I cristiani nascosti del Giappone
Sono passati esattamente 150 anni da quando un missionario francese, arrivato in Giappone insieme ai commerciani occidentali, scoprì una comunità cristiana: dopo la feroce persecuzione di Nagasaki per 250 anni avevano tramandato la fede cristiana in clandestinità, aspettando il ritorno dei missionari.
PRIMA PARTE: I MARTIRI DI NAGASAKI, UNA STORIA DA CONOSCERE
Il dittatore Hideyoshi morì e una lotta di potere si ingaggiò tra i baroni feudali. Tokugawa Ieyasu uscì vittorioso e divenne un dittatore ancor più assoluto del suo predecessore; prese l’antico titolo di shogun. Il primo degli shogun Tokugawa fu molto diffidente nei confronti del cristianesimo e del cattolicesimo in particolare. Vedeva che i missionari accompagnavano i conquistatori nelle loro imprese coloniali su tutta la terra, ed era stato molto turbato dal vedere che dei nobili come il Barone Takayama e dei semplici contadini disobbedissero all’onnipotente Hideyoshi per seguire questa religione straniera, che pure era vietata.
Nel 1614, lo shogun, dopo aver annientato gli ultimi bastioni di resistenza ai suoi editti, rafforzò il divieto del cristianesimo. Grandi premi furono offerti in cambio di informazioni che potessero portare alla cattura di sacerdoti e catechisti. Quando i cristiani in gran numero, si incamminarono verso la loro morte, piuttosto che rinunciare alla loro fede, lo shogun per piegarli introdusse torture raffinate. Nagasaki e la campagna circostante pullulavano di agenti e di soldati governativi. I sacerdoti che riuscivano a infiltrarsi in Giappone per sostituire quelli che erano stati giustiziati, venivano subito arrestati, perché i loro occhi e il loro accento straniero li tradivano.
Molti cristiani di Nagasaki migrarono verso le isole o luoghi remoti come il fiume Urakami e si ingegnarono a trovare un modo per conservare e trasmettere la fede cristiana senza sacerdoti. Formarono comunità clandestine. Nominarono un «responsabile dell'acqua» per battezzare, un «responsabile del calendario» per osservare le date di Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, ecc., e un chokata o «capo». Quando un chokata moriva, il figlio maggiore assumeva questa responsabilità. Gli shogun Tokugawa rimasero al potere per due secoli e mezzo, organizzando una polizia di Stato; la loro totale opposizione al cristianesimo fu inesorabile. Nel 1856 Kichizo Moriyama, il settimo «capo» della famiglia Moriyama cadde in una trappola tesa dalla polizia. Morì sotto tortura, ma non tradì.
Nel 1858, il Giappone, costretto ad aprirsi al mondo esterno dalle cannoniere del Commodoro Perry, firmò un trattato commerciale con gli Stati Uniti. Gli europei arrivarono presto e si stabilirono in luoghi come Yokohama e Nagasaki. Quando cominciarono a costruire chiese, lo shogun decretò che solo gli europei vi potevano entrare. Il cristianesimo rimaneva tabù per i giapponesi. Nel mese di febbraio del 1864, padre Petitjean della Società delle Missioni Estere di Parigi, completò la costruzione di una chiesa in Oura, un sobborgo a sud di Nagasaki, appena al di sotto della casa dei produttori di guanti, resa famosa da Madame Butterfly.
Questa chiesa si trovava a sei chilometri dalla comunità cristiana segreta di Urakami; i responsabili cristiani provvisori, dato che il loro chokata era morto in carcere sei anni prima, erano riluttanti a prendere una decisione. Inoltre, obiettavano, non era sicuro che la nuova chiesa cristiana fosse la stessa dei loro antenati. Costoro avevano trasmesso delle direttive molto semplici; una di loro, per esempio, diceva che se la Chiesa fosse tornata in Giappone, essi l’avrebbero riconosciuta in base a tre segni: che i sacerdoti non fossero sposati, che ci fosse una statua di Maria e che questa Chiesa fosse obbediente al papa-sama di Roma.
Un giorno di mercato, qualche cristiano Urakami andò alla nuova chiesa di Oura e uno di loro fece in modo di intrufolarsi all'interno, dove vide la statua di Maria con il bambino Gesù tra le braccia. Poi si informarono dagli abitanti del quartiere per sapere chi fosse quel grosso francese vestito di nero, e ciò permise loro di apprendere che viveva da solo. Videro anche i cartelli affissi dal governo al di fuori della chiesa, e sui quali era scritto che l'edificio era riservato agli stranieri, e che tutti i giapponesi scoperti all'interno dell’edificio sarebbero incorsi nelle punizioni più severe previste dalla legislazione anti-cristiana.
Gli anziani erano più inclini ad aspettare per essere sicuri della chiesa di Oura. Le loro donne, invece, li accusavano di codardia e di tergiversare inutilmente; dichiararono che per loro quelle prove erano sufficienti e che sarebbero andate ad incontrare il francese. Il giorno successivo, 17 marzo 1865, vestite di impermeabili di paglia a causa del cielo minaccioso, partirono su diverse barche da pesca, costeggiarono il litorale orientale della baia di Nagasaki per cinque miglia di distanza e scesero a terra oltre Dejima. Salirono la collina, cercando di apparire come gente di mare venuta in città per comprare provviste. Quando videro che non c'erano né polizia né agenti ufficiali in vista, salirono quattro alla volta le scale ed entrarono nella chiesa.
