I coccodrilli di Ratzinger, memorie di una giornalista fuori moda
Aneddoti su coccodrilli spariti nel nulla, viaggi papali, encicliche “rubate”, ecc. La riflessione su un giornalismo in crisi, spesso chiuso nelle dinamiche social, frettoloso e sciatto, anche nelle grandi testate. Ecco il libro I coccodrilli di Ratzinger, scritto da Giovanna Chirri, la vaticanista che per prima diede la notizia della rinuncia di Benedetto XVI.
11 febbraio 2013. C’è fermento in redazione. Benedetto XVI ha appena annunciato la propria rinuncia al ministero petrino. Una notizia che è un terremoto, un fulmine a ciel sereno. Giovanni Chirri, giornalista dell’Ansa, propone al vicecaporedattore della sua agenzia di “passare i coccodrilli” che, nel gergo giornalistico, sono «i pezzi che si tengono pronti in caso di morte del personaggio famoso, per non essere colti alla sprovvista e poter fornire informazioni adeguate in tempi rapidissimi, da trasmettere subito dopo la notizia del decesso». Per un papa, racconta la giornalista, ci sono decine di coccodrilli, preparati e aggiornati con cura e conservati gelosamente in cassaforte. Il papa non era morto, ma il pontificato era finito. Ma quel pomeriggio la caccia ai preziosi documenti non va a buon fine. I coccodrilli di Ratzinger sono spariti nel nulla e nessuno sa dove siano finiti.
Il racconto di questo curioso episodio dà il titolo al libro - appunto, I coccodrilli di Ratzinger (All Around, 2022) - di Giovanna Chirri, giornalista che non ha paura di definirsi “fuori moda”, nota nel mondo per essere stata la prima a dare la notizia della rinuncia del Papa. Fu lei infatti che, seguendo con estrema attenzione il concistoro dell’11 febbraio 2013, decifrò il messaggio (pronunciato in latino) col quale Benedetto XVI depose la sua “corona” per ritirarsi in preghiera.
Giornalista accreditata dal 1994 presso la sala stampa della Santa Sede, per trent’anni all’Ansa a occuparsi di Vaticano e religioni, Chirri raccoglie in questo suo libro le avventure e le disavventure di una vaticanista intrattenendo il lettore con numerosi aneddoti che riguardano coccodrilli spariti nel nulla, viaggi papali, piccoli scandali, segreti e miti vaticani, encicliche “rubate”, documenti in “copia clandestina” all’ombra del Cupolone, pronunciamenti papali e interviste liberamente modificate. Tutto questo visto con gli occhi di una giornalista formata e cresciuta professionalmente prima dell’arrivo dei telefonini e dei computer, quando l’informatica non era ancora entrata nelle redazioni e, soprattutto, prima dello sbarco dei social network: uno tsunami che ha scosso in maniera determinante il mondo dell’informazione e i cui innegabili vantaggi - scrive Chirri - «non sembrano eguagliare gli svantaggi, soprattutto la trasformazione dell’informazione in confusione» (p. 44).
È questo il secondo grande tema affrontato nel libro. Dietro ai racconti vaticani infatti c’è il racconto di un giornalismo in crisi, spesso chiuso nelle dinamiche social, incapace di affacciarsi fuori dalla redazione e dunque col rischio di allontanarsi dalla realtà per stare appresso alle e-mail, ai tweet, ai flash e ai take redazionali. Un giornalismo che rischia di diventare un ring, dove il lavoro viene “cannibalizzato” dai più rapidi e più svegli, dai più smaliziati e insensibili, qualità comunemente considerate essenziali per un buon giornalista pronto a prendere parte alla guerra dell’informazione. Non è di questo avviso Giovanna Chirri, che crede ancora nell’importanza del coinvolgimento emotivo in un mestiere dove, insegnavano i suoi maestri, «non si piange e non si fa il tifo».
Anni di cronaca le hanno insegnato a trasmettere le notizie senza la necessità di indirizzare il pensiero del lettore. Ma proprio quegli anni passati sulla strada (“inviata al semaforo”) le hanno insegnato l’importanza di “aprire la testa e il cuore”, del rapporto umano con coloro di cui si sta scrivendo, dell’empatia con le situazioni descritte. Non mancano dunque le stoccate ad un giornalismo dominato troppo spesso da carrierismo, individualismi, lotta tra poteri, col rischio, sempre in agguato, di manipolazioni ideologiche. Una situazione che non risparmia anche il giornalismo religioso, dove spesso contano le simpatie per questo o quel cardinale, per questo o quel movimento ecclesiale. Così, nella forsennata corsa per l’informazione, il “copia-incolla” prende il sopravvento e facilmente si dimentica che quello del giornalista è un lavoro «in gran parte artigianale» che «richiede non solo velocità ma anche tempo, competenze, pazienza, destrezza, amore per quello che si fa, attenzione al dettaglio ecc». Per questo Chirri sottolinea l’importanza dell’uso del linguaggio, adatto ad ogni tipo di notizia, e del corretto italiano in un contesto come quello attuale dove anche le grandi testate pubblicano strafalcioni inguardabili o testi non corretti e puliti.
La velocità e il consenso sembrano infatti prendere oggi il sopravvento nelle redazioni, in un mondo dove l’informazione è diventata “informazione-spettacolo” (o infotainment) «che si va diffondendo non solo in tv bensì in tutti gli altri mezzi di comunicazione» per andare incontro al livello di attenzione del pubblico e aumentare il numero di spettatori (p. 170). L’infotainment propone oggi, al posto della regola anglosassone delle “cinque W” (who, what, where, when, why) le “cinque s”: soldi, sesso, sangue, sport e spettacolo. Ingredienti con cui molte testate costruiscono e condiscono i loro Tg e le loro prime pagine cartacee e online.
In un tale contesto, quella giornalistica è diventata oggi in Italia una carriera difficile da affrontare per i giovani, per i quali «si presenta la stessa umiliante situazione dei giovani italiani in genere: ottimi livelli di preparazione ma scarsissima possibilità di lavoro, con conseguente frustrazione, umiliazione e, se la coscienza è poco costruita o la personalità troppo debole, rischio di deriva etica e professionale» (p. 25).
Un’analisi amara ma necessaria, quella di Chirri, che racconta un giornalismo - come si è palesato durante la pandemia e ora con la guerra e la campagna elettorale italiana - sempre più dominato dalle dinamiche di potere ma spesso troppo lontano dalla realtà. «Così i giornalisti passano la vita a seguire cosa stanno raccontando le testate concorrenti, ognuno guarda l’altro, lo imita e gli fa concorrenza, aggiorna il proprio notiziario, è tutto un susseguirsi di segnalazioni e telefonate di cui diventa impossibile verificare affidabilità e concretezza. Anneghiamo in un delirio, per fortuna fuori la vita va avanti del tutto ignara dei nostri film. E per fortuna la vita non dipende dalle nostre cronache. La vita democratica, purtroppo, forse sì» (p. 161). «Tutti controllano tutti, tutti fanno le stesse notizie, tutti si guardano e pochi escono a guardare fuori, oltre gli ombelichi, gli ego e le paranoie giornalistiche: a volte il nostro diventa un mondo finto, incapace non solo di comprendere, ma semplicemente di vedere la realtà» (p. 46).