I cristiani lasciano il Medio Oriente
Discriminati, perseguitati, emarginati, i cristiani della regione, seppure non più minacciati dall’Isis, scelgono l’esilio in paesi lontani
È un esodo silenzioso, lento ma costante quello dei cristiani che lasciano l’Iraq, “al ritmo di 20 famiglie al mese” sostiene il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca della Chiesa caldea. Concentrati nella Piana di Ninive e in altre aree del nord del paese, da cui già erano fuggiti a decine di migliaia nel 2014 per sottrarsi al Califfato, scelgono l’esilio a causa delle condizioni in cui sono costretti a vivere in patria. “Instabilità politica e sociale – elenca il cardinale Sako descrivendo la loro situazione – insicurezza, assenza di pari opportunità, discriminazioni e misure penalizzanti al lavoro, carenza di disposizioni giuridiche che tutelino la piena uguaglianza dei cittadini davanti alla legge”. Inoltre manca tuttora una legge sullo status personale dei Cristiani, in assenza della quale i Cristiani sono costretti a rispettare leggi in materia di diritto di famiglia, successione, custodia dei minori che si rifanno alla legge coranica. Anche in altri stati del Medio Oriente la presenza cristiana è in declino. In Siria, ad esempio, rappresentano meno del 2% della popolazione mentre prima dello scoppio della guerra erano il 10%. In Cisgiordania sono passati addirittura dal 18% all’1%. La maggior parte di chi parte spera di poter raggiungere il Nord America o l’Australia. Pochi sono quelli che cercano di rifarsi una vita nei paesi vicini perché non rappresentano una scelta sicura. Quando è stato fondato il Califfato almeno 50.000 Cristiani avevano trovato rifugio in Libano e molti in Giordania, ma adesso entrambi i paesi non offrono più garanzie di sicurezza e chi può cerca asilo altrove. “Il numero dei cristiani ora è basso e la loro fiducia è fragile – spiega la fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre nel suo ultimo rapporto sui cristiani perseguitati – essi potranno aver attraversato tempi di genocidio, ma in assenza di sicurezza l’attrazione per la migrazione è per molti irreversibile in paesi caratterizzati da ambienti sociali e culturali tuttora ostili ai cristiani che vengono quindi trattati come cittadini di seconda categoria”.