All'interno, il padre Petitjean stava leggendo il breviario. Era un po’ depresso. Seminarista a Parigi, era affascinato dai libri che aveva letto sui cristiani giapponesi nei sessant’anni che erano seguiti ai primi battesimi di Francesco Saverio. Aveva letto nel dettaglio la storia della crocifissione dei ventisei giapponesi di Nagasaki, la vita del barone Ukon Takayama, il nobile Tama Hosokawa e migliaia di giapponesi di tutte le classi che avevano scelto la morte piuttosto che rinunciare alla loro fede cristiana. Quando il Giappone si aprì all’Occidente, egli era venuto a Nagasaki con grande speranza e si aspettava di trovare dei cristiani sopravvissuti. Con suo grande dolore, non aveva trovato che ostilità verso il cristianesimo. Quel giorno, il tempo coincideva bene con il suo umore, mentre era in ginocchio nella sua chiesa, nuova ma vuota.
Fu sorpreso dall’irruzione di un gruppo di donne dai vestiti un po’ logori. Attraversarono il tappetino di paglia per avvicinarsi a lui. «Maria no gozo wa doko?», chiese una donna di nome Yuri, che significa giglio: «Dov'è la statua di Maria?». Il prete era troppo sorpreso per rispondere. Un'altra donna, di nome Teru, che significa lampadario, lo rassicurò: «Il nostro cuore e il vostro cuore sono gli stessi». Ripeté la domanda: «Maria no gozo wa doko?» - «Oh! Sì! Doozo, doozo. Venite da questa parte». Li condusse a un altare laterale vicino al muro ad est. «Ah! È lei, è proprio lei!». Nella voce di Teru c'era il sollievo da una attesa secolare. «Lei ha il bambino Zezus in braccio!». La pronuncia di alcune parole, come scoprì poi il sacerdote, era cambiata nel corso dei secoli, ma quando le interrogò sulla loro fede, si rese conto che avevano detto la verità: il loro cuore e il suo erano gli stessi.
Esse raccontarono al padre Petitjean che la stalla spaziosa dei Moriyama serviva come luogo di incontro per i cristiani nascosti di Urakami. Allora egli mandò un messaggio al «responsabile dell'acqua», al «responsabile del calendario» e agli anziani. Questi ultimi lo avvertirono del pericolo che correva se i funzionari civili avessero conosciuta la sua identità, e così si travestì da contadino per raggiungerli dopo il tramonto. Celebrò la Messa nella loro stalla, il cui pavimento era stato cosparso di paglia di riso per coprire il letame. I giapponesi amano molto i simboli. I cristiani erano stupiti nel partecipare alla loro prima messa in una stalla. Quante volte in quei venticinque decenni nei quali era durata la persecuzione avevano ripetuto la storia di quella piccola famiglia alla quale era stato rifiutato un rifugio e che era stata inseguita dai soldati di Erode! Era invalso l’uso di dare un po’ più di fieno alle bestie il 25 dicembre!
Infine i funzionari di Nagasaki ebbero sentore di quello che stava succedendo tra i cristiani sotterranei e il sacerdote francese; chiesero indicazioni al governo centrale. Lo shogun Tokugawa guidava ancora la nazione, ma in modo equivoco. I militanti feudali reclutavano samurai per la «causa gloriosa», vale a dire, per liberare l'imperatore dall'antica prigione nella gabbia dorata di Kyoto che era stata ordinata dai Tokugawa; essi anche rafforzavano il Giappone contro la crescente minaccia degli occidentali. In quell’ultimo anno della sua vita, la dittatura Tokugawa, che non era riuscita ad annientare il cristianesimo nel XVII secolo, ordinò ai funzionari di Nagasaki di spegnere quelle braci fumanti di cristianesimo. Così alle tre di notte del 15 luglio 1867, sotto la pioggia battente, nel fango, i soldati arrestarono 68 leader cristiani. Altri furono catturati in seguito. Infine tutti i cristiani di Urakami, cioè 3414 persone, dai bambini agli anziani, furono inviati in diciassette campi di detenzione appositamente aperti per l'occasione. Il governo aveva deciso di disperderli per spezzare la loro unità. Se i cristiani persistevano nella loro religione, dovevano essere usate la tortura e la pena capitale.
Meno di un anno dopo, la dittatura Tokugawa fu rovesciata e installato di nuovo l'Impero nella persona dell'imperatore Meiji. Di fronte alla minaccia dei colonizzatori occidentali sparsi in tutto l'Oriente, il nuovo governo Meiji ritenne che l'unità nazionale fosse la priorità. Il cristianesimo era occidentale e seminava disordine. Lo shinto era puramente giapponese, e, poiché insegnava il culto dell'imperatore e il destino sacro della nazione, poteva servire come cemento di unità. I cristiani erano potenzialmente dei traditori in un Giappone che si stava preparando a combattere contro i colonizzatori dell'Occidente cristiano. Gli sforzi impiegati nei campi di detenzione per piegare i cristiani erano fatti con metodi brutali e molti ne morirono.
Gli europei che vivevano a Nagasaki avvisarono la stampa occidentale. Cominciarono ad essere pubblicati degli articoli e i governi stranieri protestarono formalmente al punto che il governo Meiji abbandonò la sua politica. Solo dopo cinque anni i cristiani di Urakami, che erano stati arrestati e trasportati nei campi di tutto il Paese, poterono tornare a casa, nonostante la loro condizione: 664, quasi il 20%, erano morti in cattività; gli altri erano in uno stato pietoso. Poiché il governo li aveva dichiarati traditori, le loro proprietà erano state saccheggiate. Attrezzature agricole, mobili, barche, attrezzature per la pesca e tutto ciò che aveva un po’ di valore era scomparso. Quelle che una volta erano state risaie ben mantenute, ora erano solo terre desolate.