I Dieci Comandamenti contro il relativismo
Per il settantesimo anniversario della deportazione, Papa Francesco incontra la comunità ebraica romana. Condanna l'antisemitismo e indica la base del dialogo: i Dieci Comandamenti, la legge morale che ebrei e cristiani hanno in comune, contro il dilagare del relativismo.
L'11 ottobre Papa Francesco ha ricevuto una delegazione della Comunità Ebraica di Roma, cui ha rivolto un discorso e consegnato una lettera nel settantesimo anniversario della deportazione degli ebrei romani. L'incontro è stato occasione per rinnovare una forte condanna dell'antisemitismo, ma anche per riflettere sulla legge morale che ebrei e cristiani hanno in comune: i Dieci Comandamenti, antidoto al dilagante relativismo.
Nella lettera il Papa parla del ricordo della deportazione facendo riferimento al concetto di «memoria futuri», memoria del futuro, illustrato nell'enciclica «Lumen fidei». Anche il ricordo di quei tragici eventi, scrive, va considerato «come una "memoria futuri", un appello alle nuove generazioni a non appiattire la propria esistenza, a non lasciarsi trascinare da ideologie, a non giustificare mai il male che incontriamo, a non abbassare la guardia contro l'antisemitismo e contro il razzismo, qualunque sia la loro provenienza». Infatti, «fare memoria di un evento non significa semplicemente averne un ricordo; significa anche e soprattutto sforzarci di comprendere qual è il messaggio che esso rappresenta per il nostro oggi, così che la memoria del passato possa insegnare al presente e divenire luce che illumina la strada del futuro». «L’ho detto altre volte e mi piace ripeterlo adesso - ha aggiunto nel discorso - è una contraddizione che un cristiano sia antisemita. Un po' le sue radici sono ebree. Un cristiano non può essere antisemita! L’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna!».
Nella sua lettera, Francesco è attento a sottolineare come la sua riflessione sulla tragedia dell'Olocausto s'inserisca nel solco di analoghe iniziative dei suoi predecessori: «il Beato Giovanni Paolo II [1920-2005] scriveva che la memoria è chiamata a svolgere un ruolo necessario “nel processo di costruzione di un futuro nel quale l’indicibile iniquità della Shoah non sia mai più possibile” (Lettera introduttiva al documento: Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, "Noi ricordiamo. Una riflessione sulla Shoah", 16 marzo 1998) e Benedetto XVI nel Campo di concentramento di Auschwitz affermava che “il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere” (Discorso, 28 maggio 2006)».
Insieme, il Pontefice ha voluto nuovamente ricordare come la Chiesa Cattolica, per espressa volontà del venerabile Pio XII (1876-1958), sia stata in prima linea fra quanti si adoperarono per salvare vite di ebrei perseguitati. Non possiamo non «ricordare - ha detto nel discorso - come nell’ora delle tenebre la comunità cristiana di questa città abbia saputo tendere la mano al fratello in difficoltà. Sappiamo come molti istituti religiosi, monasteri e le stesse Basiliche Papali, interpretando la volontà del Papa, abbiano aperto le loro porte per una fraterna accoglienza, e come tanti cristiani comuni abbiano offerto l’aiuto che potevano dare, piccolo o grande che fosse». Molti di questi cristiani, ha detto Francesco, non erano in grado di porsi i grandi problemi sulla «comprensione cristiana dell'ebraismo». Tuttavia, senza attendere gli sviluppi di una riflessione teologica peraltro anche all'epoca già in corso, aiutarono generosamente gli ebrei. «Mi piace sottolineare questo aspetto, perché se è vero che è importante approfondire, da entrambe le parti, la riflessione teologica attraverso il dialogo, è anche vero che esiste un dialogo vitale, quello dell’esperienza quotidiana, che non è meno fondamentale».
Il dialogo interreligioso tra ebrei e cristiani sul piano teologico può essere molto complesso. Citando Benedetto XVI - e si sa quanto questo punto stesse a cuore a Papa Ratzinger - Francesco ha però insistito sul fatto che può talora essere meno complicato, ed è comunque oggi quanto mai necessario, incontrarsi e collaborare sul terreno dei principi morali. In comune tra ebrei e cristiani «vi è la testimonianza alla verità delle dieci parole, al Decalogo». I Dieci Comandamenti, ha affermato il Papa, sono «solido fondamento e sorgente di vita anche per la nostra società»: dunque non solo per i singoli nella loro vita individuale ma anche per le scelte sociali e politiche. E dei Dieci Comandamenti c'è più che mai bisogno, ha concluso Papa Francesco, perché la nostra società è «così disorientata da un pluralismo estremo delle scelte e degli orientamenti, e segnata da un relativismo che porta a non avere più punti di riferimento solidi e sicuri». In attesa che il dialogo teologico maturi i suoi lentissimi frutti, la collaborazione fra cristiani, ebrei e uomini e donne di buona volontà è fin da oggi possibile nella difesa della legge naturale contenuta nei Dieci Comandamenti, contro un relativismo che a tutti toglie i punti di riferimento.