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Natale

I cattolici birmani nella morsa della guerra

Dove si combatte i cristiani hanno celebrato il Natale persino in una grotta, trasformata dai sacerdoti nella navata di una chiesa

Molti cristiani hanno trascorso un difficile Natale. Uno dei peggiori è stato quello dei cristiani birmani. Il Myanmar, ex Birmania, è in guerra dal 2021, l’anno in cui i militari hanno preso il potere con un colpo di stato. Contro di loro si sono coalizzati le Forze di difesa popolare e gli eserciti creati dalle minoranze etniche. Attualmente il paese è diviso tra le aree sotto il controllo della giunta militare – il centro e le principali città – e quelle periferiche e di confine, sotto il controllo delle milizie ribelli. Secondo l’Armed Conflict Location and Event Data Project, un’organizzazione che raccoglie, classifica e analizza dati sui conflitti, la guerra ha trasformato il Myanmar nel luogo più violento del mondo e la popolazione civile ne fa le spese. Migliaia di civili, si ritiene più di 10.000, sono stati uccisi, circa 2,3 milioni sono sfollati e quasi tutti vivono in condizioni disperate. “Ci prepariamo al Natale, ci prepariamo all'Anno santo  del Giubileo, ma tra i fedeli non c'è quella gioia piena che si vedeva in passato. Le ferite della guerra civile, le sofferenze, i disagi, il lutto lasciano il segno tra la gente del Myanmar” raccontava nei giorni precedenti il Natale all'agenzia di stampa Fides padre Bernardino Ne Ne, un sacerdote di Loikaw, una delle regioni in cui si combatte. Monsignor Celso Ba Shwe, vescovo della diocesi di Loikaw, ha celebrato la nascita di Gesù nella grotta di una montagna.  Sacerdoti, religiosi e laici – racconta Fides – si sono dati da fare per “far diventare il ventre della montagna la navata di una chiesa e lì, nella grotta, è stato allestito l’altare”. Alla messa hanno partecipato i tanti sfollati cattolici, in fuga dai bombardamenti dell’esercito, che tra le montagne hanno trovato riparo, alcuni ormai da due anni. Monsignor Ba Shwe stesso ha dovuto lasciare la cattedrale di Cristo Re di Loikaw, insieme a tutti gli altri sacerdoti e al personale, nel novembre del 2023, quando il complesso della cattedrale è stato bombardato dall’esercito riportando gravi danni. Per ulteriore spregio, i militari vi si sono insediati trasformando la struttura in una loro base. “Nei mesi scorsi – ha spiegato padre Bernardino – abbiamo avuto dei colloqui con i militari che, certo, non ci chiederanno spontaneamente di tornare. C'è la possibilità di aprire un negoziato perché lascino il luogo: ma non sarà facile, la situazione è complessa. In primis il terreno interno e nei dintorni potrebbe essere minato. Poi l'interno del centro pastorale è praticamente distrutto, c'è da riorganizzare tutto. Infine, per tornare, dobbiamo avere garanzie  che i militari ci lascino libertà di movimento perchè il vescovo e i preti hanno necessità di visitare i campi profughi sempre e  di recarsi in continuazione dove sono i fedeli. Non possono essere 'prigionieri' in cattedrale, non servirebbe a nulla. Ci sono da considerare e sistemare tutti questi aspetti”. Padre Bernardino attualmente si trova a Yangon dove gli effetti della guerra si sentono di meno, e ha potuto celebrare il Natale nella sua chiesa. “I nostri fedeli – dice – vengono in chiesa e le attività  pastorali e di culto vanno  avanti, certo sempre a una condizione: che non si parli di politica, che non si delegittimi il potere costituito. Noi lo sappiamo, i fedeli lo sanno, noi preghiamo per la pace e per la giustizia e almeno possiamo celebrare i Sacramenti e svolgere tutte le iniziative spirituali. Così vivremo il Natale: la messa della vigilia sarà alle 5 della sera, non più tardi, perchè con il buio si intensificano i pattugliamenti militari, la gente ha paura e non esce più di casa”.