Hong Kong, duro monito da Pechino contro le proteste
Minacce di repressione da Pechino. Ad Hong Kong le proteste sono entrate nel loro terzo mese, nove settimane di manifestazioni che stanno provocando un notevole nervosismo nel regime cinese. Con una rara conferenza stampa, un portavoce del governo cinese lancia minacce quasi esplicite. Intervento militare escluso (per ora)
Minacce di repressione da Pechino. Ad Hong Kong le proteste sono entrate nel loro terzo mese, nove settimane di manifestazioni, flash mob improvvisati e di frequenti scontri con la polizia (e di recente anche con milizie delle triadi, le mafie cinesi). La protesta era iniziata per far ritirare la legge sull’estradizione, che avrebbe permesso di processare anche in Cina cittadini di Hong Kong, violandone di fatto l’autonomia da Pechino. Adesso le sue richieste sono molte di più: un’indagine indipendente sulla brutalità della polizia e le dimissioni di Carrie Lam, capo dell’esecutivo gradita ai cinesi. Ma, appunto, da Pechino arriva un forte avvertimento, un comportamento senza precedenti, un’affermazione di sovranità cinese su un territorio che finora era di fatto indipendente.
La protesta dilaga e assume forme sempre nuove. La settimana scorsa, dopo che uomini delle triadi avevano picchiato i manifestanti (o presunti tali) in una stazione ferroviaria e della metropolitana, i più radicali fra i dissidenti hanno organizzato picchetti per fermare i treni, con gran danno per il traffico interno. Lunedì è stato proclamato uno sciopero generale, non autorizzato e solo l’annuncio ha provocato la cancellazione di più di 200 voli all’aeroporto di Hong Kong. Dopo quest’ultima escalation, Yang Guang, portavoce dell’Ufficio di Hong Kong e Macao, di Pechino, ha avvertito i manifestanti che non devono “sottovalutare la ferma determinazione del governo centrale”.
Il ministero cinese per Hong Kong raramente parla in pubblico con conferenze stampa. Questa uscita, che è la seconda in due settimane, è un sintomo grave. E’ indice dell’impazienza con cui a Pechino guardano ad una protesta che può dare il “cattivo esempio” anche ad altre città cinesi. Il timore di un contagio non è infondato. La diffusione delle notizie di Hong Kong è rigorosamente censurata in Cina. Ma radio a onde corte come Sound of Hope (fondata da due membri della setta Falun Gong, vietata in Cina), giocando a nascondino con i cinesi che cercano di intercettare e disturbare il segnale, raggiungono anche la Cina continentale, dando aggiornamenti continui su quel che avviene nella città ribelle. Il muro di Internet, che filtra tutte le notizie sgradite a Pechino, non è totalmente impenetrabile e milioni di internauti cinesi sono in grado di leggere quel che avviene nell’ex colonia britannica.
Yang Guang ha detto che le “manifestazioni radicali” hanno spinto Hong Kong “al limite di una situazione pericolosa”. Pericolosa per chi? Senza minacciare apertamente un intervento militare, Yang Guang ha detto che i pro-democratici della città-Stato non devono scambiare “la nostra moderazione per debolezza”. Un po’ come dire: non provocateci ancora. Ricorrendo alla consueta teoria del complotto, Yang ha dichiarato che è “evidente” che dietro le manifestazioni ci siano “eminenze grigie” occidentali, “forze esterne” che “usano i giovani” contro Pechino.
L’esercito cinese ha sue basi a Hong Kong e potrebbe anche intervenire, nel caso il governo di Carrie Lam richieda esplicitamente il suo aiuto. Per ora è rimasto neutrale. Lo sarà ancora per molto? A domanda, Yang Guang ha risposto che si fida della capacità della polizia di Hong Kong di reprimere da sola i disordini. Ma intanto i militari cinesi, nell’area, hanno condotto esercitazioni anti-sommossa. Un atteggiamento che ricorda quello tenuto dai sovietici nei confronti della Polonia, ai tempi degli scioperi di Solidarnosc, nel 1981: Mosca aveva allertato l’esercito e conduceva le sue esercitazioni ai confini, anche se poi è stato il generale Jaruzelski, dall’interno del regime polacco, a proclamare la legge marziale.