Harvard, un gruppo per la libertà dalla tirannia woke
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Oltre 130 docenti hanno aderito al Council on Academic Freedom, per difendere la libertà accademica dalla cultura woke. Che impone - con censure, licenziamenti e violenze - il proprio credo, dall’aborto ai diritti Lgbt.
«Perché dovremmo fidarci del consenso, se proviene da una cricca che non tollera il dissenso?», si è domandato retoricamente Steven Pinker, tra i linguisti più famosi al mondo. È con un editoriale sul Boston Globe che il celebre professore di Harvard ha annunciato la creazione del nuovo Council on Academic Freedom ad Harvard. Da quando è stato creato conta oltre 130 docenti che hanno deciso di aderirvi. È il “gruppo per la libertà”, quella che inizia ad essere sempre più bramata nei college statunitensi vittime dell’isteria woke.
È Harvard a guidare la controrivoluzione della libertà d’espressione, anche se suona come un ossimoro. La celebre università liberal, tra le migliori d’America, è scivolata al centosettantesimo posto su duecentotré nella classifica del Free Speech Ranking. «Le università stanno reprimendo ogni divergenza di opinione, come le purghe dei secoli passati. Ci sono video virali di professori assaliti, esecrati, messi a tacere e talvolta aggrediti. E peggio ancora, per ogni studioso che viene punito, molti di più si autocensurano, sapendo che potrebbero essere i prossimi», scrive Pinker.
Tanti i nomi illustri che hanno preso parte al gruppo per la libertà accademica: l’ex rettore di Harvard e segretario al Tesoro Larry Summers, l’ex preside della Facoltà di medicina di Harvard, Jeffrey Flier, la professoressa di diritto Jeannie Suk Gersen, l’economista Gregory Mankiw. Tutti uniti per proteggere la libertà di parola nei campus.
Non è una novità il fatto che gli atenei oltreoceano, quelli celeberrimi per essere agoni della cultura per antonomasia, siano infestati dai trigger warning, gli avvisi censori che gli stessi professori sono tenuti a rilasciare se qualcosa in un corso potrebbe causare una “forte risposta emotiva” negli studenti. Negli ultimi dieci anni, libri, film, corsi e intere parti di programmi di studio sono stati coperti come le statue del Campidoglio per non turbare il presidente iraniano. I libri nascosti, e quindi vietati, nei campus statunitensi sono aumentati del 28% nella prima metà dell’anno scolastico 2022-2023. A certificarlo è il rapporto “Banned in the USA: State Laws Supercharge Book Suppression in Schools”. Nell’anno scolastico 2022-2023, dei 1.477 libri vietati nelle scuole pubbliche, il 30% è stato ritenuto colpevole di veicolare stereotipi su razza e razzismo, il 26% su temi Lgbt. Tra gli autori oggetto di disprezzo ci sono anche Ovidio e Shakespeare. Quattromila, dal 2021, i testi spariti dalle biblioteche.
Erika López Prater, professoressa presso la Hamline University, in Minnesota, durante una lezione ha mostrato un dipinto medievale, studiato nei corsi d’arte e ospitato dall’Università di Edimburgo, che mostra l’arcangelo Gabriele mentre consegna a Maometto la prima rivelazione coranica. È stata licenziata, con la motivazione che mostrare l’effige di Maometto è sempre sacrilegio. L’accusa di islamofobia e razzismo ha vinto sulla storia dell’arte.
Il professor Ned Hall, che insegna epistemologia ad Harvard dal 2005, s’è detto preoccupato per l’aumento di studenti che si dedicano, con forza, all’eliminazione di discorsi che non gli piacciono: «Alcuni studenti irrompono, pistole spianate, dicendo che certi argomenti sono semplicemente vietati e che sei una persona terribile se li sollevi».
Ad oggi, la lista dei temi ritenuti inappropriati, lesivi di sensibilità e diritti è praticamente infinita. Da qualche anno, la City University di New York ha deciso di mettere al bando anche “Mr.” e “Mrs.”: troppo offensivi. La Fondazione per i diritti individuali e l’espressione (FIRE) ha pubblicato la sua terza classifica annuale della libertà di parola nei college per l’anno scolastico 2022-2023. Sono stati intervistati quasi 45.000 studenti di oltre 200 college, rendendolo il più grande sondaggio mai realizzato sulla libertà d’espressione nel mondo universitario. Nel rapporto, il 62% degli studenti ha affermato che «può andare bene» mettere a tacere un insegnante. E uno studente su cinque ha ammesso che l’uso della violenza per interrompere un discorso nel campus è «accettabile».
Ma c’è anche una buona parte di studenti che guarda al clima del campus come un impedimento alla libertà di dire quello in cui credono. Il 63% degli studenti ha dichiarato di temere che la propria reputazione venga danneggiata dall’esternare talune considerazioni, e quasi un quarto riconosce che spesso si autocensura. Gli argomenti che gli studenti sanno bene che porteranno problemi se affrontati al di là dell’opinione dominante sono l’aborto, la disuguaglianza razziale e l’obbligo di vaccinazione seguiti da questioni transgender, controllo delle armi e cattiva condotta della polizia.
Per la Fondazione per i diritti individuali e l’espressione, tra il 2014 e il 2022 ci sono stati 877 tentativi di punire studiosi per esternazioni protette dal Primo Emendamento. Il 60% ha portato a sanzioni effettive, 114 gli episodi di censura e 156 i licenziamenti, 44 dei quali riguardanti professori di ruolo.
Secondo Pinker, oggi esiste un meccanismo perverso per cui è stato addestrato un esercito di attivisti, «un arsenale in espansione della guerra asimmetrica compresa la capacità di interrompere gli eventi, di radunare folle fisiche o sui social e la volontà di infangare con accuse paralizzanti di razzismo, sessismo o transfobia; una burocrazia esplosiva e la riduzione della diversità politica dei docenti che minaccia di bloccare il regime accademico per le generazioni a venire».
È l’ombra lunga della cultura woke. Quella che in Europa, in questi anni, abbiamo visto sotto varie forme di censura. Come quando a papa Benedetto XVI fu impedito di parlare alla Sapienza. Oppure il caso Vincent Tournier, messo sotto scorta perché colpevole di tenere un corso all’università sui musulmani nella Francia di oggi.
Eppure il fatto che il Council of Academic Freedom nasca ad Harvard non è un dettaglio. Harvard non è solo un’università, ma è la più antica e famosa della nazione e, nel bene e nel male, il mondo esterno prende atto di quanto accade lì. Negli Stati Uniti, più che in qualsiasi altro posto al mondo, l’università ha una funzione strategica. È stata uno dei meccanismi di creazione della nazione. Tra gli strumenti prediletti di selezione della classe dirigente, ha plasmato la politica estera del secondo dopoguerra, e quindi la leadership globale americana. E i sondaggi rilevano come i cosiddetti valori woke appartengano soprattutto ai giovani che hanno un atteggiamento censorio di gran lunga superiore a quello degli over 50: sono loro che potranno rappresentare le redazioni, le cattedre, i tribunali e il Congresso di domani.