Havel e il potere della verità
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Presidente della Repubblica cecoslovacca tra il 1989 e il 1992 e più tardi della neonata Repubblica Ceca tra il 1993 e il 2003, Vaclav Havel fu dissidente sotto il regime comunista in Cecoslovacchia e per questo venne incarcerato per cinque anni.
Drammaturgo, cercò sempre di provocare le coscienze, convinto che l’io abbia sempre e in ogni circostanza una riserva di risorse inestirpabili. A chi si domandava dove avessero attinto i giovani la loro brama di verità e di libertà di fronte ad un regime totalitario che cercava in ogni modo di plasmare le coscienze, Havel replicava che «l’uomo non è solo un prodotto del mondo esterno»:
Ci chiediamo […] da dove questi giovani, che non hanno conosciuto nessun altro sistema politico, abbiano attinto il loro desiderio di verità, la loro libertà di pensiero, la loro fantasia politica, il loro coraggio e la loro ponderatezza? E come hanno potuto imitarli i loro genitori, proprio quella generazione ritenuta ormai perduta? Come è stato possibile che la gente, improvvisamente, abbia capito come agire, senza aver bisogno di consigli e di istruzioni?
Questa risorsa inesauribile è dentro l’animo umano, che ha in sé inscritto il desiderio di pienezza e di verità. Ridestato, l’animo ha una potenzialità di cambiamento che nessuno sa quando si tradurrà in atto. Havel si avvale dell’immagine della palla di neve: «nessuno sa quando una qualsiasi palla di neve può provocare una valanga».
Un qualsiasi gesto di verità può provocare una rivoluzione. Basta che un ortolano decida «di rompere il velo di menzogna, con il semplice gesto di rimuovere dalla vetrina del suo negozio lo slogan “Proletari di tutto il mondo unitevi!”» (Havel, Il potere dei senza potere) perché tanti altri inizino a fare altrettanto. Ciascuno di noi può essere questo ortolano ridestato nella sua coscienza, nella sua esigenza di verità, di felicità, di giustizia. Ciascuno di noi, secondo Havel, ha un potere non misurabile e non prevedibile.
Lui stesso ne fu testimone con la sua vita di drammaturgo dissidente, che divenne fautore di Charta 77, la più grande manifestazione di dissenso che denunciò la violazione dei diritti umani in Cecoslovacchia.
Dopo il carcere Havel divenne, in modo inatteso e inaspettato, Presidente della Repubblica Cecoslovacca e poi Ceca. Un uomo che non aveva cercato il potere si ritrovò a rivestire la più alta carica istituzionale.
Un io rassegnato alla menzogna è un io demoralizzato. Un cambiamento reale ed effettivo della società – ne era convinto Havel – «non può partire dall’affermarsi di una o dell’altra concezione politica», ma deve partire «dall’uomo, dall’esistenza dell’uomo, dalla sostanziale ricostituzione della sua posizione nel mondo, del suo rapporto con se stesso, con gli altri, con l’universo» (Il potere dei senza potere). Non è detto che un sistema migliore «garantisca una vita migliore», ma al contrario con «una vita migliore si può costruire un sistema migliore».
Il primo gennaio 1990 Havel tenne un Discorso sul passato comunista ceco. Le sue parole forti sono di denuncia:
Viviamo in un ambiente moralmente contaminato. Ci sentiamo malati moralmente perché ci siamo abituati a dire qualcosa di diverso da ciò che pensavamo. Abbiamo imparato a non credere in niente, a ignorarci l'un l'altro, a interessarci solo a noi stessi. Concetti come amore, amicizia, compassione, umiltà e perdono hanno perso il loro senso più profondo e le loro dimensioni più ampie. Per molti di noi rappresentano solo peculiarità psicologiche o assomigliano ad auguri pronunciati in epoche passate.
La conseguenza di un individualismo vissuto nella tranquillità e nella finta pace domestica, che non considera l’altrui miseria e sopravvive nella dimenticanza di una giustizia per gli altri, è il disinteresse per l’ambito pubblico e per la politica. L’individualismo corrisponde così ad una torre d’avorio isolata che può prosperare solo fino a quando non arriveranno le «truppe degli invasori» scontenti. Già nell’Ottocento il saggista francese Alexis C. de Tocqueville (1805-1859) aveva profetizzato gli esiti di questa posizione:
Una società in cui gli esseri umani si riducono nella condizione di individui «rinchiusi nei loro cuori» è una società in cui pochi vorranno partecipare attivamente all’autogoverno. La maggioranza preferirà starsene a casa e godersi le soddisfazioni della vita privata, almeno fintantoché il governo in carica, qualunque sia, produce i mezzi di queste soddisfazioni, e ne fa larga distribuzione.
Nel Discorso Havel denuncia che solo alcuni sono riusciti a gridare a gran voce che lo Stato non doveva essere onnipotente riducendo la persona «a una forza lavoro destinata alla produzione» e la natura «a uno strumento di produzione». La gente è stata trattata come «dadi e bulloni» di una «macchina mostruosamente grande, rumorosa e puzzolente, il cui vero significato non è chiaro a nessuno», una macchina che non può che consumare inesorabilmente «tutti i suoi dadi e bulloni».
A questo punto del discorso la denuncia si fa ancora più esplicita, non è rivolta più solo al sistema, allo Stato, al regime, ma a ciascuno, alla singola persona che ha partecipato della vita di quello Stato: «tutti ci siamo abituati al sistema totalitario e lo abbiamo accettato come un fatto immutabile» contribuendo così «alla sua perpetuazione». Tutti sono quindi responsabili «sebbene in misura diversa naturalmente» del totalitarismo. Havel afferma: «Nessuno di noi è solo vittima, siamo tutti anche i suoi co-creatori».
Il governo della Cecoslovacchia dal Secondo dopoguerra al 1990 non è quindi «qualcosa di alieno» che parenti lontani hanno trasmesso loro. Tutti devono prenderne coscienza:
Dobbiamo vedere questa eredità come un peccato che abbiamo commesso contro noi stessi. […] Se capiamo questo, la speranza tornerà nei nostri cuori.
Non si possono accusare i governanti precedenti di tutto, perché «minimizzerebbe il dovere» che «ciascuno di noi si trova ad affrontare oggi». Un governo, un parlamento, un presidente, anche i migliori, non possono fare tutto da soli: «la libertà e la democrazia sottintendono la partecipazione e quindi la responsabilità di tutti noi».
Solo così la speranza può tornare ad abitare nei nostri cuori. Havel conclude dicendo che vorrebbe essere un presidente che parla meno e lavora di più. L’ultima battuta è prelevata dal grande pedagogista ceco Comenio: «Gente il vostro governo vi è stato restituito».
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