessa a molti per la propria purificazione: la discriminante tra la prova/tentazione e il peccato sta nel consenso. Finché proviamo fastidio, perfino dolore per questi pensieri, è chiaro che non c’è alcun consenso.

- Un altro divieto riguarda LE IMPRECAZIONI. Le imprecazioni si differenziano dalla bestemmia in quanto il nome di Dio viene usato in contesti di odio o di ira. Non ci sono parole d’odio o irriverenti contro Dio, eppure il suo nome viene utilizzato per esprimere rabbia, disprezzo.

Come spiega il Catechismo,  al numero 2149, "le imprecazioni, in cui viene inserito il nome di Dio senza intenzione di bestemmia, sono una mancanza di rispetto verso il Signore".

Lo stesso numero aggiunge che il secondo comandamento “proibisce anche l’uso magico del nome divino”.

Il PRINCIPIO CHIAVE è il seguente: l'utilizzo del nome di Dio al di fuori di un contesto di riverenza, di lode, di preghiera, di supplica, di rispetto va contro il secondo comandamento. Con un ventaglio che va dalla bestemmia, che è il caso più grave, all'imprecazione, fino al suo utilizzo in contesti non adeguati, con estrema leggerezza, con mancanza di rispetto o in tono giocoso.

- Un altro divieto che rientra in questo comandamento è LA BLASFEMIA.

Giovanni Paolo II in un Angelus del 21 marzo del 1993, dedicato proprio al Secondo comandamento, specificò che anche la blasfemia è contraria a questo comandamento, esprimendosi con "spettacoli dissacranti, scherno, pubblicazioni altamente offensive del senso religioso". Quello che ormai è la normalità nel contesto pubblico.

- Un altro grande gruppo di proibizioni riguarda IL GIURAMENTO (nn.  2150-2151 del Catechismo), e LO SPERGIURO (n. 2152).

Quando si fa un giuramento si chiama Dio a testimone, ricorrendo ad una semplice formulazione, come: "Giuro che...", "Dio mi è testimone che..", "Dio sa che...".

Se quello che noi giuriamo ha un contenuto falso, o diventa falso perché noi non lo adempiamo o ha un contenuto “leggero”, allora se ne comprende la proibizione , in quanto si ricorre al nome di Dio per qualcosa di indegno.

Il falso giuramento è la prima proibizione. Giurare qualcosa di falso va totalmente contro il secondo comandamento perché usiamo il nome di Dio in modo del tutto irrispettoso della sua persona, come se Dio possa essere il garante della falsità. Associamo Dio alla falsità.

Poi abbiamo lo spergiuro. "È spergiuro colui che, sotto giuramento, fa una promessa con l'intenzione di non mantenerla, o che, dopo aver promesso sotto giuramento, non vi si attiene. Lo spergiuro costituisce una grave mancanza di rispetto verso il Signore di ogni parola. Impegnarsi con giuramento a compiere un'opera cattiva è contrario alla santità del nome divino".

Mentre il falso giuramento significa giurare qualcosa che è già falso, lo spergiuro comporta il giurare qualcosa sapendo che non si ha alcuna intenzione di mantenere il giuramento, o comunque giurare e poi disattendere. Qui rientrano tutti quei giuramenti che mancano o di prudenza, cioè di giudizio, o di giustizia: si fanno dei giuramenti che non si possono mantenere (mancanza di giudizio) o non si devono mantenere (mancanza di giustizia).

Vediamo ora una classica obiezione contro il “giuramento buono”. L'obiezione che normalmente viene fatta è la seguente: nel Vangelo di Matteo, al capitolo 5, all’interno del discorso della Montagna, viene proibita ogni forma di giuramento. Mentre la Chiesa Cattolica consente certi tipi di giuramento. Allora la Chiesa contraddice il Vangelo?

Il principio a cui dobbiamo ispirarci è che la Rivelazione è un tutt'uno. Non posso isolare una frase dal contesto dell’insieme della Rivelazione. E così troviamo che nel primo capitolo della Seconda lettera ai Corinzi e nel primo capitolo della lettera ai Galati, San Paolo fa dei giuramenti. Vediamo il primo: “Io chiamo Dio a testimone sulla mia vita, che solo per risparmiarvi rimproveri non sono più venuto a Corinto" (2Cor 1, 23).

Ovviamente Vangelo e lettere di San Paolo sono entrambi ispirati e sono parte della Rivelazione; dunque non possono essere in contraddizione tra loro. Come armonizzare allora questi versetti, apparentemente in contrasto tra loro?

Proprio con il fatto che la proibizione riguarda il falso giuramento, lo spergiuro e il giuramento per cose futili, imprudenti o inopportune.

Come spiega il n.2153 del Catechismo:

"Gesù insegna che ogni giuramento implica un riferimento a Dio e che la presenza di Dio e della sua verità deve essere onorata in ogni parola. La discrezione del ricorso a Dio nel parlare procede di pari passo con l'attenzione rispettosa per la sua presenza, testimoniata o schernita, in ogni nostra affermazione".

Il giuramento deve essere perciò riportato in un contesto che garantisca l'onore e la riverenza a Dio ed il suo nome deve essere invocato a testimonianza in un contesto adeguato: vero, prudente, giusto e per una causa importante.

Abbiamo parlato nella lezione odierna del nome di Dio e del nome di Gesù, ma un discorso analogo viene fatto anche per il nome della Santissima Vergine, dei Santi Arcangeli e dei Santi. Il principio è simile a quello che abbiamo presentato nella lezione sulle immagini sacre: la liceità di venerare le immagini della SS. Vergine o dei Santi sta nel fatto che costoro sono immagine perfetta di Dio.

Analogamente, il rispetto per il nome di Dio porta in sé il rispetto per coloro che sono in Dio e che sono conformati a Dio, ovvero gli abitanti del Paradiso, il cui nome deve essere sempre pronunciato in un contesto adeguato e non superficialmente né tanto meno devono essere fatti oggetto di bestemmia, imprecazione, blasfemia.