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GUERRA ALL'ISIS

I cristiani iracheni si armano per sopravvivere

Dopo essere stati decimati, perseguitati, cacciati dalle loro case, i cristiani iracheni, assieme agli yezidi, hanno deciso di armarsi e formare proprie milizie di auto-difesa. Per ora sono inquadrati nelle unità curde e addestrati dai Peshmerga. Sono appoggiati anche dal partito delle Forze Libanesi di Geagea.

Esteri 30_09_2014
Iraq, volontari cristiani

Hanno subito per anni attentati, pulizia etnica, violenze di ogni tipo oltre a furti, espropriazione di case e terre. Spesso hanno reagito fuggendo, cerco scampo in altri Paesi poiché la vita da espatriato o da profugo è sempre meglio che non sopravvivere.

Negli ultimi mesi, l’offensiva delle milizie dello Stato Islamico ha sottoposto le minoranze cristiane in Iraq a nuove durissime prove, dalle esecuzioni sommarie alla schiavitù di donne e bambini. Questa volta hanno detto basta e stanno imbracciando le armi come hanno già fatto da tempo i cristiani di Siria, molti dei quali combattono nell’esercito regolare di Damasco e altri sono organizzati per l’autodifesa in milizie di villaggio alleate del regime. Non si tratta di politica, ma di sopravvivenza. Assad non ha mai negato la libertà di culto e il suo regime rispetta le diversità culturali del popolo siriano, a differenza dei i ribelli sunniti quasi tutti affiliati ad Al Qaeda, Stato islamico e milizie salafite.

I primi a mettere in atto un programma di addestramento militare per inquadrare militarmente i tanti profughi cristiani e yezidi sono stati i combattenti curdi, i Peshmerga che hanno offerto aiuto e ricovero a oltre un milione di rifugiati. A metà settembre hanno iniziato ad addestrare tre battaglioni di combattenti cristiani, yezidi e di altre minoranze del nord dell’Iraq perseguitate dagli estremisti sunniti del Califfato. L’obiettivo non era certo di creare un esercito, ma quanto meno unità combattenti in grado di presidiare e difendere per un po’ di tempo i villaggi delle loro comunità, alcuni dei quali sono stati liberati nelle scorse settimane dall’offensiva curda assistita dai cacciabombardieri statunitensi

Il portavoce del ministero della Difesa della regione autonoma del Kurdistan, generale Halkurd Hikmat, rese noto che i battaglioni cristiani e yezidi sono stati equipaggiati con parte delle armi inviate ai curdi nelle ultime settimane da vari Paesi occidentali e dall’Iran. «Attualmente stiamo lavorando per formare tre battaglioni da 800 uomini ciascuno, e finora la risposta dei volontari è stata buona» ha precisato Hikmat il 17 settembre scorso. Mayaser Haji Salih, sindaco di Sinjar, dove viveva gran parte della minoranza degli yezidi, costretti a fuggire davanti all’offensiva dell’Isis all’inizio di agosto, ha detto che il primo battaglione di membri di questa minoranza è stato formato e che l’addestramento è stato completato in un campo a Batrosh, vicino alla città curda di Dohuk.

Il secondo battaglione, ha aggiunto, ha cominciato l’addestramento in un campo nella città di Zakho, 45 chilometri a nord di Dohuk, ma il salto di qualità verso la costituzione di reparti militari organici, l’hanno compiuto nei giorni scorsi i cristiani della minoranza assira irachena che hanno deciso di costituire una brigata di 2mila combattenti, dotandosi anche di armi pesanti.

Scoraggiati dalla disastrosa performance in combattimento dell’esercito di Baghdad e convinti che i curdi si limiteranno a fornire solo armi leggere e portatili, i cristiani assiri sono tornati in possesso di alcuni dei tanti villaggi invasi dallo Stato Islamico nella Piana di Ninive.

A Sharafya, villaggio liberato dai curdi a metà agosto, i civili non sono ancora tornati e l’unica presenza è rappresentata da alcuni miliziani che indossano le tradizionali uniformi color kaki dei combattenti curdi Peshmerga, ma con un distintivo sulla spalla che raffigura il drappo assiro barrato da due fucili e che li identifica come membri della brigata cristiana “Dwekh Nawsha” (“sacrificio volontario” o “martirio”), come racconta un reportage della France Presse.

La popolazione ha paura e preferisce restare nei campi profughi di Erbil. Del resto i jihadisti sono ancora lì, a pochi chilometri, nel villaggio di Tel Kef, a conferma che l’offensiva aerea statunitense ha dato per ora risultati limitati sotto il profilo bellico.

Costituita ufficialmente l’11 agosto, la brigata cristiana è composta per ora solo da un centinaio di uomini ma altri 2mila si sono presentati ai centri di arruolamento istituiti nei campi profughi. Si tratta per lo più di aderenti al Movimento democratico assiro, uno dei partiti politici della regione che verranno addestrati a livello basico dai curdi e probabilmente anche dai consiglieri militari che Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania hanno inviato in Kurdistan. Per rafforzare i ranghi e migliorare l’equipaggiamento delle milizie cristiane, una delegazione di assiri iracheni si è recata in Libano a chiedere aiuto alle Forze Libanesi (FL), la principale milizia cristiana che ha combattuto nella guerra civile nel paese, fra il 1975 e il 1990. Samir Geagea, leader delle FL, ha fatto sapere che il suo partito è pronto a «sostenere tutte le decisioni che prenderanno i cristiani in Iraq». La creazione di brigate assire cristiane in Iraq ricalca quanto avvenuto recentemente in Siria, dove gli assiri combattono al fianco dei curdi siriani attaccati pesantemente dagli uomini del Califfato lungo la fascia di confine con la Turchia.

La volontà di armarsi per difendere villaggi e famiglie delle comunità cristiane di Siria e Iraq (cattolici, ortodossi, caldei e assiri) era emersa prepotentemente fin dall’esodo cominciato nel luglio scorso. L’arcivescovo della diocesi di Erbil, Bashar Warda, ha sottolineato al Corriere della Sera che «non si tratta di una milizia indipendente ma integrata con l’esercito curdo a sua volta coordinato con l’esercito iracheno che fa capo ai comandi centrali di Bagdad».

L’impressione è che non si voglia aumentare le preoccupazioni del governo iracheno, da un lato ben consapevole della figuraccia rimediata dal suo esercito, che si è dissolto davanti all’offensiva jihadista, invece di proteggere la popolazione e, dall’altro, timoroso che il riarmo curdo e delle altre minoranze del nord accentuino il distacco di quei territori ricchi di petrolio da Baghdad.

La preoccupazione delle gerarchie ecclesiastiche locali - sottolinea Lorenzo Cremonesi, inviato in Iraq - «è evitare di creare milizie confessionali autonome sul modello della Falange cristiana libanese», cui si sono rivolti invece gli assiri. L’arcivescovo Warda ha ribadito che la Chiesa non ha alcun ruolo nell’iniziativa di costituire milizie cristiane pur non nascondendo la necessità di garanzie per la difesa della culla storica del cristianesimo orientale, specie ora che i miliziani del Califfato distruggono chiese, basiliche e luoghi di culto.

«Nella sola Piana di Ninive ci sono 14 villaggi cristiani. Sono a meno di un’ora d’auto da Erbil, ma nessuno di noi può ancora andarci. I loro 125 mila abitanti hanno trovato rifugio da noi e presso l’arcivescovado di Dohuq» ha sottolineato Warda.